Del: 21 Novembre 2020 Di: Michele Pinto Commenti: 0

Sulla vicenda della studentessa di legge Marta Russo, uccisa da un colpo di pistola nei vialetti dell’università Sapienza il 9 maggio 1997, fin dall’inizio si sono allungate le ombre di un’inchiesta condotta male e di una fitta nebbia di misteri e incertezze difficile da dipanare. «Mi stanno convincendo che ero lì dentro, mi stanno convincendo che hanno sparato da lì… Mi hanno messo in mezzo, io in quella stanza non c’ero, ma mi conviene dire che c’ero… Loro si immaginano la scena e hanno bisogno di una testimonianza attendibile». Così parla, secondo un’intercettazione ambientale confermata durante il processo, una delle due testimoni principali dell’inchiesta, la segretaria Gabriella Alletto.

La storia di quell’omicidio, sbattuto in prima pagina e dibattuto da giornalisti, esperti e perfino politici, è una storia triste e mai chiarita fino in fondo. Dopo ventitré anni il podcast “Polvere”, realizzato dalle giornaliste Chiara Lalli e Cecilia Sala e pubblicato da Huffington Post, riporta finalmente la vicenda all’attenzione dell’opinione pubblica e ripercorre, in otto puntate, i molti snodi della vicenda.

Nei primi giorni dell’indagine, gli inquirenti cercano di individuare il punto da cui è stato esploso il colpo di pistola. 

Dopo alcune ipotesi, subito accantonate, i pm si concentrano sulla finestra dell’aula 6, cioè la stanza riservata agli assistenti di Filosofia del diritto. Sul davanzale i periti trovano due minuscole particelle di bario e antimonio, subito collegate alla presenza di un’arma da fuoco. Negli anni, però, emergeranno evidenze contrarie, dato che quelle particelle si formano anche attraverso l’utilizzo dei freni delle automobili. La prima testimone interrogata è la dottoranda Maria Chiara Lipari, che nei minuti in cui è partito il colpo di pistola ha fatto uno chiamata dal telefono dell’aula 6. Lipari si confonde, cambia versione sul numero di chiamate e sui minuti in cui si sarebbe trattenuta. Inizialmente nega la presenza di altre persone nella stanza. 

Gli interrogatori procedono a ritmo serrato e nell’ambiente universitario si crea un clima di sospetto e tensione. Il podcast riesce a restituire questo clima: le allusive chiamate intercettate tra il professor Bruno Romano, direttore dell’istituto, e gli assistenti; lo sgabuzzino pieno di armi utilizzate in modo assiduo, forse per gioco, dagli addetti dell’impresa di pulizia; i sospetti che aleggiano intorno alla Facoltà e al personale amministrativo.

Alla fine le insistenze dei pubblici ministeri portano Lipari a cambiare versione. Il ruolo della dottoranda è centrale, perché il suo progressivo recupero di memorie desta sospetti e inquadra la vicenda, a posteriori, in una prospettiva di artificialità. Nella stanza, dice adesso Lipari, c’erano altre due persone, tra le quali la segretaria Gabriella Alletto. Quest’ultima, al pari di Lipari, è quasi un personaggio da romanzo, che assume, nel corso delle settimane, un’importanza decisiva. Viene interrogata per molti giorni consecutivi, anche di notte, e per due settimane sostiene con convinzione di non essere mai stata nella stanza. Nel frattempo Lipari, di ritorno da un viaggio in Medio Oriente, aggiunge, parlando al posto di polizia dell’aeroporto, una nuova presenza nell’aula, l’assistente Salvatore Ferraro.

Alletto, accompagnata (contro ogni regola) ad un ennesimo interrogatorio dal cognato ispettore di polizia, finisce per cedere. 

I pm Italo Ormanni e Carlo Lasperanza e le pesanti pressioni del cognato la conducono, disperata, a confessare la sua presenza nell’aula 6 e confermare le dichiarazioni di Lipari. Ai primi di agosto, infine, sempre Lipari fa il nome di un altra “probabile” presenza nell’aula 6, quella dell’assistente Giovanni Scattone. Il quadro si completerà con le dichiarazioni di un’altra testimone. Il cerchio si è chiuso: l’istruttoria, contrassegnata da ripensamenti e improvvise illuminazioni della memoria, viene condotta in porto: Scattone e Ferraro sono rinviati a giudizio.

Nelle otto puntate di “Polvere” molti altri dettagli trovano il proprio posto – e ad ogni dettaglio sballato, impreciso, frainteso corrisponde un nuovo dubbio. Nel corso del processo ben poche oscurità verranno affrontate. Le testimonianze di Alletto e Lipari e i confronti con i due imputati aprono uno squarcio su un giudizio del tutto particolare, quasi unico nel suo genere. Si alternano momenti di comicità e affilate sensazioni di incertezza, approssimazione. Viene subito alla luce la difficoltà materiale a sporgersi dalla finestra in direzione del punto in cui si trovava Marta Russo, a causa della presenza di un ingombrante condizionatore. Ma questo elemento viene trascurato.

Soprattutto, resta il problema del movente, che alla fine non verrà mai veramente individuato.

Scattone e Ferraro non conoscevano Marta Russo. La stampa, basandosi su stralci dei diari, li accusa di tendenze superomiste, di ammirare Nietzsche. Si arriva a parlare della volontà di mettere in atto il “delitto perfetto”, di dimostrare che è possibile uccidere senza essere scoperti. Poi si fa strada l’ipotesi della fatalità occorsa mentre “giocavano” con la pistola. Scattone viene condannato per omicidio colposo a 5 anni e quatto mesi, Ferraro a 4 anni e due mesi per favoreggiamento, proprio sulla base dell’ipotesi della fatalità. Le condanne, lievi nonostante le dure accuse, verranno scontate. Ma anche dopo averle scontate, i due saranno rincorsi dai media, che riusciranno a intralciare anche il loro reinserimento nella società, brandendo, come un vessillo di stigma, la sentenza di molti anni prima. 

L’imperizia degli inquirenti, la volontà di chiudere il caso il prima possibile e le pressioni hanno condotto la giustizia su una strada sbagliata? C’è dunque un’altra verità, diversa da quella giudiziaria? Anche su questo, il podcast di Lalli e Sala prova ad avanzare qualche idea, qualche traccia. Quel che resta, però, è un caso emblematico. Se non di malagiustizia, forse, di giustizia affrettata, imprecisa. Su questa vicenda sembrano restare troppe ombre: è un bene, oggi, che un’ottima inchiesta giornalistica provi a gettare luce.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

Commenta