Del: 18 Giugno 2021 Di: Andrea Marcianò Commenti: 0

È raro che un film riesca effettivamente a bucare lo schermo, soprattutto di questi tempi. Non perché il cinema sia predestinato a una sorta di decadenza estetica, come asseriscono in molti, ma piuttosto perché persiste una vera e propria crisi d’identità del settore che colpisce tutti, grandi registi e non. 

La nostra attualità ha mandato a soqquadro il cinema, questo perché sta (purtroppo o per fortuna) passando di moda un vecchio modo di porsi allo spettatore e prevale, al suo posto, una goliardica necessità seriale. I film diventano così serie tv ma con episodi più lunghi: si preferisce puntare su cosa ha fatto successo, programmando sequel e prequel di vario genere, diventa essenziale prolungare storie già viste e vissute, gli universi espansi sono ormai ovunque e colpiscono ogni genere di format e brand

Al cinema serve reinventarsi, riscoprirsi, anche con storie semplici ma rudi, eversive, adrenaliniche.

Ed è questo il caso di Druk (Un altro giro nel titolo italiano) a opera di Thomas Vinterberg. Ne abbiamo già parlato riguardo ai film più interessanti in gara agli Oscars 2021, ora che Vinterberg quel riconoscimento se l’è portato a casa meritatamente, serve approfondire la sua ultima pellicola.

Una scena del film con i quattro protagonisti. Da sinistra: Thomas Bo Larsen, Mads Mikkelsen, Magnus Millang. Di spalle: Lars Ranthe

Considerato uno dei maestri del nuovo cinema danese, nonché uno dei fondatori di Dogma 95 insieme a Lars Von Trier, Vinterberg inizia la sua carriera con un capolavoro assoluto come Feast (il primo film sotto l’etichetta del gruppo Dogma 95). Venticinque anni dopo, con Druk, di quei tempi rimane solo qualche scena citazionista, ma non per questo lo si debba considerare un’opera minore: Druk è anzi un nuovo tassello emblematico che segna la carriera di Vinterberg come uomo geniale, abilissimo nell’adoperare il mezzo cinematografico per far trasparire realtà crude, ineluttabili e dirompenti. 

L’eccezionalità di Vinterberg è quella di essere soprattutto uno degli eminenti registi che fa cinema per la sala. Certo, può essere visto da casa sul televisore o sul pc (o anche sullo smartphone, non giudichiamo nessuno), ma ci sono pellicole, come Druk, che acquistano valore diverso se visto dalla poltroncina di un cinema. L’esperienza è data tutta dal film, e si badi bene che non ci stiamo riferendo a un blockbuster hollywoodiano, bensì a una pellicola europea. Il valore di mercato è nettamente inferiore, ma non che sia un crimine, anzi, proprio per questo è Vinterberg il primo a fare leva sulla forza della propria sceneggiatura, realistica e attuale, come sulla regia, camera a mano e primi piani per incentivare uno sfondo di realismo tipico, e ovviamente sulla tecnicità e la bravura degli attori, Mads Mikkelsen e Thomas Bø Larsen sopra tutti. Se ciò non basta pensiamo ai soggetti principali di Druk: l’alcol e la società danese. Due facce della stessa medaglia, due gemelli separati alla nascita. 

La struttura del film gira intorno a questi due fattori che, cinti vorticosamente, diffondono un messaggio di vita e di gioia dell’essere al mondo.

Partendo infatti dalle ipocrisie e dai problemi diffusi insiti nella Danimarca, Vinterberg ricava un panorama in cui l’alcol è il motore del mondo, e non un problema. È proprio il rapporto che la popolazione danese ha con il bere che affascina e spaventa allo stesso tempo: parliamo di un paese dove è normale socializzare solo dopo quattro o cinque birre, e dove la popolazione giovane (dai quindici anni in poi) inizia a bere proprio per creare un’ambiente sociale consono. In breve, se non bevi, in molti casi, sei escluso dalla socializzazione, l’alcol diventa letteralmente la benzina con cui poter rapportarsi con gli altri.

Questo rapporto che hanno i danesi con le bevande alcoliche (che si può equivalentemente traslare, anche se in maniera molto forzata, verso gli italiani e il cibo) è raccontato da Vinterberg, danese doc, con la leggerezza di chi si rende conto che la vita è troppo corta per disciplinarsi: l’alcol scorre a fiumi e scorrerà sempre, che sia un problema o meno è un discorso a parte, qui si sta parlando di gioia, società, ricchezza e passione, del resto poco importa; e come diceva Humphrey Bogart: «Il problema con il mondo è che tutti sono indietro di qualche drink».

E cosa c’è di più cinematografico di questo? Come godersi un inno alla vita se non al cinema? Prima, nel mentre e dopo la visione, il film è capace di travolgere l’intera sala nella ritmata spensieratezza programmata da Thomas Vinterberg e da Mads Mikkelsen. Vedrete più partecipazione passionale in una sala dove viene trasmesso Druk piuttosto che altrove, e ci si renderà conto della potenzialità, e della bellezza, che l’occhio cinematografico esercita se usato da mani sagge e, soprattutto, se viene usufruito come mezzo per entrare in contatto diretto con gli spettatori.

Non aspettate l’uscita in streaming, Druk è in sala e non c’è niente di più importante del festeggiare la socialità in mezzo alla società. 

Andrea Marcianò
Classe '99, nato sul Lago di Como, studente in scienze della comunicazione, amante di cinema e televisione. Mi piace osservare il mondo dall'esterno come uno spettatore.

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