Del: 17 Aprile 2021 Di: Arianna Locatelli Commenti: 0
Le foto vincitrici del World Press Photo 2021

Anche quest’anno il 15 aprile sono state annunciate le fotografie vincitrici del World Press Photo, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo. A causa della pandemia, come per il 2020 la cerimonia si è tenuta online. Due i premi più importanti: il World Press Photo of The Year, che premia la miglior foto dell’anno, un singolo scatto, e il World Press Photo Story Of The Year, progetti a lungo termine che raccontano in una serie di immagini un’intera storia. Sono stati 20 i premi assegnati in totale, divisi tra singoli scatti e storie.

Ed è proprio la pandemia la protagonista del concorso: lo scatto che si è aggiudicato il titolo di foto dell’anno è infatti The First Embrace di Mads Nissen, fotografo danese del Politiken già vincitore del World Press Photo nel 2015 per la stessa categoria.

The First Embrace, Mads Nissen

Agosto 2020, San Paolo, Brasile: l’ottantacinquenne Rosa Luzia Lunardi, positiva al covid e da tempo isolata nella casa di riposo Viva Bem di San Paolo, riceve un abbraccio da Adriana Silva da Costa Souza, un’infermiera che circonda l’anziana attraverso dei teli di cellophane che dividono le due donne. Lo scatto di Nissen racchiude mesi di pandemia mondiale, di difficoltà, emergenze, di categorie a rischio, di solitudine e dolore. E questa immagine è oggi ancora più attuale: sono infatti proprio del 15 aprile i drammatici dati che arrivano dal Brasile riguardo al Covid-19. Con 3.459 decessi nelle ultime 24 ore, superando così i 360.000 morti totali, il Paese sudamericano si porta al secondo posto nella classifica mondiale dei paesi con il maggior numero di decessi, dopo gli Stati Uniti.

Il Brasile sta vivendo la fase più acuta della pandemia anche a causa della pessima gestione dell’emergenza da parte del presidente Bolsonaro: gli ospedali sovraccarichi non riescono a gestire questi numeri e le infermiere del principale ospedale di Rio de Janeiro hanno raccontato di aver dovuto intubare dei pazienti da svegli per mancanza di sedativi. Tra le vittime ci sono anche centinaia di bambini. Il fotografo danese ha dichiarato: «Per me questa è una storia sulla speranza e sull’amore nei momenti più difficili. Quando ho saputo della crisi che si stava svolgendo in Brasile e della scarsa leadership del presidente Bolsonaro che ha trascurato questo virus sin dall’inizio, che lo ha definito “una piccola influenza”, ho sentito davvero il bisogno di fare qualcosa al riguardo».

Il premio storia dell’anno se lo è invece aggiudicato un italiano, Antonio Faccilongo con il progetto Habibi, in arabo “amore mio”, un reportage sul contrabbando di sperma nelle carceri israeliane da parte dei detenuti palestinesi e delle loro famiglie, che vogliono preservare i loro diritti riproduttivi. Questo lavoro, i cui scatti sono stati fatti tra il 2015 e il 2019, racconta le storie di amore che sopravvivono durante il drammatico conflitto israelo-palestinese e mostra le conseguenze della guerra sulle famiglie palestinesi spezzate.

Protagoniste del reportage sono le mogli dei prigionieri politici. Uno degli scatti raffigura una donna, Lydia Rimawi, sdraiata su un divano con lo sguardo perso nel vuoto: attende il marito, arrestato nel 2001 e condannato a 25 anni di carcere perché coinvolto nell’omicidio del ministro del turismo israeliano Rehavam Ze’evi. Visitare i propri parenti nelle carceri israeliane non è affatto semplice. I visitatori devono passare una serie infinita di controlli o posti di blocco prima di poter parlare per soli 45 minuti con i propri familiari: un iter a ostacoli che Antonio Faccilongo ha raccontato in particolare attraverso due immigini, una che ritrae un gruppo di donne al posto di blocco a Beit Seira, in Palestina, e l’altra ancora di Lydia Rimawi, colta all’inizio del lungo viaggio in autobus attraverso tre posti di blocco per portare il figlio Majd in visita al marito. Un altro scatto raffigura una donna con in braccio due gemelli: sono i figli di Amma Elian, il cui marito sta scontando l’ergastolo dal 2003, nati in seguito alla fecondazione in vitro, a Tulkarm, in Palestina, il 25 gennaio 2015. Dall’inizio degli anni 2000, grazie il contrabbando di sperma, sono nati circa un centinaio di bambini in Palestina.

Ahmed Najm, amministratore delegato di Metrography Agency e membro della giuria del Concorso fotografico 2021, a proposito di Habibi ha dichiarato: «La prospettiva fotogiornalistica del fotografo, insieme all’unicità della storia, hanno creato un capolavoro. Questa è una storia di lotta umana nel 21 ° secolo: una storia su quelle voci inascoltate che possono raggiungere il mondo se noi, la giuria, agiamo come medium. Mostra un altro aspetto del lungo conflitto contemporaneo tra Israele e Palestina».

Un altro italiano è stato premiato in questa edizione del World Press Photo: si tratta di Lorenzo Tugnoli, con il reportage Port Explosion in Beirut per la categoria Spot News stories.

Injured Man After Port Explosion in Beirut, Lorenzo Tugnoli

Anche per la sezione Environment la fotografia vincitrice tratta un’altra problematica legata al coronavirus: il fotografo statunitense Ralph Pace nello scatto California Sea Lion Plays with Mask ha immortalato un leone marino che osserva incuriosito una mascherina in acqua. La dispersione nell’ambiente di guanti e mascherine monouso è infatti una delle maggiori minacce ambientali del futuro prossimo. Studi recenti stimano che ne vengono utilizzate circa 129 miliardi a livello globale ogni mese, ovvero 3 milioni al minuto, tutte fatte in microplastiche non biodegradabili: le mascherine rilasciano facilmente sostante nocive nell’ambiente, che in breve tempo avranno ripercussioni indirette gravi su animali, uomini e piante.

California Sea Lion Plays with Mask, Ralph Pace

Sperando di poter assistere alle premiazioni dal vivo per la cerimonia del 2022, in un’Europa impegnata nei piani di vaccinazione, la foto vincitrice di questa sessantaquattresima edizione è sicuramente emblematica di tutto l’ultimo anno e ci fa capire come siano ancora numerosissimi gli stati al mondo che vedono lontana la fine di questo incubo.

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

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