Il cavaliere inesistente di Italo Calvino (Oscar Mondadori, 1959) è ambientato nel Medioevo, sullo sfondo del conflitto tra l’esercito di Francia di Carlomagno e gli infedeli. Un Medioevo fantastico, ben lontano dalla storia, ma le cui vicende dei personaggi possono svolgersi in qualsiasi tempo e luogo, tanto gli argomenti sono caratteristici dell’uomo di qualunque era. In quell’accozzaglia rumorosa di soldati provenienti da ogni dove, spicca l’emblematica figura di Agilulfo. Nessuno l’ha mai visto senza armatura e, qualora capitasse, non distinguerebbe nulla: egli è pura coscienza, non possiede un corpo, ma volontà racchiusa in una lucida armatura. La perfezione del suo aspetto, dell’atteggiamento integerrimo e del carattere nascondono la sua l’impossibilità di essere come tutti gli altri: non possiede bisogni fisiologici, non prova emozioni, non gioisce né si duole.
La vita di Agilulfo è mimesi del quotidiano, una mera facciata: dietro la sua impeccabilità, dietro la maschera, vi è un intelletto che non ha (e non avrà mai) né ristoro né pace, che adatta sé stesso a ciò che lo circonda, recitando una parte e fingendo di vivere.
L’azione si svolge attorno ad Agilulfo e alle figure che si muovono all’interno del romanzo, in un gioco di parallelismi che si annodano sempre di più l’uno all’altro: Gurdulù, scudiero disorganizzato e inetto affidato al protagonista, poco pratico del vivere, alter ego dell’impeccabile soldato intellegibile; Sofronia, tratta in salvo da Agilulfo perché attaccata da briganti, e ora da lui ricercata; nudo fratello Torrismondo, in ricerca della verità sulle sue origini; Bradamante, infatuata del prode paladino protagonista e per questo da lei ricercata, a sua volta inseguita da Rambaldo, intervenuto in guerra per vendicare il padre e innamorato di Bradamante, la quale gli ha salvato la vita.
Mischiando fantasia e moralità, Calvino narra del rapporto tra l’esistenza e la coscienza di esistere: il margine di separazione tra i due concetti è molto labile ma, come dimostrano Agilulfo e Gurdulù, è possibile essere coscienti di vivere senza esistere davvero così come si può vivere senza averne davvero coscienza.
Questo tema è tanto antico quanto attuale: nell’ultimo anno, a causa della pandemia, moltissime persone hanno sperimentato questa “inesistenza”. La vita sembra offuscata, attutita, ci siamo chiusi in noi stessi per necessità di sopravvivenza. Per quanto sia doveroso rispettare le regole, è possibile esistere davvero anche dietro ad uno schermo, senza sentirsi come Agilulfo?
Gli schermi sono diventati la nostra cangiante armatura, dietro la quale, volenti o nolenti, siamo costretti a combattere contro un nemico più forte e più inusuale degli infedeli e che, forse, proprio per questo tendiamo a non percepire in maniera doverosa. Non è ancora il momento di spegnere le connessioni e riversarsi altrove. Per quanto doloroso, il moderno Agilulfo ha la possibilità di indossare la sua armatura come una benedizione in grado di proteggerlo in battaglia, ma essa non è più un guscio vuoto: l’intelletto è sempre presente, forse un po’ sopito, pronto a rimettersi in marcia per proseguire verso più limpidi orizzonti.