Del: 9 Maggio 2021 Di: Alice Sebastiano Commenti: 0

Il nuovo fanatismo: quello dell’emancipatissimo social network, che spesso simpatizza con il motto «ho sempre ragione io». La nobile libertà di espressione ha oggi duplice volto, e spesso tra i due prevarica quello oscuro, seppur scambiato per illuminante. Nell’ambito della comunicazione di massa sarebbe praticamente impossibile riferirsi ad una fonte di obiettività autentica, poiché tutto dipende non solo dal cosiddetto target, ossia la fascia di pubblico che si raggiunge (classica dinamica pubblicitaria), ma anche dal rapporto critico che si stabilisce con l’oggetto in esame; rapporto stimolato dalla consapevolezza che l’origine del contenuto è sempre appesa alla perplessità di un altro.

Il capovolgimento di una tale consapevolezza è ciò che più di qualsiasi altro equivoco può generare confusione nel pensiero, lasciando alcuni lettori impigliati nelle considerazioni – anonime – fatte proprie, dogmatizzate e ostili a un qualsiasi genere di contrattacco proveniente dall’esterno. Si tratta di opinioni incorniciate in assolute verità, come palloncini ad elio legati a polsi intorpiditi da uno spago allacciato troppo stretto, di modo che il sangue non circoli più regolarmente.

Ci troviamo dinanzi a un fenomeno di cannibalismo per cui, con l’avvento di approssimazioni sempre più discutibili, ingenue e sbrigative, la prospettiva di un rifacimento intellettuale può dileguarsi o irrobustirsi, in quest’ultimo caso contrapponendosi ai sottoprodotti abbracciati da un pubblico sempre più minimalista e desideroso di frammenti inconcludenti, e così mai sazio. Lìinconcludenza lascia largo spazio alla libera interpretazione che può degenerare in fantasticherie dall’agito precipitoso ed impulsivo. Un errore, quello dell’eccesso di superficialità, che già si scovava quando la maggioranza delle notizie si incontravano su base cartacea, quando gli occhi in corsa dei lettori regalavano la loro attenzione talvolta soltanto ai titoli sensazionalistici dei periodici, sentendosi già appagati, e pronti al passaparola deleterio.

Oggi però entra in gioco un nuovo fattore che gioca a risiko (dal tedesco: rischio) con le menti: l’artigianato dei tweet, dei post, dei click che catapultano a risorse parziali di giudizio, sentenze deboli e talora prive di antitesi, insigni al principio di unanimità più radicale ad esclusivo nei confronti chi diverge.

Dove si crea contatto, si crea movimento di opinione, e ciò potrebbe risultare un dinamismo dalle efficaci potenzialità.

D’altro canto, lo stesso fenomeno, nell’era dell’informazione, fa sì che il diritto di parola sia concesso a chiunque: qualsiasi entità dietro allo schermo ha così licenza di esposizione, e il guadagno culturale, inevitabilmente, subisce una precipitosa svalutazione. Le testate giornalistiche – che avanzano per abbonamenti, non pubblicità – si avvalgono di maggiore affidabilità: questo perché articoli proposti da redazioni giornalistiche sono obbligatoriamente sottoposti a limitazioni, verifiche e autorità superiori (CNLG) cui uniformarsi, laddove Internet è una foresta pluviale dalle selvagge e brutalmente infinite – come anche indefinite – opportunità.

Ma tra un mezzo di comunicazione a pagamento – editoria giornalistica –, e uno gratuito –innumerevoli blog e siti web di dubbia sorgente –, l’utenza non esita a prediligere, per apparente convenienza, la seconda delle due opzioni. Quindi, come fare?

Il rifiuto categorico delle nuove formule divulgative non è la chiave per far fronte al pericolo che esse comportano; lo è invece la capacità di vagliare i contenuti, per poter così “attraversarli”, fluirci dentro, traendone distillati di significati. La “fame di bufale” è da considerarsi come una malformazione non di carattere congenito, nemmeno come una malattia cronica, ma al contrario come un sintomo dal quale è possibile guarire: il segreto sta nella paziente formazione e conseguente conservazione di un’attitudine selettiva che assicuri la possibilità, nell’interminabile moltitudine disponibile, di valutare l’attendibilità di volta in volta.

Parallelamente a ciò, ulteriore rischio in cui si possa incorrere è senz’altro quello della sindrome di scetticismo radicale, risultato di una realtà che celebra l’assoluta (e per questo sinistra) libertà di espressione, facilissima e rapidissima. Navigare costantemente in un oceano di informazioni che mescolano presunta autorevolezza con il carisma da influencer induce indubitabilmente a diffidare dal mucchio, perché il minestrone mimetico che ne risulta non si manifesta come garanzia di seria e rigorosa obiettività o di idonea pertinenza. Così l’entusiasmo di un primo momento viene successivamente sconfessato dalla realizzazione della fonte: Internet. Un istituto possente e variegato, e allo stesso tempo autoritario e irresoluto.

E allora che le scuole di primo grado, i licei e le famiglie insegnino ai giovani promessi del web l’arte dell’indagine. Che i bagagli culturali del futuro si mantengano medesimi a quelli del passato; opportuno sarebbe frenare inoltre il discredito della cultura umanistica, ideale sarebbe che quest’ultima viaggiasse di pari passo con quella scientifica. Ma occorre un’aggiunta, necessaria a plasmare i meccanismi del nuovo millennio: l’alfabeto della rete che, se sconosciuto, non permette di comprenderne il linguaggio, provocando solo la nascita di insetti che, come avviene nelle ragnatele, si  incastrano nella tela collosa senza alcuna via di scampo. Il risultato? Analfabetismo funzionale, basti pensare agli episodi più recenti, da Capitol Hill al moto anti-vax.

Un insegnante non dovrebbe impedire ai suoi studenti di effettuare ricerche su Internet qualora necessario, ma dovrebbe sconsigliare loro di affidarsi a un’unica fonte, stimolando la maturazione di quell’indispensabile abilità di confronto e conseguente selezione, è questa una ricetta per costruire la bussola utile a orientare la navigazione nel delirio pullulante sulle nuove piattaforme. In un mondo orientato verso il consumo, sarebbe opportuno permettere perlomeno al giornalismo di sopravvivere come attività che valorizzi il contenuto del prodotto.

Alice Sebastiano
Di Milano. Studio international politics, law and economics, nasco nel 2001 e ho il callo sull’anulare per la pressione della biro sin dalla prima elementare. Elogio la nobile virtù dell’ascolto reciproco. Scrivo per legittima difesa, il piacere personale è poi accessorio.

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