“Prima, donna. Margaret Bourke-White”: così si intitola la mostra che, dopo un periodo di chiusura dovuto alle restrizioni per il contenimento della pandemia da Covid-19, dal 9 febbraio è tornata ad attirare nelle sale di Palazzo Reale un gran numero di appassionati di fotografia, anche se a debita distanza gli uni dagli altri e rigorosamente muniti di mascherine. L’allestimento, che potrà essere visitato sino al 2 giugno 2021, si compone di oltre 100 immagini realizzate dalla celebre fotografa del Novecento e divise in 11 gruppi tematici, così che il visitatore possa ripercorrere agilmente le tappe più importanti della vita professionale e personale di questa donna, nonché gli eventi chiave della storia del secolo scorso.
L’obiettivo di Margaret, infatti, non mancò mai di immortalare persino le verità più scomode, di cui il mondo avrebbe preferito non doversi assumere la responsabilità.
“Per lavorare ho dovuto coprire la mia anima con un velo”, scrive, ricordando gli scatti da lei realizzati a Buchenwald dopo la liberazione. “Quando fotografavo i campi, quel velo protettivo era così saldo che a malapena comprendevo che cosa avevo fotografato. Tutto si rivelava in camera oscura, al momento di stampare le mie immagini. E allora era come se vedessi quegli orrori per la prima volta”. Incredibile è la potenza di queste fotografie, in grado di comunicare l’assurda sofferenza cui un intero popolo è stato condannato: gli occhi dei prigionieri vacui e affossati, quasi volessero rientrare nel cranio; gruppi di uomini simili a scheletri, supplicanti dietro ad un recinto di filo spinato; una donna tedesca che, invitata a rendersi conto delle atrocità messe a punto dai leader della sua nazione, si copre gli occhi con una mano passando di fianco ad una fila di corpi nudi e senza vita.
La professionalità di Bourke-White e la sua determinazione emersero però ben prima della visita a Buchenwald. Essa, già all’inizio della sua carriera, aveva dato prova di essere “una donna di primati” – come è stata definita dalla curatrice della mostra, Alessandra Mauro –, in grado di farsi largo in un ambiente popolato prevalentemente da uomini. Lo raccontano le stesse immagini, legate al mondo dell’industria, da lei realizzate nelle acciaierie a partire dal 1928, quando aprì uno studio fotografico a Cleveland. Non solo: essa fu la prima ad affrontare la fotografia aerea – emblematiche sono a questo riguardo le fotografie che la ritraggono al lavoro sulle impalcature del Chrysler Building a New York, incurante dell’altezza – e a documentare la situazione nel Sud degli USA durante la Grande Depressione, realizzando il libro You Have Seen Their Faces (1937), insieme allo scrittore Erskine Caldwell.
Fu anche la prima ad indossare la divisa di corrispondente di guerra, la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS, la prima fotografa per il settimanale Life; ebbe la possibilità di ritrarre Mohandas Gandhi a poche ore dalla sua morte, dinanzi al suo arcolaio, e di immortalare l’incontenibile folla che prese parte ai funerali del Mahatma, le migliaia e migliaia di teste ondeggianti in preghiera; essa accettò persino di scendere due miglia sottoterra, là dove i visitatori non erano ammessi, per incontrare i minatori d’oro del Sudafrica e catturare i loro giovani corpi spossati, grondanti sudore, documentando l’apartheid – l’ennesimo insensato dolore, insomma, che ad un popolo veniva inflitto in ragione di una sua presunta inferiorità, dell’appartenenza ad una diversa razza.
Le fotografie sono state rese disponibili a questo link dal sito di Palazzo Reale.
Non solo Bourke-White non si sottrasse mai all’arduo compito di raccontare le sofferenze e le ingiustizie cui dovette assistere in prima persona, ma non ebbe timore di mostrare al mondo neppure la propria, personalissima sofferenza, dovuta all’avanzare lento ma inesorabile di una malattia con cui, dal 1952 fino al 27 agosto 1971, giorno della sua morte, dovette imparare a convivere: il morbo di Parkinson. Al suo fianco in quel periodo rimase soprattutto il collega Alfred Eisenstaedt, che su di lei realizzerà per la rivista Life un reportage dal titolo “La lotta indomita di una donna famosa”. Le immagini da lui scattate, estremamente intime e che raccontano di una quotidianità stravolta, dove persino i gesti più semplici sono resi difficoltosi dalla malattia, possono essere ammirate nell’ultima sala dell’esposizione.
Certamente il visitatore, giunto a questo punto, ha già avuto modo di confrontarsi con la personalità di Bourke-White, attraverso gli scatti da lei realizzati ed esposti nelle sale precedenti: scatti che, infatti, non sono impregnati soltanto dei sentimenti e del travaglio dei soggetti immortalati, ma anche della sensibilità di questa donna straordinaria, capace di catturare la nuda realtà, di intrappolare sulla pellicola di una macchina fotografica quelle rughe d’espressione, quegli sguardi, quegli atteggiamenti che molto possono dirci circa la personalità d’un uomo – ed è proprio per questa sua eccezionale capacità che, tra i tanti, i suoi ritratti di Stalin e del Mahatma risultano indimenticabili.
Tuttavia, il visitatore non può dire di aver davvero conosciuto Margaret Bourke-White fino a che non ha la possibilità di vederla dall’altro lato dell’obiettivo: non più fotografa, ma soggetto lei stessa, messa a nudo nella sua fragilità.
Nonostante la frustrazione che l’avrà forse assalita durante la malattia, quando Bourke-White non avrà più la possibilità di scattare e si concentrerà dunque sulla scrittura della sua autobiografia, intitolata Portrait of Myself (1963), osservando le immagini realizzate da Eisenstaedt ci imbattiamo in uno sguardo fermo, indagatore, quasi non fosse il fotografo che la sta immortalando a frugare nella sua anima, bensì Bourke-White stessa a scandagliare le esistenze di coloro che si sarebbero poi soffermati dinanzi a quella fotografia. Ritroviamo, insomma, anche in quest’ultima sala, la caparbietà e la determinazione che da lei ci saremmo aspettati: qualità che l’hanno resa grande e che hanno certamente contribuito a che si decidesse di realizzare questa esposizione nell’ambito del palinsesto promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, intitolato “I talenti delle donne”. Quest’ultimo intende infatti mostrare il contributo che, nel passato così come nel presente, le donne hanno saputo e sono in grado di apportare negli ambiti più disparati, così da poter favorire, tramite la costruzione di una maggiore consapevolezza tra i cittadini, il raggiungimento di quel principio di equità e di pari opportunità che, dalla Costituzione, deve potersi trasferire nella nostra quotidianità.
In copertina: fotografia di Bourke-White scattata nel 1936 in Montana (USA) e pubblicata a questo link dal sito di Palazzo reale.