Del: 18 Marzo 2021 Di: Costanza Mazzucchelli Commenti: 0

Nei Paesi Bassi, a ottobre del 2020, la Commissione per le politiche nazionali sulle collezioni coloniali ha stabilito che il paese dovrà restituire alle ex colonie di Suriname, Indonesia e Paesi Caraibici le opere d’arte ottenute attraverso costrizione o saccheggio.

La Commissione ha redatto un report secondo cui il governo deve investigare, tramite un gruppo di esperti, come i manufatti siano stati ottenuti e realizzare un database in cui raccogliere i pezzi di tutte le collezioni coloniali dei musei olandesi. Si stima che circa il 40% dei 450.000 pezzi conservati nelle collezioni statali provenga da ex colonie.

Il Ministero olandese dell’Istruzione, della Cultura e della Scienza, a gennaio, ha approvato un piano per gestire la restituzione delle opere d’arte, rendendo il governo olandese il primo governo in Europa ad approvare un protocollo centralizzato per la gestione dei beni delle ex colonie. La restituzione sarà subordinata al parere di una commissione indipendente, che ha il compito di valutare le richieste avanzate dalle ex colonie e di analizzare come verranno gestiti i beni una volta rientrati nel paese d’origine. La ministra della Cultura olandese, Ingrid van Engelshoven, ha detto che «non c’è posto nella Collezione statale olandese per i beni culturali che sono acquisiti attraverso il furto». Le opere di cui si può dire con certezza che sono state ottenute con il furto verranno restituite incondizionatamente, per le altre ottenute tramite accordi (anche se bisogna chiedersi quanto potessero essere equilibrati in epoca coloniale) si discuterà con i paesi interessati.

Dal 2017, anche Germania e Francia si sono impegnate, con lo stesso fine, nell’istituzione di legami diplomatici con le ex colonie.

Fondamentale il discorso tenuto nel 2017 dal Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron, a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, che in questa occasione ha promesso che la Francia avrebbe restituito in forma temporanea o permanente buona parte del patrimonio culturale ai paesi un tempo colonizzati. L’anno successivo, Macron ha affidato alla storica dell’arte francese Bénédicte Savoy e all’economista senegalese Felwine Sarr il compito di stendere un report sullo studio della tematica della restituzione delle opere d’arte. Nel Rapport sur la restitution du patrimoine culturel africain. Vers une nouvelle éthique relationnelle (Rapporto sulla restituzione del patrimonio culturale africano. Verso una nuova etica relazionale) si legge:

La questione delle restituzioni punta il dito al cuore di un sistema di appropriazione e di alienazione, il sistema coloniale, di cui alcuni musei europei oggi sono gli archivi pubblici […]. Per un continente dove quasi il 60% degli abitanti ha meno di vent’anni restituire significa garantire ai giovani africani l’accesso alla loro cultura, alla creatività e alla spiritualità di epoche sì passate ma la cui conoscenza e il cui riconoscimento non dovrebbero essere riservati alle società occidentali o delle diaspore che vivono in Europa. I giovani africani, come quelli in Francia e in Europa, hanno un “diritto al patrimonio”.

Secondo Savoy e Sarr i paesi africani devono reclamare la riconsegna di ciò che è esposto in Europa per ricostruire una propria memoria, slegata dalla storia dei paesi colonizzatori; inoltre, una volta ottenuta la restituzione, devono avviare un processo che valorizzi le opere d’arte e le leghi alla storia contemporanea degli Stati stessi, in senso economico favorendo lo sviluppo e aumentando le possibilità di occupazione e in senso culturale permettendo di sentire come forte e tangibile il legame con il passato.

Dalla pubblicazione del report sono state annunciate solo 27 restituzioni e un unico artefatto è stato reso al proprio Paese, il Senegal. Questa lentezza nel tramutare le parole in fatti ha portato molti a sospettare sulle reali intenzioni della Francia e ha spinto alcuni ad agire in autonomia, come a dicembre 2020, quando cinque membri dell’organizzazione Les Marrons Unis Dignes et Courageux hanno sottratto dal museo parigino del Quai Branly un palo funerario del popolo Bari, risalente al XIX secolo: gli attivisti sono stati accusati di furto mentre a loro volta accusavano la Francia di aver rubato i beni dalle ex colonie e di guadagnare sui saccheggi.

Da questo discorso sulla decolonizzazione dei musei non può essere esclusa l’Inghilterra, viste le dimensioni e la portata del suo ex impero coloniale.

Secondo Geoffrey Robertson, avvocato britannico specializzato in diritti umani, il British Museum è il più grande ricettacolo di opere d’arte rubate al mondo. La Nigeria, ad esempio, ha chiesto al museo che vengano restituiti i pregiati bronzi del Benin. A Benin City, in Nigeria, sta sorgendo un museo nazionale, l’Edo Museum of West African Art (EMOWAA), che dovrebbe essere pronto per quest’anno e dovrebbe contare su una collaborazione con il British Museum, affinché i 900 bronzi del XIII secolo (portati in Inghilterra nel 1897 dalle forze armate britanniche) tornino alla loro sede originaria.

Questa istituzione culturale costituirà un primo passo verso una rivoluzione all’interno dei rapporti tra paesi africani e paesi europei: i paesi europei devono iniziare a rispondere di ciò che hanno compiuto nei secoli precedenti, affinché i paesi africani possano riavere indietro il proprio patrimonio culturale quanto prima e proseguire nella costruzione della propria identità storico-artistica.

Per quanto riguarda l’Italia, spesso si è portati a dimenticare che anche il nostro paese ha alle spalle una storia coloniale.

Si tratta di un tema raramente affrontato in modo dettagliato e si tende ad autoassolversi, confrontando le ridotte conquiste coloniali italiane con l’esteso impero britannico o francese. Un caso di studio interessante è il Museo Italo-Africano “Ilaria Alpi”, istituito nel 1923 come Museo Coloniale, con chiare finalità propagandistiche, e nel 2007 integrato nel nuovo progetto museale del Museo delle Civiltà di Roma, per ricostruire la complessità dei rapporti tra Italia e Africa, attraverso circa 12.000 oggetti che testimoniano la presenza italiana in Africa. Alcuni di questi oggetti sono effettivamente frutto di ruberie: in Italia i musei non hanno possibilità di decidere di restituire le opere, compito che spetta al Governo, ma possono per lo meno iniziare a decolonizzare la propria narrazione, riflettere su quanto esposto e mostrare le ombre della storia italiana, analizzata da punti di vista diversi.

Questo tipo di ragionamento parte dalla consapevolezza che il colonialismo non è stato un fenomeno storico circoscritto nel tempo e concluso nel XX secolo: ancora oggi si riverberano tutte le conseguenze di secoli di violenze, razzie, rapporti di potere non equilibrati.

Fino ad ora, spesso si è dato per scontato che i Paesi europei siano meglio organizzati nel gestire il patrimonio culturale, secondo una concezione colonialista e paternalista. Secondo Dider Houénoudé, storico dell’arte del Benin «è doloroso vedere che altri vogliano sempre spiegarci come conservare il nostro patrimonio e la nostra storia, che questi altri hanno meticolosamente distrutto». La ricercatrice e scrittrice ghanese Yaa Addae sta programmando una serie di workshop incentrati sulla conservazione del patrimonio, studiando quale sia il modo migliore per esporre, ad esempio, utensili, per risaltare la loro utilità e non lasciarli inattivi dietro a teche di vetro, come spesso accade nell’ovattato mondo dei musei europei.

Il nostro privilegio, da europei, sta nella comodità di fruire – a distanze ridotte – di arte che proviene da tutto il mondo, nonostante le opere siano rimosse dal loro contesto originario e, dunque, la loro comprensione sia sottoposta a una visione occidentale distorta. I musei non possono essere solo dei contenitori di opere provenienti dai luoghi più disparati, ma devono costruire una narrazione corretta, che integri tutte le comunità coinvolte. Il tema centrale della restituzione pone i musei europei di fronte alle proprie responsabilità e ai propri errori, con l’urgenza di riflettere anche su quanto il mondo stia cambiando e su come le ondate migratorie dall’Africa all’Europa porteranno a ridefinire la pratica della restituzione.

Bisognerebbe infatti consentire a chi viene a vivere in un paese europeo di poter ammirare la propria cultura in un contesto decolonizzato, che non esalti l’azione di conquista europea e la sua presunta missione civilizzatrice, ma che sottolinei l’eguale importanza di tutte le culture, anche e soprattutto se diverse. È quindi essenziale che, qualora si decida di mantenere opere di origine coloniale nei musei europei, vengano coinvolti studiosi e storici dei Paesi interessati, al fine di realizzare un contesto di esposizione il più adeguato, completo e formativo possibile.

Immagine di copertina: Bronzi del Benin (British Museum).

Costanza Mazzucchelli
Classe 2000, studentessa di Lettere. Guardo il mondo attraverso i miei occhiali spessi, ascolto e leggo, poi scrivo di ciò che ho imparato.

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