Del: 6 Dicembre 2020 Di: Martina Di Paolantonio Commenti: 0
Non c’è pace per il Recovery Fund

Il meccanismo europeo, approvato alla fine del luglio 2020, che prevede lo stanziamento di 750 miliardi di euro per favorire la ripresa economica degli Stati dell’UE, sembra non riuscire a mettere un punto alla sua storia travagliata. Già durante le prime fasi, nelle quali si è dibattuto ampiamente su quanto dispensare a ogni Stato e soprattutto con quali modalità concedere il denaro, questo fondo non ha avuto vita facile (ricordiamo bene le discussioni anche piuttosto accese tra i Paesi membri). L’estate sembrava aver chiuso la questione, ma cosa è successo dopo?

La fase seguente all’approvazione di luglio prevedeva la decisione delle caratteristiche che uno Stato deve possedere per accedere a questi fondi, tra queste era stato ipotizzato il rispetto dello stato di diritto, ossia la necessità che lo Stato richiedente garantisse i diritti e le libertà dei cittadini.

Questa clausola sembra piuttosto scomoda ad alcune forme di governo dell’Europa dell’Est, come quella ungherese e quella polacca.

I due stati si sentono gravemente minacciati dalla possibilità che l’Europa riduca i fondi a loro destinati a causa di questa condizione del Recovery Fund. Gran parte dell’Europa orientale vede infatti negli aiuti europei una grande risorsa economica, un sostegno fondamentale per acquisire un’economia e una società che il loro passato travagliato ha tenuto per molti anni sempre un passo indietro rispetto alla parte occidentale del continente, o almeno questo è quello che dovrebbe avvenire in linea teorica, la realtà dei fatti traccia uno scenario ben diverso per il quale in realtà questi fondi stiano contribuendo al rafforzare questo genere di governi in bilico tra democrazia e autoritarismo.

I due premier Viktor Orban e Mateusz Morawiecki hanno quindi deciso di sfruttare i meccanismi dell’UE, ponendo il veto sul bilancio europeo (contenente quindi anche il famigerato fondo), per cercare di uscire da una situazione potenzialmente scomoda, specialmente per il primo. Il governo di Budapest sta infatti adottando delle misure che sono state frequentemente guardate con disapprovazione dall’Europa, che ha colto la palla del Recovery Fund al balzo per cercare di far rientrare una potenziale crisi per la democrazia ungherese. A far scaldare i toni e a mettere a rischio il fondo è stata quindi la proposta al Parlamento Europeo di creare un legame tra accesso ai fondi e rispetto dello stato di diritto secondo i criteri europei.

La posizione assunta opponendo il veto è dunque una manovra molto forte, ma anche potenzialmente pericolosa.

Non approvare il bilancio europeo, infatti, vorrebbe dire che non solo gli stati occidentali non avrebbero accesso al tanto agognato Recovery Fund, ma che gli stessi Stati dell’Europa orientale non riceverebbero i fondi di cui necessitano assolutamente, e anche solo un ritardo nella loro elargizione potrebbe danneggiarli gravemente. È quasi un gioco d’azzardo quello intrapreso da Orban e Morawiecki, talmente rischioso che verrebbe facile per le istituzioni europee ignorare il più al lungo possibile questa presa di posizione dando per scontato un cambio di idea repentino motivato dal bisogno.

Ma proprio la forza di questa presa di posizione a livello politico fa temere il fatto che un cambiamento d’opinione non sia poi così scontato, e l’Europa si prepara al piano B. L’esito di una videochiamata tra la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli sembrerebbe aver condotto all’ipotesi dell’instaurazione di un meccanismo tale per cui si possa attivare il Recovery Fund escludendo i due Stati. Una proposta tutt’altro che improbabile a questo punto. Paolo Gentiloni, Commissario UE per l’economia, ha infatti dichiarato che l’Europa non si piegherà al veto, ma anzi andrà avanti senza di loro se questo si renderà necessario, data l’estrema urgenza del fondo.

Quella di non avviare il meccanismo non è quindi una possibilità contemplata, resta da chiarire come questo avverrà e quali ripercussioni avrà sulle democrazie europee: la soluzione potrebbe cominciare a delinearsi già al tavolo del Consiglio Europeo del 10-11 dicembre che vaglierà le diverse possibilità e a seconda dei toni che prenderà potrebbe essere un passo verso una nuova idea di Europa unita in favore dei diritti e della libertà, ma anche un nuovo appiglio per gli antieuropeisti per dipingere l’Unione come un’entità malvagia che vuole negare la sovranità ai singoli Stati. In ogni caso potrebbe essere l’occasione giusta per quantomeno avvicinarsi all’attivazione del travagliato fondo per il ristoro.

Martina Di Paolantonio
Dal 1999 faccio concorrenza all'agenzia di promozione turistica abruzzese, nel tempo libero mi lamento per qualsiasi cosa.

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