Del: 9 Marzo 2021 Di: Carlotta Ruocco Commenti: 0

Secondo un report della World Bank, nel 2050 l’umanità genererà 3,40 miliardi di tonnellate di rifiuti ogni anno, aumentando del 70% la produzione di plastica (che oggi si attesta su circa 2 miliardi di tonnellate).

È per cercare di far fronte ad uno scenario così drammatico, che non accenna a migliorare nel futuro, che i legislatori hanno deciso di approvare una serie di normative che limitassero gradualmente l’utilizzo di plastiche monouso, come cannucce, cotton fioc e posate. La nuova legge europea, infatti, che dovrà poi essere recepita da ciascuno Stato membro, vieta il commercio di questo genere di prodotti, per i quali sono state individuate alcune alternative sostenibili sia da un punto di vista ambientale che economico. Inoltre, prevede la norma, entro il 2029, circa il 30% delle bottiglie in plastica deve necessariamente essere riciclato, le bottiglie dovranno poi essere realizzate con materiale riciclato per almeno il 25% del totale entro il 2025. 

A questo punto, due domande sorgono spontanee, una riguardo all’effettivo fattore inquinante della plastica e una in merito all’utilità del riciclo.

Uno studio di Legambiente, svolto nel 2020 e relativo ad alcune spiagge italiane, conferma che, nella metà delle aree campionate, i rifiuti in plastica costituiscono il 90% del totale, in lieve calo rispetto al 2019, complice lo stop forzato di ogni attività dovuto al lockdown.

Tuttavia, il fenomeno si estende ben al di là dei confini del nostro Paese ed ha un impatto mondiale. Solo nel Mediterraneo, ad esempio, ogni minuto finiscono in acqua oltre 33 mila bottiglie di plastica, facendo sì che l’inquinamento di queste acque raggiunga livelli da record, destinati a quadruplicare nei prossimi 30 anni in assenza di soluzioni concrete adottate dagli Stati. 

La plastica, in altre parole, è dappertutto, in ogni angolo del nostro pianeta: sulla cima dell’Everest, in fondo alla fossa delle Marianne e in una remota isola dell’Oceano Indiano, Cocos Island, inaccessibile, ma che nonostante ciò sta subendo un’invasione che rischia di deteriorare irreversibilmente l’ecosistema e l’economia di questa piccola realtà di appena 600 abitanti. Qui, un team di scienziati dell’università della Tasmania, approdato nel 2017 per raccogliere campioni di prodotti, è giunto alla conclusione che l’arcipelago contenesse, oltre ai rifiuti in superficie, più di 400 milioni di microplastiche sepolte nella sabbia, quasi il 93% del materiale esaminato. 

Come ha fatto tutta questa plastica a raggiungere un’isola così remota, fino a poco tempo fa considerata l’ultimo paradiso incontaminato in Australia? La risposta è tanto semplice quanto inquietante. Ogni anno finiscono in mare circa 8 milioni di tonnellate di plastica provenienti dalla terra, che, seguendo le correnti delle acque, riescono poi a raggiungere anche i luoghi più impensabili. Proprio come le spiagge di Cocos Island.

A fronte di questi numeri, proviamo ora a considerare la questione del riciclo, che rimane tutt’ora ai margini delle attività risolutive, come affermato anche da un rapporto OCSE del 2018. A livello globale, infatti, la percentuale di riciclo dei rifiuti in plastica si attesta tra il 14% e il 18%, mentre il resto finisce negli inceneritori, nelle discariche o nell’ambiente (circa il 60%). Messo a confronto con altri materiali, dove si arriva anche al 50%, il riciclo della plastica sembra così una soluzione poco efficace, persino “un mito”.

Per capire davvero se riciclare abbia o meno un senso, occorre innanzitutto distinguere tra raccolta e riutilizzo.

In Italia, ad esempio, i livelli di raccolta sono elevati, a differenza di quelli di riciclo, pari a circa il 30% del totale raccolto. Ma oltre ad essere raccolta, la plastica va selezionata e suddivisa in base ad alcuni criteri, tra cui la composizione chimica, che stabilisce se e come un elemento in plastica possa essere riciclato. Inoltre, spesso gli oggetti di plastica che buttiamo sono contaminati – per esempio dal cibo – e, pur essendo più volte lavati, può essere impossibile portare a termine il processo di riciclo. C’è poi il fatto che quasi mai un prodotto in plastica riciclato risulta in un altro uguale e di pari qualità, come avviene invece per la carta e il vetro. Quasi sempre, infatti, quello che si ottiene è meno pregiato e non potrà essere riciclato all’infinito. 

Un procedimento così elaborato, dispendioso, sia in termini di tempo che di denaro e manodopera umana, e relativamente scarso nei risultati non può essere un business nel quale investire. Il Guardian, in un articolo del 2019, scriveva che, per la prima volta in assoluto, il prezzo delle schegge riciclate superava quello della plastica vergine, rendendo più conveniente per i produttori l’impiego di plastiche nuove.

Una valida e recente alternativa al riciclo meccanico potrebbe essere il riciclo chimico, su cui molti esperti ripongono le proprie aspettative e che prevede la scomposizione chimica dei materiali. Se questa tecnica venisse davvero applicata, significherebbe riciclare la plastica al 100%, ma rimangono da chiarire l’impatto economico e quello ambientale, poiché si teme che i processi di scissione chimica possano rilasciare tossine nell’ambiente. 

Quello che emerge chiaramente da un quadro così allarmante è senza dubbio la necessità di intervenire con urgenza per arginare un fenomeno che corre all’impazzata. E per farlo, sostengono gli esperti, è necessaria un’operazione di coinvolgimento e sensibilizzazione delle persone, a partire proprio dalle aziende. A queste, infatti, verrà sempre più richiesto di contribuire economicamente alla gestione dei rifiuti e di partecipare alla sensibilizzazione del consumatore, indicando modalità di smaltimento e danni da dispersione, in cambio di incentivi alla conversione e allo sviluppo di alternative sostenibili. 

Carlotta Ruocco
Sono nata a Lecco nel 1995 e - circa da quando ne ho facoltà - scrivo. Ho iniziato con gli scarabocchi sul muro della cameretta, poi ho deciso che avrei voluto farne un mestiere. Ci sto lavorando. Nell’elenco delle mie cose preferite al mondo ci sono le colazioni all’aperto, i discorsi pieni e le copertine di Internazionale.

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