Negli ultimi tempi è tornato in auge il tema del politicamente corretto nel dibattito pubblico in Italia. Si è iniziato a parlarne nel travagliato e ancora non concluso iter per l’approvazione della legge Zan, quando formazioni politiche contrarie l’hanno accusato pretestuosamente di essere un provvedimento liberticida. Ma il fuoco alle polveri deriva anche da polemiche più recenti: prima di tutto quella sul catcalling; successivamente la discussione sulla puntata del programma “Felicissima sera” di Pio e Amedeo, in cui i due comici hanno usato espressioni discriminatorie con l’esplicito intento di opporsi al concetto di politicamente corretto. Infine, ha avuto un grande risalto la vicenda riguardante la recensione di una giostra di Biancaneve in un parco divertimenti Disney da parte di due giornaliste di una piccola testata locale statunitense, in cui si chiedeva se non fosse opportuno tagliare la scena del bacio finale in quanto “non consensuale”.
Come si può notare, nel calderone delle polemiche sul politicamente corretto finiscono temi diversi tra loro, tra cui le questioni legate al sessismo, alle discriminazioni razziali, all’omotransfobia e sempre più frequentemente a episodi di presunta censura in ambito scolastico o, in generale, su film e cartoni animati.
Quindi è opportuno andare con ordine e iniziare dal caso di Biancaneve in cui una notizia irrilevante viene trasformata dalla destra nostrana, con la complicità dei media, che la importano da tabloid solitamente noti per la loro faziosità, in un attacco all’identità occidentale. La cosa più interessante da rilevare è che questo tipo di narrazione attrae anche l’opinione pubblica meno avvezza al dibattito su questioni del genere e che, non essendo abituata a verificare le notizie quando provengono da grandi testate nazionali, si lascia sedurre dalla facile indignazione, che li porta a scagliarsi in generale contro il “politicamente corretto”. Questo caso specifico non produrrebbe un effetto sostanziale se fosse circoscritto, tuttavia ciclicamente ci sono dibattiti di questo tipo, sulla base di notizie false o di notizie irrilevanti volutamente ingigantite.
La somma di tutto questo produce un’insofferenza dell’opinione pubblica per questioni più importanti, come la lotta contro il sessismo, l’omotransfobia e le discriminazioni razziali, che finisco nel calderone indefinito del politicamente corretto.
Per rendere ancora più complicato il quadro, aggiungiamo il concetto di cancel culture, con cui generalmente si intende il boicottaggio di personaggi più o meno pubblici da parte di gruppi di pressione che invitano al loro licenziamento, a volte riuscendoci, per aver scritto o detto frasi ritenute discriminatorie, oppure per essere stati accusati di molestie. Si tratta di un fenomeno complesso tipicamente anglosassone, in cui ogni caso va valutato singolarmente senza nascondere che e a volte ci sono delle storture che devono essere sottolineate e criticate.
Questa nota serve a chiarire che invece in Italia il termine cancel culture viene invece utilizzato sovrapponendolo a quello di politicamente corretto, perché fenomeni di boicottaggio simili nel nostro paese non esistono o comunque non vengono presi in considerazione. Infatti, molti commentatori nei giorni scorsi hanno fatto notare come Roberto Calderoli, che qualche anno fa diede dell’orango all’unica ministra nera della storia d’Italia, Cécile Kyenge, sia attualmente il vicepresidente del Senato. Alla faccia del “non si può più dir nulla”.
Dopo queste precisazioni arriviamo ad analizzare la questione di Pio e Amedeo, notando come le istanze contrarie a quello che viene definito “politicamente corretto” vengano non solo, come è più facile pensare, dal mondo sovranista, ma anche da quello più moderato e liberale. Per esempio Claudio Cerasa sul quotidiano Il Foglio, il 10 maggio, scrive: «Mentre l’occidente, in ogni dove, si trova costretto a fare i conti con fenomeni osceni di cancel culture, derive incredibili di politicamente corretto, polizia del pensiero schierata a ogni angolo della strada, l’Italia tutto sommato, almeno finora, è riuscita a governare e a contenere bene anche questa forma di estremismo. Pio e Amedeo, con la loro pazza e scorretta comicità, vanno in prima serata e stimolano non desideri di censura ma voglia di dibattito».
La prima parte sostanzialmente riprende quanto detto poco sopra, salvo dare tout court un giudizio negativo della cancel culture, mentre la parte finale ci porta ad affrontare il tema del politicamente corretto riferito a espressioni discriminatorie.
Cerasa elogia Pio e Amedeo affermando che hanno stimolato un dibattito. I due comici, infatti, nel loro monologo, hanno ripetuto che conta il contesto e l’intenzione in cui vengono utilizzate certe parole e hanno invitato persone appartenenti a minoranze, nello specifico neri e omosessuali, a sorridere quando si sentono apostrofare con termini discriminatori. Quello che Pio, Amedeo e chi ne tesse le lodi non si sono accorti è che non esiste contesto peggiore di un programma televisivo in prima serata per banalizzare un tema così importante come quello del rispetto delle minoranze, soprattutto se questa banalizzazione avviene per dar sfoggio della propria spavalderia contro il concetto indistinto di “politicamente corretto”.
In conclusione, quando parliamo di tutti questi temi è importante fare distinzioni e non ridurre tutto a concetti semplicistici, perché come abbiamo visto si parla di cose molto diverse tra loro. Più nello specifico poi, quando trattiamo questioni riguardanti la discriminazione delle minoranze, sarebbe sempre opportuno mettere al centro il loro punto di vista e ascoltare quello che hanno da dire loro, perché queste “battaglie” per la libertà di usare termini discriminatori sembrano solo un tentativo reazionario di reprimere la loro voce, in un momento storico in cui si sta facendo sentire finalmente di più.