Università, assistenza psicologica, emergenza ambientale, disoccupazione femminile: sono tante le questioni che la crisi sanitaria da Covid-19 ha posto in secondo piano. Ma al di là della crisi sanitaria ed economica che caratterizza tuttora le vite di ognuno, c’è un grande assente nel dibattito politico italiano, da ben prima dello scoppio della pandemia: il tema dei diritti civili.
L’importanza della questione si è riproposta sotto i riflettori dell’opinione pubblica la scorsa settimana: mentre nelle Marche il consiglio regionale bocciava la mozione che proponeva la somministrazione della pillola abortiva Ru486 direttamente nei consultori, la Corte D’Appello di Milano con la sentenza 803\2020 obbligava l’INPS a pagare la pensione di reversibilità al figlio rimasto orfano nel 2015 del c.d. ”padre intenzionale”, genitore non biologico all’interno di una coppia omosessuale.
Il caso marchigiano non dovrebbe stupire particolarmente: già nel giugno 2020 il consiglio regionale dell’Umbria aveva preso una decisione non dissimile, disattendendo le linee guida del Ministero della Salute in tema di aborto senza ricovero ospedaliero.
La sentenza milanese dal canto suo ripropone un tema già evidenziato dalla Corte Costituzionale lo scorso 4 novembre 2020: vi è una la lacuna normativa in materia di omogenitorialità.
Solo una legge del Parlamento può colmarla, la giurisprudenza può solo tamponarla in maniera incerta e poco uniforme. Con la sentenza 230\2020, la Consulta è stata costretta a rigettare la richiesta della madre intenzionale di un bambino, nato con fecondazione eterologa, di essere riconosciuta genitore a tutti gli effetti: la questione non è una pura formalità, dal momento che a seguito della rottura con la compagna, madre biologica del bambino, alla donna viene impedito di vedere il figlio che per anni ha cresciuto come suo. Il rigetto della questione è giustificato soprattutto alla luce della legge sulle unioni civili 76\2016, che volontariamente esclude il tema della c.d. ”step-child adoption”, a causa dell’impossibilità di trovare una mediazione con i partiti più conservatori.
Lo stesso 4 novembre 2020 è stato approvato alla Camera il ddl Zan, riguardante le misure di constrasto all’omolesbobitransfobia, alla misoginia e all’abilismo. Il disegno di legge è stato trasmesso al Senato il giorno seguente e da allora è in discussione nella Comissione competente. Ma la strada per l’approvazione della legge sembra piuttosto lunga e tortuosa: oltre alle feroci opposizioni interne ed esterne al Parlamento da gennaio la crisi di governo ha assorbito completamente l’attenzione dei partiti.
Al di là dell’attuale situazione, non è possibile affermare che la mancanza di un dibattito organico sui diritti civili sia frutto dell’instabilità del Governo Conte II, basti pensare alla questione della legge sull’eutanasia, finita ben prima nel dimenticatoio. Nel 2017 l’attivista radicale Marco Cappato aveva accompagnato in Svizzera dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, per usufruire dell’eutanasia, e al ritorno si era autodenunciato per la violazione dell’art. 580 del codice penale, relativo al reato di aiuto al suicidio. L’ordinanza 207\2018 della Corte Costituzionale assegnava al Parlamento italiano il termine del settembre 2019 per varare una legge in tema di fine-vita ed evitare in futuro ulteriori casi simili.
La legge sull’eutanasia si rende necessaria soprattutto a causa di una lacuna presente nella 219\2017 sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento, che permette al paziente di richiedere la cessazione delle cure salva-vita giungendo però ad una morte lunga e dolorosa, lesiva della dignità umana. Né sotto il Governo Gentiloni, né tantomeno con il Governo Conte I, nato a seguito delle elezioni politiche del marzo 2018, è stata colta l’esortazione della Consulta, per cui il termine per la produzione della legge sul fine-vita è spirato senza neanche l’apertura di un dibattito politico.
È innegabile che in piena pandemia gli sforzi della società tutta debbano essere dedicati al superamento di una crisi così profonda, ma al contempo l’incapacità dimostrata dalla politica di prendere posizione su problemi tanto evidenti quanto caratterizzanti per la vita di migliaia di cittadini non può che preoccupare.
Innumerevoli sono gli spazi in cui si rende necessario un intervento diretto del Parlamento, intervento che non potrà avvenire senza una preventiva presa di coscienza interna ai partiti, quanto meno di sinistra. La divisione dei poteri d’altronde serve anche a permettere all’apparato governativo di dedicarsi contemporaneamente a più questioni, per rispondere con efficacia alle esigenze della modernità.
Sebbene i periodici casi mediatici non sembrino sufficienti a risvegliare l’attenzione della politica sui diritti civili, la speranza di un rinnovato interesse non può venire meno: la politica è la scienza del possibile e la tutela delle situazioni di fatto non è solo possibile, ma anche necessaria.