Del: 17 Marzo 2021 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 1
Ricostruzione dei locali Ex-Cuem

Da diverse settimane l’Unione Europea è tornata a far parlare di sé in modo poco glorioso. Questa volta a finire sotto i riflettori mediatici e politici sono i presunti ritardi di Bruxelles nella distribuzione dei vaccini e nella stipulazione dei contratti con le case farmaceutiche. Tuttavia i peccati delle istituzioni europee vanno ben al di là delle loro competenze, rendendo questo J’accuse internazionale – che descrive il piano vaccinale del Vecchio Continente come fallimentare – inconsistente alla prova dei fatti.

Mettere d’accordo i 27 Stati

Secondo le analisi più condivise il ritardo europeo principale lo si trova nei lunghi processi decisionali legati alla necessità di mettere d’accordo i governi dei Paesi membri, in modo da avere un unico sistema di acquisto dei vaccini diretto dalla Commissione. Questo perché si voleva evitare che i membri con disponibilità economiche maggiori procedessero con azioni predatorie verso l’approvvigionamento lasciando i Paesi con minore potere contrattuale a bocca asciutta. Ad esempio, tra maggio e giugno scorso era già in corso un negoziato tra Italia, Francia, Germania e Olanda con AstraZeneca per la fornitura di 300-400 milioni di dosi di vaccino.

L’Europa riuscì a sventare una probabile situazione di tensione promettendo l’accelerazione delle procedure burocratiche e un posto nella DG SANTE (Direzione generale per la salute e la sicurezza alimentare) a tutti gli Stati membri in modo da contrattare con le case farmaceutiche, le quali capirono che le trattative sarebbero state portate avanti definitivamente in modo centralizzato, con poche possibilità di conoscere i contratti delle concorrenti.

Questo ovviamente allungò lo stesso il processo di contrattazione e acquisto rispetto alle tempistiche intraprese da altri importanti attori internazionali, quali gli Stati Uniti.

I rapporti con le case farmaceutiche

Com’è già stato introdotto, le differenze tra UE e altri Paesi come Regno Unito, Stati Uniti e Israele non si trovano solo in materia di piani di acquisto dei vaccini, ma anche sui rapporti e le tempistiche di contrattazione con le case farmaceutiche.

Negli USA già dall’anno scorso era iniziato un processo di massiccio finanziamento di aziende farmaceutiche e prenotazione delle dosi, pari a dieci miliardi di dollari – anche a rischio che i fondi non producessero i risultati sperati. Sempre gli USA hanno concesso alle aziende copertura assicurativa completa, in modo da sollevarle dalla responsabilità in caso qualcosa fosse andato storto nello sviluppo dei vaccini, attraverso il PREP Act. Simili concessioni le ha date il Regno Unito, anch’esso concludendo velocemente gli accordi con le aziende, che si sono trovate subito in contesti molto “amichevoli”.

Altra questione riguarda i prezzi dei vaccini. Gli stessi Paesi non ci hanno pensato due volte a comprare le partite delle dosi a prezzi anche molto più elevati rispetto a quanto sono stati venduti all’UE: ad esempio, Bruxelles paga dai 12 ai 15 euro una dose di Pfizer, Israele più di 40 e gli USA circa 20.

Di conseguenza, all’Europa vengono attribuite le colpe di aver tirato sul prezzo, di aver allungato i tempi burocratici per espletare le procedure di prenotazione delle dosi e di non aver concesso tutte le libertà legali e contrattuali promesse da altri Stati, rendendo di conseguenza molto più “appetibili” e veloci gli accordi con essi. Tutto questo non migliora alla luce dei ritardi delle case farmaceutiche stesse nella produzione e nella consegna delle dosi, il cui problema non è tanto il brevetto ma il numero limitato degli impianti di produzione secondo Pascal Sorot di AstraZeneca. Su questo tema, Pfizer sembra aver individuato diversi siti e aziende europee dove ampliare la produzione. Anche Moderna promette una maggior velocità nella consegna delle dosi pattuite.

Intanto Stella Kyriakides, commissaria europea alla salute, promette tramite l’EMA lo snellimento burocratico e il Presidente del Parlamento Europeo Sassoli annuncia «soluzioni pratiche di concessione di licenze che permettano di accelerare la vaccinazione su grande scala».

La situazione attuale

È giusto un giudizio severo sull’UE? Di certo si può dire che non ha effettuato la migliore performance in una situazione di emergenza come questa ma è una valutazione che si può fare solo col senno di poi. Nessuno poteva avere certezze circa i vaccini fino a qualche mese fa. L’UE ha preferito puntare su un approccio più cauto, nel quale l’obiettivo era di ottenere una gamma di vaccini piuttosto ampia, in modo da non essere vincolati a un singolo produttore – nel caso uno di questi avesse prodotto un vaccino inefficace, avremmo avuto un’ampia gamma di sostituti.

Inoltre la strategia europea ha comunque consentito, come da programma, agli Stati europei con minor potere contrattuale di avere accesso ai vaccini in modo paritario, con maggiori risorse non solo economiche, ma anche organizzative nella gestione delle attività sanitarie.

Va anche ricordato che le lente procedure burocratiche sono dovute al fatto che la materia della sanità è ancora fortemente legata agli Stati, lasciando a Bruxelles un potere d’iniziativa ridotto. Di certo, nessuno si sta divertendo a far aspettare centinaia di milioni di cittadini.

Le vaccinazioni procedono a rilento in tutti gli Stati e l’Italia fino alla nomina del generale Figliuolo era 25° in Europa – il che sembra essere stato uno dei motivi del licenziamento di Arcuri – mentre ora le dosi inoculate al giorno sono raddoppiate (120.000), con la previsione di arrivare a 500.000 a pieno regime, a detta del generale.

L’aumento delle forniture, il nuovo vaccino Johnson & Johnson e le promesse semplificazioni burocratiche dovrebbero accelerare la campagna vaccinale europea. Il quadro su quale sia stata la migliore strategia verrà fuori fra almeno un anno, nella speranza che una buona fetta della popolazione sia stata vaccinata.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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