Del: 25 Gennaio 2021 Di: Simone Santini Commenti: 0
La robotica agricola: intervista a David Reiser

Arare, seminare, raccogliere i frutti: sono tra i gesti più antichi dell’umanità, e anche in futuro probabilmente continueranno a essere compiuti. Forse, però, non dagli esseri umani.

Sulle nostre tavole, infatti, troveremo molto presto il risultato del lavoro dei robot, figli di una rivoluzione che oggi comincia a muovere i primi passi.

Ne abbiamo parlato con il dottor David Reiser

[L’intervista è stata editata per brevità e chiarezza]


Dottor Reiser, grazie per questa intervista anche a nome dei nostri lettori. Potrebbe cortesemente presentarsi per loro? 

Il piacere è tutto mio! Mi chiamo David Reiser e sono un ricercatore specializzato in robotica agricola. Ho studiato meccatronica e ho approfondito durante il mio dottorato la capacità di riconoscere e adattarsi a diversi contesti da parte dei robot agricoli. Dal 2014 lavoro all’Università di Hohenheim (presso Stoccarda, in Germania n.d.r.​ ​)  e dal 2019 sono responsabile di un gruppo di ricerca per la robotica agricola al dipartimento Tecnologia nella produzione del raccolto, sotto la supervisione del professor Hans W. Griepentrog. Al momento stiamo lavorando con un team di quattro dottorandi e quattro studenti magistrali all’automatizzazione della semina, della sarchiatura, del monitoraggio delle messi e alla potatura robotizzata. 


Dal campo della robotica alla robotica nei campi. Quali sono i rischi e i benefici dell’agricoltura automatizzata? 

Dal mio punto di vista ci sono molti vantaggi nell’impiego di robot nell’agricoltura, vantaggi che sono evidenti soprattutto nei Paesi più sviluppati. Il più ovvio tra essi è la riduzione del lavoro manuale per il contadino. Questo potrebbe portare ad abbattere i costi di produzione ed è lo stimolo primario dietro la produzione di robot, che danno il meglio di loro specialmente nei compiti ripetitivi e noiosi. E c’è di buono che gli esseri umani di solito odiano tali obblighi, quindi le macchine non ruberanno posti di lavoro. Esempi tipici sono la sarchiatura, l’aratura o la raccolta dei frutti meccanizzata. Inoltre, si potrebbero rendere economicamente allettanti delle pratiche (per esempio incroci tra ceppi, oltre che raccolto e semina selettivi) che oggi non suscitano interesse, perché richiedono troppo tempo. Questo potrebbe avere enormi effetti sull’ottimizzazione dell’agricoltura e potrebbe garantire la maggior biodiversità possibile. L’idea principale dietro allo sviluppo dell’automazione robotica è infatti quella di mantenere l’impatto ambientale delle macchine il più basso possibile.  

Tuttavia, ogni sviluppo comporta dei rischi, molteplici nel caso dei robot agricoli: c’è sempre un rischio nell’automazione del raccolto e della preparazione del terreno, essendo quasi impossibile codificare stringhe di programmazione per i robot tali da risolvere ogni incognita. Quindi, dovrebbe esserci sempre un piano B che subentri qualora il robot non funzioni come dovrebbe. Nel nostro caso, ci concentriamo sulla riduzione delle dimensioni delle macchine, essendo i piccoli strumenti fonte di minor rischio rispetto, ad esempio, a un’ enorme mietitrebbia. Il malfunzionamento dei robot provocherebbe perdita di raccolto, ed essendo il robot connesso a internet, c’è sempre il pericolo di attacchi hacker agli impianti agricoli. Di conseguenza, la resilienza di dati e infrastrutture sarà fondamentale per l’integrazione dei robot nelle fattorie del futuro.  


Quando pensa che i robot diverranno padroni del settore primario? In un futuro distante o nel giro di poco tempo? 

I robot eccellono in compiti noiosi e ripetitivi mentre non sono minimamente portati per lavorare in ambienti mutevoli e sconosciuti, attivare un processo creativo o relazionarsi con l’imprevisto. Considerando l’agricoltura, troviamo moltissimi parametri sconosciuti con cui è possibile che le future macchine non riusciranno a interagire al meglio, come per esempio le previsioni meteo di un’intera stagione, la localizzazione precisa di una pianta o il riconoscimento dei suoi bisogni. Pertanto, per il contadino ci sarà sempre il compito di interpretare i dati e decidere cosa fare. Penso che i robot del futuro potranno occuparsi dell’esecuzione, ma non del processo decisionale. In agricoltura lavoriamo molto su sistemi di supporto artificiale alle decisioni, tuttavia non penso che il contadino sarà completamente scalzato: la tecnologia è uno strumento per ottimizzare il suo lavoro. 


Non c’è il rischio che, sostituendo con robot i lavoratori dei campi, gli umani si troveranno disoccupati?  

Per niente, cambierà semplicemente il tipo di lavoro. 

Qualcuno deve costruire, sviluppare e mantenere le macchine, oltre che decidere cosa far fare loro. Inoltre, sarebbe di giovamento per mantenere competitiva l’agricoltura dei Paesi sviluppati sul mercato globale: se i compiti non venissero automatizzati, ci sarebbe il rischio di vedere l’agricoltura scomparire nelle aree più ricche. Una mancanza di produzione locale rende gli stati vulnerabili alle crisi globali e ricattabili, con conseguenze disastrose. Certo, va detto che negli ultimi anni serve che sempre meno lavoratori si dedichino all’agricoltura: nel 1949 un contadino in Germania sfamava 10 persone, nel 2018 ogni agricoltore ha prodotto per 140 individui. Questo balzo di produttività ha portato a un calo di persone impiegate nei campi, un trend che penso continuerà anche grazie all’automazione. 


DiWenkla figura come uno dei suoi progetti attuali. Lo può presentare ai nostri lettori? 

Certo! Lo scopo di questo progetto congiunto è garantire che le regioni con piccole fattorie, grazie anche a innovative tecnologie digitali, possano acquisire valore aggiunto e un maggiore accesso al mercato a prezzi bassi. Il lavoro del nostro dipartimento include l’automazione della gestione della coltura del cavolo e di altri ortaggi, con valutazione robotizzata dei parametri di coltivazione. Pertanto, abbiamo costruito un robot in grado prima di piantare cavoli orientandosi con il GPS e poi monitorare la crescita tramite telecamere. Usando il Convolutional Neural Network per calcolare la dimensione della pianta, della foglia e il rendimento in dimensioni. Insieme ai dati dei nostri colleghi cerchiamo di sviluppare delle strategie di sviluppo, ad esempio quanto fertilizzante serve. L’idea è quella di creare un trattamento a livello individuale per ogni pianta, non solo su vasta scala


E, per finire, quale pensa sia la più grande sfida della robotica agricola?  

Bella domanda. Penso che possa essere la capacità di interagire con l’enorme diversità insita nel concetto di “agricoltura”. È impossibile considerare tutte le possibili variabili durante la programmazione e i test delle macchine. Potremmo ripensare i campi per agevolare il lavoro della strumentazione, ma questo richiede grande comprensione da parte dei contadini delle necessità e capacità dei robot. Un’altra soluzione sarebbe rendere i robot più consapevoli del contesto operativo, cosicché possano capire ciò che fanno, quanto siano effettivamente precisi i loro dati e che strategie implementare. Così da sapere di fronte a un problema se possono risolverlo da soli o se devono chiedere aiuto.  

Simone Santini
Nato nel 1999 e studente di Biotecnologia, scrivo racconti per entusiasmare e articoli quando la scienza è il racconto più entusiasmante.

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