Del: 27 Maggio 2021 Di: Federico Metri Commenti: 0

L’arte del secondo dopoguerra è stata totalmente influenzata dalla componente del reale, la priorità era quella di ricordare gli scontri ideologici dell’ultima fase della guerra e le forti conseguenze che il conflitto mondiale aveva versato sull’Italia: era necessario raccontare tramite parole o immagini il destino di un Paese in totale ricostruzione e senza un chiaro futuro.

Nel cinema sono soprattutto Rossellini, De sica e Visconti che analizzano minuziosamente il contesto post-bellico dando così il via al movimento neorealista, un movimento cinematografico intento a scattare fotografie che descrivessero la realtà italiana in ogni suo aspetto sociale e culturale. Questa tendenza artistica ha dominato tutto l’arco degli anni ’50 regalando al mondo classici come Ladri di biciclette, Paisà La terra trema, ma alle porte del nuovo decennio e in concomitanza con il boom economico alcuni registi si sono staccati da questa concezione e hanno ribaltato tutti i concetti che il cinema stava seguendo quasi pedissequamente.

Michelangelo Antonioni, dopo qualche documentario e lungometraggio neorealista, sente il bisogno portare l’uomo in primo piano e al centro dell’analisi filmica lasciando così il contesto sociale come semplice sfondo della narrazione. Questo piccolo ribaltamento di intenzione ha completamente cambiato il cinema italiano permettendogli di allinearsi con la cinematografia europea e concentrarsi sull’analisi dei personaggi, delle loro emozioni e quindi entrare all’interno della psicologia umana. Il film simbolo di questo cambio epocale è La notte, uscito nel 1961 e seconda pellicola di Antonioni della trilogia esistenziale insieme a L’avventura L’eclisse, con protagonisti Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Monica Vitti. 

Uno scrittore di successo e la moglie vivono nella nuova Milano nata dagli anni ’60, dalla rivoluzione economica e che sta dimenticando la tragedia della guerra. Il giorno della pubblicazione del suo nuovo libro vanno a trovare un caro amico ricoverato in ospedale, lì parlano della vita, del nuovo libro e della morte mentre emerge immediatamente la crisi relazionale tra i due coniugi. Lui si intrufola in una camera e bacia una paziente, lei quando viene a saperlo non sembra toccata, come se non importasse, come se nulla avesse più senso in quel rapporto. 

I due arrivano alla presentazione del libro, Giovanni si trova circondato dalla gente, da una fama sterile e che per lui inizia a non significare più niente dubitando così della sua professione e del suo ruolo da scrittore. Lidia invece resta sola in un angolo, sovrastata dalla fama del marito, decide poi di uscire da quell’inferno alla ricerca di qualcosa per cui sorridere in un silenzio disturbante, dove gli unici rumori sono quelli degli aerei, degli elicotteri e del futuro. 

La sera decidono di uscire e bere in un locale, parlano ma senza rendersi conto che non si stanno dicendo niente perché non hanno più niente da dirsi, da rinfacciarsi, da nascondersi.

Dopo poco si stancano e decidono di raggiungere la festa di alcuni amici in Brianza giusto per riempire il vuoto di quella serata. Quella notte sarà il punto di svolta della loro relazione, quella notte sarà per entrambi un viaggio solitario nei sentimenti, nelle paure e fuori dalla soffocante abitudine che li sta lentamente spegnendo. Quando poi si incontreranno di nuovo all’alba riusciranno a dirsi quello che provano realmente o resteranno incastrati in quella incomunicabilità che li ha portati fino a quel punto di non ritorno?

La notte copre meno di una giornata milanese di una coppia benestante qualunque piena di noia, silenzio e tristezza. Lidia e Giovanni sono due persone vuote che non riescono più a comunicare, incastrate in una routine frustrante e Antonioni riesce perfettamente a comunicare tutto questo con una regia molto lenta, con movimenti di macchina sempre uguali immersi in una quiete fastidiosa. Quando arriva la notte però tutto cambia, si esce dalla Milano neocapitalista dove tutto è sterile e si entra in una realtà dove è facile guardarsi dentro e affrontare i problemi che sono rimasti per troppo tempo nascosti sotto la superficie.

Le parole iniziano ad emergere, i dialoghi smettono di essere vacui e diventano strumento di confronto fino alla bellissima alba, fino alla resa dei conti che deciderà il futuro di una coppia che non si ama più da molto tempo. Antonioni riesce perfettamente a scavare nell’anima dei suoi personaggi, grazie anche alle formidabili interpretazioni attoriali, e sviscerare in meno di due ore il concetto dell’alienazione umana, del contrasto arte-capitalismo e del disagio esistenziale che emerge quando si è incastrati in qualcosa che spegne il proprio essere. 

Federico Metri
Assiduo lettore, appassionato di cinema e osservatore del mondo. Comunico attraverso una scrittura personale e senza filtri.

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