Osservando anche solo empiricamente la scena politica è facile notare come l’avvento di Mario Draghi alla guida del governo abbia prodotto in breve tempo alcuni bruschi cambiamenti. Non solo Matteo Salvini ha rivisto le sue posizioni sull’Europa – pur continuando a coltivare le sue amicizie con le destre polacca e ungherese. Non solo Giuseppe Conte è in procinto di diventare il leader dei Cinque Stelle e di trasformarli in alleati stabili del partito democratico all’interno del centro-sinistra. Soprattutto, Nicola Zingaretti ha lasciato la segreteria del Pd che aveva conquistato con le primarie nel marzo 2019. Al suo posto la dirigenza del partito ha scelto l’ex premier (2013-2014), ex vice-segretario del Pd (2009-2013), ex sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (2006-2008), ex ministro dell’Industria (1999-2001), ex ministro del Commercio con l’estero (2000-2001) ed ex ministro delle Politiche comunitarie (1998-1999) Enrico Letta.
Nonostante il lungo curriculum istituzionale Enrico Letta porta in eredità soprattutto la bruciante vicenda del febbraio 2014, quando Matteo Renzi riuscì a spodestarlo dalla guida del governo grazie a un voto della direzione nazionale del Pd, composta già allora in gran parte dai dirigenti che oggi hanno scelto Letta come nuovo segretario. Tutti ricordano il broncio con il quale Letta consegnò la campanella a Renzi nel corso della tradizionale cerimonia a palazzo Chigi. Dopo quel gesto inconsueto, Letta si dimise anche dalla Camera, andò a Parigi e si dedicò a un’intensa attività accademica come insegnante all’Istituto di studi politici (Sciences Po) di Parigi.
Letta, anche per questi motivi, è al centro di una vasta rete di amicizie e inimicizie politiche, maturate nel tempo o consolidate nelle ultime settimane, che sarà decisiva nella sua esperienza alla guida del Pd.
La sua elezione alla guida del Pd ha messo in fibrillazione il partito, gli alleati e l’equilibrio del governo.
Letta infatti ha impostato la sua azione, fin dall’inizio, con spirito radicalmente diverso rispetto a quella del suo predecessore Zingaretti. Nelle primissime settimane ha avanzato svariate proposte altamente divisive: il diritto di voto ai sedicenni, l’approvazione della legge Zan sul contrasto all’omofobia, l’introduzione dello ius soli, l’approvazione di una legge elettorale maggioritaria. Tutte queste proposte hanno sollevato un nugolo di polemiche, soprattutto tra i partiti di centro-destra che sostengono il governo Draghi con il Pd. L’intento di Letta appare chiaro: uscire dal ruolo di subalternità a Salvini e agire all’attacco, anche in modo destabilizzante e divisivo. Del resto, l’ingresso di Salvini nel governo ha moltiplicato i problemi interni alla Lega – come la contrapposizione tra il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti e lo stesso Salvini – e all’interno della coalizione di centro-destra – come la lite tra Meloni e Salvini per la presidenza del Copasir, il Comitato parlamentare deputato al controllo sui servizi segreti. Inserirsi in queste crepe potrebbe essere la strada che Letta intende battere nelle prossime settimane: le proposte più tradizionalmente di sinistra, particolarmente divisive, potrebbero ravvivare lo spirito degli elettori e dei militanti del Pd.
Non è un caso che Letta abbia deciso di incontrare Giorgia Meloni prima di Matteo Salvini, quasi a volerla riconoscere come principale interlocutrice all’interno del centro-destra. Secondo alcuni osservatori Letta avrebbe garantito a Meloni l’appoggio del Pd proprio sulla vicenda del Copasir.
L’altro grande tema al centro dell’azione di Letta è l’alleanza con i Cinque Stelle. Letta parla infatti apertamente della costruzione di una nuova alleanza di centro-sinistra – un “nuovo Ulivo”, con riferimento alla colazione progressista guidata da Prodi che vinse le elezioni nel 1996 – con al centro l’asse tra Pd e Movimento Cinque Stelle. L’ascesa di Conte come leader dei Cinque Stelle dovrebbe propiziare questa convergenza, favorendo lo scivolamento verso sinistra dei Cinque Stelle. A fine marzo l’incontro tra i due ex premier si è concluso con Letta che parlava di «nuova affascinante avventura». Letta ha parlato anche della necessità di una legge elettorale maggioritaria che superi l’attuale – il cosiddetto Rosatellum, oggi in vigore, ha una struttura mista tra proporzionale e maggioritario – in modo da poter proporre, alle prossime elezioni politiche del marzo 2023, l’alternativa tra due coalizioni contrapposte di centro-destra e centro-sinistra. Questo schema ricalcherebbe in realtà la strategia che il Pd di Zingaretti e i Cinque Stelle avevano già adottato con la nascita dell’ultimo governo Conte.
La coalizione di centro-sinistra per Letta dovrebbe essere quanto più larga possibile.
Per questo negli scorsi giorni ha incontrato anche i leader degli altri partiti del centro-sinistra, come i Verdi, Sinistra Italia e Azione, il partito di Carlo Calenda. Ha incontrato anche il vecchio rivale Matteo Renzi, in un incontro molto breve che alcuni commentatori hanno giudicato colmo di imbarazzo. Un elemento di ulteriore tensione per l’insieme dei partiti di centro-sinistra deriva dalla necessità di scegliere i candidati per le elezioni comunali dell’autunno, quando andranno al voto Milano, Roma, Torino, Napoli, Bologna e Trieste. Si tratterà di competizioni estremamente rilevanti. Per questo motivo la riluttanza di alcuni grillini come Virginia Raggi a rinunciare alla propria candidatura rappresenta un indizio sicuramente preoccupante.
Letta dunque si trova a dover gestire molte questioni aperte e molti vecchi e nuovi avversari. Dovrà essere in grado di rivitalizzare il Pd senza compromettere il sostegno al governo Draghi: aumentare la tensione con Salvini senza rompere il filo che lega la maggioranza. Non sarà facile.