Del: 18 Aprile 2021 Di: Angela Perego Commenti: 0

A partire dal 30 marzo e fino alla scorsa settimana, il disegno di legge “a sostegno dei principi della Repubblica” (Project de loi confortant le respect des principes de la République) è stato sottoposto al vaglio del Senato francese, portando nuovamente alla ribalta un tema estremamente delicato. Il testo, infatti, approvato il 9 dicembre scorso dal Consiglio dei ministri, contiene misure volte a contrastare il cosiddetto separatismo, termine utilizzato dallo stesso presidente Emmanuel Macron per evidenziare come alcuni soggetti vicini all’Islam radicale tendano a vivere in una sorta di società parallela, creando comunità indipendenti dallo Stato cui appartengono e professando valori contrari a quelli repubblicani. 

L’esistenza di un problema di questo genere era stata ribadita dal presidente della Repubblica francese sin dal febbraio 2020, in un discorso tenutosi a Mulhouse.

In quell’occasione, consapevole di come un’unica struttura possa difficilmente rappresentare e organizzare una comunità che conta ormai circa 6 milioni di persone, e che risulta peraltro divisa dalle diverse sensibilità e nazionalità di origine, Macron aveva mostrato di voler rinunciare ad una gestione statale, “dall’alto”, dell’islam di Francia. Egli si è in questo modo discostato dai tentativi messi in atto dai suoi predecessori, i quali avevano seguito fondamentalmente due diverse direttrici: nel caso della destra, quella di una “gestione consolare” del problema, tramite la ricerca di un dialogo con un partner privilegiato (nello specifico, la Moschea di Parigi), mentre la sinistra aveva preferito una gestione collegiale, attraverso l’istituzione, ad esempio, di un Consiglio francese del culto musulmano (CFCM) nel 2003, il cui operato si era però rivelato inefficace a causa delle eccessive divisioni interne. 

Privilegiando un metodo pragmatico, Macron intende innanzitutto controllare maggiormente le influenze straniere sul culto musulmano in Francia, le quali si esercitano prevalentemente tramite finanziamenti provenienti dai paesi arabi e tramite l’invio di imam che predichino nelle moschee durante il mese del Ramadan. Il progetto di legge a sostegno dei principi repubblicani dispone allora che le donazioni estere ai luoghi di culto superiori a 10.000 euro siano soggette ad un sistema dichiarativo delle risorse (art. 35); che si possa essere sottoposti al divieto di apparire nei luoghi di culto in caso di condanna per provocazione ad atti di terrorismo o per istigazione all’odio o alla violenza (art. 42); che chiunque sia stato condannato per atti di terrorismo non possa guidare un’associazione religiosa per un periodo di 10 anni (art. 43). Una grande importanza viene attribuita anche all’istruzione: per evitare che i giovani possano essere istruiti dalle famiglie per ragioni politiche o religiose, si introduce una limitazione della scolarizzazione a domicilio, consentendo deroghe solo per ragioni particolarmente gravi, rispetto alle quali dovrà pronunciarsi lo stesso Ministero dell’Istruzione (art. 21). 

Tramite l’adozione di questo progetto di legge, molti ritengono che Macron stia cercando di appropriarsi di temi cari all’estrema destra in vista delle elezioni presidenziali del 2022, dove Marine Le Pen promette di dargli del filo da torcere. Dell’efficacia del testo, nel quale avrebbe affermato che “manca tutto”, non dubita soltanto la leader del Rassemblement National, ma anche Bruno Retailleau, leader di LR. Proprio dai senatori di questo gruppo sono stati proposti, nella notte tra martedì 30 e mercoledì 31 marzo, alcuni emendamenti che hanno fatto molto discutere, e che sono stati poi approvati dalla maggioranza senatoriale di centro-destra

All’art. 1, infatti, è stato aggiunto il divieto per coloro che accompagnano gli studenti nelle gite scolastiche di esibire simboli religiosi, fatto che è stato considerato dal senatore di LR Maxime Brisson come una logica estensione della legge del 2004, la quale vieta di portare segni che manifestino in modo ostentato l’appartenenza ad una religione all’interno delle scuole pubbliche. Inoltre, è stato votato un emendamento di Michel Savin volto a consentire ai regolamenti interni delle piscine di vietare l’uso del burkini (il costume da bagno femminile utilizzato soprattutto dalle donne di religione islamica). Entrambe queste previsioni sono state motivate dalla necessità di rispettare i principi di neutralità dei servizi pubblici e di laicità, posizione però criticata dal ministro dell’Interno Gérald Darmanin, il quale ha messo in evidenza il rischio di incostituzionalità di tali misure: né i genitori che accompagnano i propri figli nelle gite scolastiche né gli utenti delle piscine pubbliche sono infatti soggetti al principio di neutralità, applicabile solo ai dipendenti del servizio pubblico. 

Infine, i senatori del gruppo RDSE hanno proposto un emendamento, anch’esso sostenuto da Retailleau, volto a vietare l’utilizzo del velo islamico da parte delle ragazze minorenni all’interno degli spazi pubblici. Il testo non nomina esplicitamente questo capo d’abbigliamento, ma vieta alle ragazze al di sotto dei 18 anni di “indossare indumenti che indicherebbero l’inferiorizzazione della donna rispetto all’uomo”: divieto che era già stato difeso in Assemblea Nazionale da Aurore Bergé (LREM), al quale si erano però opposti con forza governo e maggioranza. 

Chiaramente, dato che il progetto di legge deve essere approvato da entrambe le Camere in un testo identico, con tutta probabilità i tre emendamenti approvati dal Senato non riusciranno a passare in Assemblea Nazionale, dominata da LREM. Tuttavia, questi tre voti hanno permesso alla maggioranza senatoriale di sottolineare le contraddizioni che essa intravede in un esecutivo che «pretende di agire» attraverso un testo «che non cambierà assolutamente nulla». «Ogni volta che abbiamo proposto di inasprire questo testo, soprattutto nei confronti del velo e dei segni ostentati, il governo si è tirato indietro», ha denunciato Retailleau, secondo il quale il velo islamico non solo è una «rivendicazione sessista» e un «segno della sottomissione delle donne, ma anche e soprattutto «la bandiera del separatismo». 

Alla luce di queste dichiarazioni, verrebbe da domandarsi se sia stata presa in considerazione la possibilità che una ragazza adolescente indossi liberamente e consapevolmente il velo islamico.

Inoltre, ci si dovrebbe chiedere se una simile disposizione possa realmente aiutare coloro che quotidianamente vengono private della propria libertà da parte di familiari uomini, anche attraverso l’imposizione di un determinato vestiario: vietare l’uso del velo potrebbe al contrario peggiorare la loro condizione, costringendole ancor più nelle proprie case ed isolandole ulteriormente dalla comunità nella quale vivono. 

Forse, per garantire che i diritti delle donne non vengano calpestati, sarebbe più efficiente agire diversamente, cominciando con il non penalizzare coloro che, velandosi il capo, intendono esprimere la propria identità e praticare una religione nella quale credono. Forse, bisognerebbe semplicemente rendersi conto che il corpo della donna non è un campo sul quale, con il pretesto di “salvarla” e “proteggerla”, possano essere combattute battaglie politiche di ogni sorta. 

Angela Perego
Matricola presso la facoltà di Giurisprudenza, “da grande” non voglio fare l’avvocato. Nel tempo libero amo leggere e provare a fissare i miei pensieri sulla carta.

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