Da qualche settimana, in Senegal sono scoppiate delle proteste. Le più massicce nella capitale, Dakar. E come in molte ma non tutte le proteste, c’è una causa scatenante, in questo caso l’arresto di uno dei principali oppositori politici dell’attuale governo, Ousmane Sonko del partito PASTEF. Le motivazioni addotte dalle forze dell’ordine consistono essenzialmente nell’accusa di disturbo dell’ordine pubblico. Ad essa, si aggiunge poi anche quella di stupro nei confronti di una dipendente presso un salone di bellezza.
Ma i manifestanti ritengono che l’ordine d’arresto sia partito dall’attuale presidente Macky Sall, dal 2008 capo politico del partito Alleanza per la Repubblica, o comunque da elementi a lui vicini, con l’obiettivo di liberarsi di un oppositore scomodo. Teniamo conto che proprio in occasione delle ultime elezioni, nel 2019, erano stati arrestati con l’accusa di corruzione due oppositori politici di rilievo come Khalifa Sall, noto sindaco di Dakar, e Karim Wade, figlio di Abdoulaye Wade, predecessore di Macky.
Non solo. In quelle stesse elezioni, il PASTEF – nato nel 2014, per iniziativa di giovani funzionari pubblici e privati, professionisti e insegnanti, con parole d’ordine patriottismo, lavoro, etica e fratellanza – era arrivato terzo col 16% dei voti contro il 58% di Sall. Si proponeva così come un serio avversario per le elezioni del 2024.
È facile pensare allora che dietro all’arresto di Sonko ci sia il classico motivo del presidente africano, arrivato al secondo e ultimo mandato, secondo la costituzione, che tenta di sbarazzarsi degli oppositori per poi mantenere in qualche modo il potere.
Facile sì, ma anche azzardato perché il Senegal è ritenuto, a livello internazionale, un’isola di stabilità e di democrazia nell’Africa Occidentale. Del resto, proprio Macky Sall venne eletto nel 2012 dopo che i tentativi di Wade di ottenere illegittimamente un terzo mandato erano stati sventati.
Bisogna dire poi che Sonko è stato rilasciato sotto cauzione, stando a quanto riporta Reuters, lunedì 8 marzo, pur restando incriminato. E i morti, ad oggi, in seguito alle proteste, non sono più di una decina; un bilancio drammatico ma meno grave di repressioni che vediamo proprio in questi giorni in altre parti del mondo.
Ma la situazione è ancora in via di sviluppo così come le proteste, le tensioni e i saccheggi. Anche perché non è solo una questione di politica o libertà. In ballo ci sono la grave mancanza di lavoro, la crisi economica, gli stipendi da fame. Tutte cose che non si risolvono con una concessione.
Del resto, sin dalla decolonizzazione, difficoltà economiche, crisi politiche e moti di ribellione hanno segnato la storia del Paese. Indipendente dal 1960, il Senegal nei primi anni è guidato, caso raro in Africa, da un famoso intellettuale, Léopold Senghor, ma proprio quest’ultimo cede alla tentazione del partito unico e solo dopo ondate di proteste nel 1968 è costretto a reintrodurre il pluripartitismo.
Poi però negli anni ’70 il Senegal è stato piegato da una grave crisi economico-alimentare causata da una forte siccità in tutta la regione del Sahel. Da allora, diverse forze politiche si sono alternate al potere; la democrazia, seppur fragile e sempre a rischio, ha retto, ma non ci sono stati progressi nell’economia, che anzi, è andata via via peggiorando.
La situazione si è aggravata ulteriormente nell’ultimo anno a causa delle restrizioni per il Covid-19 e della crisi globale, per cui i manifestanti accusano il governo di non fare nulla di concreto.
È chiaro allora che l’arresto di Sonko, giovane e alternativo leader politico, è stato la scintilla nella polveriera. Nonostante il rilascio, le cose potrebbero non cambiare in termini di saccheggi e violenze.
Ma c’è di più. Già, perché il Senegal, pur essendo una ex-colonia, ha su di sé ancora una forte impronta francese. I legami anche economici sono stretti, come segnalano ad esempio i numerosi punti vendita Auchan o le pompe di benzina Total. I manifestanti accusano la Francia di Emmanuel Macron di difendere l’attuale presidente e di interferire, in qualche modo, nella politica interna in modo negativo. Il grido di protesta, quindi, è rivolto anche a quello Stato oltre mare, lontano ma anche vicinissimo su tanti punti di vista, incolpato di difendere Macky Sall opponendosi al rinnovamento.
Possiamo forse già parlare dell’ennesimo fallimento di un governo post-coloniale africano incapace di muoversi? È sicuramente prematuro esprimere pareri: la storia del Senegal ha comunque mostrato una miglior tenuta della democrazia rispetto a quanto avvenuto in tanti altri stati africani. Del resto, Sonko ha invitato i suoi seguaci a continuare le proteste, ma pacificamente, e non per rovesciare l’ordine bensì in vista delle elezioni del 2021, mentre Sall ha lanciato appelli al dialogo.