In questi difficili mesi di emergenza sanitaria, molti termini che precedentemente non appartenevano al nostro vocabolario quotidiano sono divenuti a noi tristemente familiari. Tra questi devono certamente essere annoverati i celebri DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), tramite i quali il Governo, a partire dal decreto-legge 23 febbraio 2020, n.6, che ne ha legittimato l’uso, è frequentemente intervenuto al fine di ridurre le occasioni di incontro e scambio tra cittadini e, conseguentemente, di potenziale contagio, adottando misure molto restrittive delle libertà fondamentali dei cittadini. L’utilizzo di questi strumenti, nonché le misure in essi contenute, hanno però posto diverse problematiche, la più grave delle quali riguarda il necessario bilanciamento tra diritti e principi fondamentali.
Bilanciamento che, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, sembra talvolta essere venuto meno, con effetti drammatici soprattutto per quanto riguarda la vita delle persone più fragili o già soggette a discriminazioni.
I disagi che in questi mesi hanno dovuto affrontare in particolare le persone con disabilità sono stati denunciati da LEDHA, associazione di promozione sociale che dal 1979 lavora con tenacia per migliorare la qualità di vita delle persone con disabilità, nel tentativo di costruire una società inclusiva per tutti. Il 30 marzo 2020 quest’associazione ha inviato una lettera alle istituzioni regionali e nazionali, mettendo in evidenza la drammatica condizione nella quale versavano le persone con disabilità all’interno del territorio lombardo.
Molte di esse infatti vivevano nelle cosiddette RSD, nelle quali diversi soggetti sono risultati positivi al Covid-19, con il conseguente sviluppo di focolai rivelatisi fatali per molti ospiti. Questi ultimi talvolta non sono stati sottoposti a tampone, così che le loro morti non sono neppure rientrate nel conteggio dei decessi dovuti al virus SarsCov2: a loro è stato negato persino il diritto alla diagnosi, prima ancora che alla cura e al trattamento.
Alcuni dati raccolti dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità) mostrano come 4.554 persone (il 60,1% dei casi presi in considerazione, cioè 7.581 su 54.506 totali) abbiano contratto la malattia in una residenza sanitaria assistenziale oppure in una comunità per disabili, nel solo periodo compreso tra il 14 aprile 2020 e il 14 maggio 2020. Questa difficile situazione è stata spesso dovuta alla mancata possibilità per gli operatori sociosanitari di disporre dei cosiddetti DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), fondamentali per evitare di contagiare ed essere contagiati.
A questo gravissimo fatto si aggiunga che spesso, dopo aver contratto la malattia, le persone con disabilità sono morte sole, nelle proprie case oppure all’interno delle comunità, in quanto nelle strutture ospedaliere la priorità è stata data alle persone in grado di essere ricoverate senza ulteriori complicazioni, secondo quanto denunciato dallo stesso Giovanni Merlo, direttore di LEDHA.
Tuttavia, il Covid-19 non ha minacciato soltanto il diritto alla salute e alla vita di queste persone, ma anche quello all’istruzione, al lavoro, al vivere in società.
L’introduzione della DAD durante il periodo di lockdown, con la conseguente impossibilità per bambini e ragazzi disabili di usufruire dell’aiuto di un insegnante di sostegno, ha certamente reso più difficile per loro l’apprendimento, senza considerare le grandi difficoltà che essi potrebbero aver riscontrato nell’utilizzo di dispostivi elettronici. Inoltre, l’emergenza da Coronavirus ha imposto l’interruzione o comunque determinato la difficile erogazione di servizi di supporto e di specifiche terapie, assolutamente necessarie per il benessere psico-fisico delle persone con disabilità.
Sicuramente, la crisi che stiamo attraversando non ha precedenti, e la minaccia che essa ha rivolto alla salute di noi tutti ha reso necessaria e inevitabile una limitazione delle libertà fondamentali. Il diritto alla salute riveste certamente una grande importanza, in quanto strettamente connesso alla vita e necessario per poter godere di altri diritti. Esso è riconosciuto e garantito dall’art. 32 della nostra Costituzione, il quale al primo comma afferma: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti».
Menzionando l’interesse della collettività, l’art. 32 richiama evidentemente al principio solidaristico (art. 2 Costituzione), il quale, prevedendo l’adempimento di doveri inderogabili strettamente connessi a diritti inviolabili, consente una limitazione della posizione soggettiva del singolo in ragione delle esigenze di altri individui, titolari dei medesimi diritti, e della comunità in generale. È certamente anche in virtù di questo principio che in questi mesi sono state adottate numerose misure restrittive.
Tuttavia, è importante ricordare che l’art. 3 della nostra Costituzione sancisce un altro importante principio, ovvero quello di eguaglianza.
Quest’ultimo non esclude la possibilità che vengano messi in atto trattamenti differenziati alla luce delle differenze di fatto sussistenti tra i cittadini, anzi, invita lo Stato ad agire in questo modo, purché queste diversità di trattamento trovino la loro giustificazione nella necessità di consentire «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (e non nella volontà, da parte dello Stato, di discriminare una certa minoranza o di concedere dei privilegi ad un dato gruppo).
Facendo riferimento alla situazione attuale, possiamo mettere in evidenza come sarebbe dunque stata di primaria importanza la previsione, da parte del Governo, di misure differenziate per le persone con disabilità sin dalle primissime settimane di emergenza, pur prevedendo anche per questi soggetti delle restrizioni, al fine di proteggere loro stesse e le persone a esse vicine da un potenziale rischio di contagio (bilanciando i due principi fondamentali che abbiamo precedentemente menzionato, solidaristico e di eguaglianza). Mettendo inizialmente in atto delle misure uguali per tutti, si è invece certamente rischiato di approfondire – e forse sono state approfondite – quelle differenze di fatto che la Repubblica, secondo quanto sancito all’art. 3, comma 2, della Costituzione, dovrebbe avere cura di rimuovere.