Posted on: 27 Gennaio 2021 Posted by: Martina Di Paolantonio Comments: 0
La “crescita” cinese tra economia e libertà

Cosa sta succedendo in Cina a ormai più di un anno dall’inizio della diffusione del Covid-19? Come è possibile che proprio il primo stato a fare esperienza di mascherine obbligatorie e lockdown abbia visto comunque la propria economia crescere nel nefasto 2020? Quando nello scorso gennaio la stampa internazionale iniziava a interessarsi al nuovo Coronavirus, era abbastanza prevedibile il fatto che la Cina si sarebbe risollevata, ma nessuno poteva prevedere una diffusione così ampia del virus e gli effetti che questo avrebbe avuto a livello mondiale. Quando il resto del mondo ha iniziato ad abbassare la saracinesca delle sue attività produttive, la crescita per un qualsiasi stato sembrava piuttosto un sogno irrealizzabile, eppure il PIL cinese è aumentato del 2,3% nel 2020.

Questo risultato incredibile è stato ottenuto in seguito a uno sforzo enorme nell’ultimo trimestre, soprattutto per quanto riguarda tre aree: la produzione industriale, gli investimenti e i consumi.

A quanto pare le misure promesse dal governo di Xi Jinping, che prevedevano degli aiuti quali l’esenzione dalle tasse e dei tassi agevolati sui prestiti hanno dato i loro frutti permettendo alle industrie cinesi di recuperare il tempo perduto e riavviare le produzioni a pieno regime, come è evidente se si guarda al vero cavallo di battaglia dell’economia asiatica: le esportazioni. Solo per quanto riguarda i dispositivi medicali, infatti, ben 224 miliardi di mascherine sono state distribuite all’estero tra marzo e dicembre. In più, la particolare rigidità dei lockdown cinesi ha risvegliato il desiderio di socialità della popolazione, causando un aumento dei consumi (+5%) nelle attività sociali e della ristorazione. Non solo, numerose analisi economiche prevedono che il 2021 sarà un anno ancora più roseo, nel quale il Pil potrà aumentare di circa l’8%, aiutati anche dagli obiettivi che la Cina si è posta per il suo quattordicesimo piano quinquennale, ossia sviluppare i settori scientifico e tecnologico.

In questi termini, sembrerebbe che il risultato economico positivo sia tutto merito dello Stato, ma non è proprio così. Il settore privato, infatti, contribuisce al 60% del Pil, al 70% degli investimenti e al 90% delle esportazioni. Sembrerebbe così sempre di più un’economia “occidentalizzata”, e forse è proprio questa parvenza ad aver spinto l’Europa a concludere le trattative iniziate nel 2014. Il 30 dicembre 2020 è stato firmato un documento contenente i principi, che poi andranno meglio delineati sul piano pratico, di un accordo tra Cina e Unione Europea, il CAI (EU-China Comprehensive Agreement on Investment), che dovrebbe facilitare gli investimenti tra i due e promuovere una certa trasparenza, soprattutto dal lato asiatico, dove la chiarezza informativa per quanto riguarda le questioni statali non è proprio un punto forte. Oltre a questo, sul piano ambientale, il presidente Xi avrebbe anche promesso di eliminare le emissioni entro il 2060, senza però spiegare come.

Tutto ciò significa che la Cina si sta davvero avvicinando all’Occidente?

Mentre l’economia cresce e gli accordi commerciali sembrano sempre più favorevoli (tralasciando il rapporto con gli USA, per i quali in nuovo Presidente Biden non sembra voler assecondare troppo il Paese asiatico), sull’altro piatto della bilancia resta il rispetto dei diritti umani. Se infatti la popolazione spende di più e potrebbe indicare una vita più serena, non bisogna dimenticare i crimini di cui il governo cinese si sta macchiando: l’annosa questione di Hong Kong, la tensioni con Taiwan, il genocidio demografico degli uiguri (minoranza cinese musulmana, contro i quali si pensa che verrà persino utilizzato un sistema di riconoscimento facciale per effettuarne il tracciamento), giusto per citarne alcuni.

Per non parlare poi della censura. Le indagini su Jack Ma, fondatore di Alibaba, sono state censurate dai media nazionali per ordine del governo, indagini peraltro avviate con l’accusa di sospette pratiche monopolistiche (ossia l’accusa di assicurarsi contratti per poter vendere determinati beni solo sulla sua piattaforma, rendendoli indisponibili per i rivali) in seguito a un discorso pubblico tenuto da Ma a ottobre in cui criticava aspramente il governo cinese. La stessa libertà di parola è quindi messa in dubbio, come dimostra il caso di Zhang Zhan, la giornalista che aveva riportato, attraverso video e testimonianze, la dura realtà della pandemia a Wuhan, e che è stata condannata a quattro anni di carcere per “aver provocato litigi e problemi”.

Il 25 gennaio 2021 il presidente Xi Jinping apre il World Economic Forum di Davos parlando di “apertura e inclusività”, forte dell’essere l’unico Paese ad aver concluso positivamente il 2020 e per questo sempre più vicino alla leadership mondiale, ma quanto può essere leader un Paese dove da un lato l’economia è solida ed efficiente ma dall’altro la libertà e i diritti sono completamente assenti?

Martina Di Paolantonio
Dal 1999 faccio concorrenza all'agenzia di promozione turistica abruzzese, nel tempo libero mi lamento per qualsiasi cosa.

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