Del: 10 Gennaio 2021 Di: Michele Pinto Commenti: 1

Dall’inizio di dicembre il leader di Italia Viva Matteo Renzi ha intrapreso un’azione di critica e attacco al governo Conte, di cui il suo stesso partito fa parte. Da molte settimane, dunque, nel mezzo di una pandemia virale e alle soglie di una crisi economica che già si annuncia disastrosa, il governo si è ingarbugliato in lunghe discussioni e trattative sulla composizione della coalizione, sulla scelta dei ministri e sulle prospettive della legislatura.

In una prima fase Renzi ha criticato duramente il progetto elaborato dal governo per gestire il Recovery Plan. Conte e alcuni ministri avevano immaginato una struttura piramidale – Conte; i ministri Gualtieri e Patuanelli; sei manager; 300 consulenti – distaccata dal governo e dal consiglio dei ministri e composta da funzionari amministrativi e consulenti esterni. In questo modo la gestione sarebbe stata più indipendente dalla politica e avrebbe consentito di aggirare molte difficoltà burocratiche. Renzi aveva definito il piano «raffazzonato» e si era detto contrario all’esclusione dei politici dalla gestione dei fondi provenienti dal’Unione europea. Sul punto non è ancora stato trovato un accordo e dopo lunghi dibattiti sono attesi per questo weekend l’ufficializzazione del nuovo piano di gestione dei fondi e per settimana prossima il Consiglio dei ministri decisivo.

Le critiche al governo si erano poi allargate a fine dicembre, quando le ministre Bonetti (Famiglia) e Bellanova (Agricoltura) sembravano pronte alle dimissioni. Renzi ha voluto inoltre contestare anche l’apparente centralizzazione di alcune materie nelle mani di Conte, e in particolare il fatto che da mesi il premier trattenga per sé la delega ai servizi segreti, invece che assegnarla a un ministro, come hanno sempre fatto tutti i presidenti del Consiglio. Conte sembrava – e sembrerebbe tuttora – intenzionato a chiedere la verifica della maggioranza in aula, proprio come aveva fatto con Salvini nell’agosto 2019.

Una sfida di questo tipo e l’eventuale volontà di Renzi di andare fino in fondo, fino cioè a votare contro il governo, porterebbero alla caduta di Conte.

Un problema innanzitutto politico sta sul tavolo. Il governo Conte bis, che sembrava una prospettiva di lungo periodo per il Pd e i Cinque Stelle – i due principali partiti della maggioranza – si infrangerebbe, in un momento particolarmente difficile, non tanto per gli errori nella gestione della pandemia e dell’ordine pubblico o per le mancanze dei piani vaccinali e scolastici, ma per la pianificazione e la spartizione delle risorse provenienti dall’Europa. Non un problema da poco, ma nemmeno un punto su cui ci si aspetterebbe la drammatizzazione della crisi. Probabilmente i motivi addotti da Renzi non sono che un casus belli pretestuoso. Già a metà febbraio 2020 aveva minacciato la crisi di governo sulla riforma della prescrizione – che poi è passata senza colpo ferire – e si era fermato solo di fronte all’esplosione dell’emergenza sanitaria in Italia. La sua volontà di far saltare il governo, o quantomeno destabilizzarlo, è evidente. Proprio lui, che ad agosto 2019 aveva estratto dal cappello la soluzione del Conte bis per evitare le urne e la vittoria di Salvini. 

Le azioni e i comportamenti di Renzi – almeno dal dicembre 2016, quando perse referendum e governo – sembrano in effetti una maionese impazzita. Le continue manovre e contromanovre parlamentari e la fondazione di un partito con poche speranze elettorali si sono ormai rivelate per quel che sono, e cioè un tentativo di testimoniare in continuazione la propria presenza e di cercare una centralità irrimediabilmente perduta. Avrebbe potuto fare della battaglia antipopulista la propria missione, come sembrava, ma un’eventuale caduta di Conte potrebbe rafforzare proprio Salvini e Meloni, che si ritroverebbero tra le mani tre strade egualmente luminose: fare un governo di centro-destra, andare alle elezioni e vincerle, arrivare al 2022 ed eleggere il prossimo presidente della Repubblica.

Sugli scenari che seguirebbero alla caduta di Conte giornali e opinionisti si sono allegramente sbizzarriti.

Si è parlato di un nuovo governo Conte con la stessa maggioranza, di un governo Franceschini (l’attuale ministro della Cultura, del Pd) con la stessa maggioranza, addirittura di un governo Draghi sostenuto da tutti (o quasi) i partiti, di elezioni anticipate o di un governo centrodestra-Renzi. La fantapolitica è divertente, ma spesso si trasforma in un gioco inconcludente. Difficilmente un eventuale nuovo governo, o una nuova versione dell’attuale, potrebbe uscire dal perimetro dell’attuale composizione di maggioranza: Renzi giocherebbe ancora il ruolo dell’ago della bilancia, del guastatore e di colui che tiene sotto scacco gli altri partiti. Ma al momento la situazione parlamentare gli consente di farlo, e sole le elezioni potrebbero modificare i rapporti di forza. Un’altra ipotesi circolata è quella del rimpasto o della “crisi pilotata”: Conte si dimetterebbe dopo aver concluso un accordo con Renzi e in breve tempo formerebbe un nuovo esecutivo.

Come spesso è accaduto nelle fasi di passaggio, Conte ha mantenuto un basso profilo, rendendosi disponibile a discutere e raggiungere un accordo. Questa strategia remissiva l’ha già premiato in passato. Il Pd ha taciuto a lungo, di fronte all’agitazione di Renzi, finché Zingaretti ha chiesto che il governo continui, «senza avventurismi né ultimatum», per evitare che la rabbia sociale possa esplodere. In ogni caso la sensazione che si stia consumando una crisi diversa dalle altre è pressante. Cosa vuole Renzi? Cerca solo di aumentare il proprio potere e la presenza di Italia Viva nel governo? Si è già accordato con l’opposizione?

Colpisce soprattuto la freddezza di chi si lancia in giochi di palazzo – che per il momento hanno portato a cambiamenti minimi – nel mezzo dell’attuale situazione interna e internazionale. A tratti è sembrata profilarsi persino una sfida personale tra Renzi e Conte, parallela a quella di un anno e mezzo fa tra Conte e Salvini. I governi nascono e muoiono, com’è giusto e naturale, ma la crisi surreale che si prolunga ormai da alcune settimane senza che si capisca di cosa si discuta e per cosa si litighi ha paralizzato il governo anche su scelte importanti e decisive. Si discute, si rimescolano le carte, si gioca con le figurine a costruire un nuovo governo. Ma questa volta è tutto ben poco comprensibile.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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