
La bellezza della letteratura sta anche nel far dialogare le epoche, costruendo ponti tra sensibilità affini. Esistono poi sentimenti che travalicano i secoli, le religioni, le ideologie: sono quelle esperienze che appartengono a un comune essere umani, parti di una collettiva interiorità che trascende le differenze. Così, sfogliando le pagine della letteratura medievale, ci si imbatte in storie che parlano a noi e di noi, raccontandoci di un vissuto lontano nel tempo ma che preserva tutta la sua potenza.
È il caso degli scritti di Eloisa, dottissima allieva, amante e moglie di uno dei grandi nomi della letteratura basso-medievale, Pietro Abelardo, che fece della sua travagliata esperienza un epistolario intelligente e profondo.
Eloisa nacque intorno al 1092, frutto di una scandalosa relazione tra Hersint di Champagne Signora di Montsoreau, fondatrice dell’Abbazia di Fontevraud, e il senescale Gilberto di Ghirlanda. La madre la consegnò molto giovane alle cure dello zio Fulberto, canonico a Notre-Dame di Parigi. E’ proprio a Parigi che Eloisa poté avvicinarsi alla cultura delle lettere, raggiungendo una ricca conoscenza delle arti liberali e una solida padronanza, molto insolita per una donna dell’epoca, di latino, greco ed ebraico.
Erano gli anni un cui il sapere medievale veniva investito dalla rinascita del mondo cittadino, con le sue esigenze laiche e i suoi bisogni amministrativi, mentre una nuova mentalità basata sull’argomentazione dialettica faceva il suo ingresso nel mondo della cultura. Uno dei frutti più brillanti e precoci di questo inedito approccio nei confronti della conoscenza è Pietro Abelardo, grande studioso di logica e intelligente innovatore dell’approccio alla teologia con un metodo che rifiutava l’accettazione cieca dei commenti esegetici precedenti e mirava alla formulazione di un ragionamento razionale sui testi religiosi. L’avversione che gli fu rivolta dagli ambienti della “vecchia” cultura è la riprova della dirompente rivoluzione di metodo che Abelardo tentò di apportare alla scuola medievale e che si sarebbe pienamente affermata nei decenni successivi.
A Parigi le strade di Abelardo ed Eloisa si incontrano e si intrecciano in una relazione tanto drammaticamente dolorosa per le biografie di entrambi quanto florida di conseguenze letterarie.
L’amore che nasce tra loro viene scoperto da Fulberto e i due sono obbligati a sposarsi. A nulla servono i tentativi di opposizione di Eloisa, innamorata ma anche decisa a non costringere la propria relazione entro le normative del patto matrimoniale: l’unione avviene, ma gli sposi decidono di vivere separati nel tentativo di preservare quanto più possibile l’immagine di continenza e castità che si confaceva ad un insegnante del calibro di Abelardo. Ed è proprio questa la goccia che fa traboccare il vaso della pazienza di Fulberto.
Scontento della situazione in cui Abelardo aveva costretto la nipote, il canonico invia degli uomini a casa del dotto insegnante per evirarlo. Il fatto ha conseguenze enormi: umiliato, Abelardo decide di farsi monaco e chiede ad Eloisa di fare lo stesso. Lei ubbidisce, ma mentre lui abbraccia con impegno e fede il percorso della monacazione, per Eloisa il monastero sarà sempre il simbolo di una prigionia autoinflitta nel nome di un amore mai estinto ma che non poteva essere più. Il carteggio tra Abelardo ed Eloisa rappresenta il dialogo tra due prospettive inconciliabili: all’instancabile difesa della legittimità del severo intervento divino di lui, risponde la rabbia di lei, sintomo di un’infelicità cocente e della consapevolezza di aver subito un torto dalla provvidenza.
Eloisa rappresenta con lucida e spietata autocritica la sua condizione di monaca, non rinnegando mai l’amore per Abelardo e non risparmiando accuse contro quel Dio che gliel’aveva precluso. Eloisa sa che per lei non ci sarà alcuna Salvezza, perché nulla nel suo percorso di monacazione è finalizzato a Dio: tutto è un sacrificio per Abelardo, tutto trova senso in lui. L’unica vera fede di Eloisa è l’amore, un amore che va oltre le stringenti convenzioni dell’epoca, che supera gli obblighi religiosi e che è il fondamento stesso della sua identità. Lei determina se stessa attraverso l’amore, costringendosi all’impossibilità di rinnegarlo.
A distanza di secoli la lettura delle lettere di Eloisa ancora commuove: raccontano del dramma di una donna dalla sensibilità acuta, che sa sondare senza filtri e senza attenuanti le sue intenzioni, portando alla luce i meccanismi di una trappola a cui lei stessa non può rinunciare. La modernità dell’epistolario di Eloisa sta anche nella sua capacità di svelare le dinamiche dei moti interiori umani, descrivendoci la fenomenologia dell’identità personale. A ben vedere, nel segreto della propria coscienza, ciascuno possiede quell’elemento che considera imprescindibile e al quale non può rinunciare quando descrive se stesso. Per Eloisa era l’amore. E per te?