La recente uccisione del presidente Jovenel Moïse, ad opera di un commando o forse, stando ad alcune fonti, proprio di coloro che erano incaricati della sua sicurezza, ha riportato l’attenzione mondiale su Haiti. Un Paese nel Mar dei Caraibi, già tristemente famoso per la sua condizione di estrema povertà e disordine, che condivide l’isola di Hispaniola con lo Stato confinante della Repubblica Dominicana.
Al momento, a tentare di tener stretti i fili del potere c’è un governo autoproclamato e provvisorio guidato da Claude Joseph. Ma ammesso che ci sia, l’equilibrio è fragile. Lo stesso Joseph nelle ultime ore ha richiesto l’intervento militare di Usa e Nazioni Unite per riportare l’ordine e permettere lo svolgimento di nuove elezioni. Per ora, però, nessun militare sarà inviato dall’esterno.
Il Paese a livello governativo appare diviso in due. Da una parte, l’esecutivo provvisorio di Joseph, ex ministro degli esteri, sostenuto, a quanto sembra, da esercito e polizia; dall’altra, Ariel Henry, che Moïse aveva nominato primo ministro due giorni prima di essere ucciso. Ma la situazione politica è molto più complessa. E decisamente confusa. Ad esempio, a causa di conflitti e incertezze, il Senato haitiano si trova ad avere solo dieci dei trenta membri con un mandato pieno, quello degli altri risulta essere scaduto un anno fa.
E sono forti i sospetti che dietro l’omicidio ci sia l’intenzione di far sprofondare il Paese letteralmente nel caos, spezzando anche il fragile equilibrio preesistente. Ma come si è arrivati a questo punto?
La storia di Haiti “inizia” con la scoperta da parte di Cristoforo Colombo nel 1492. L’isola fu usata negli anni successivi come base logistica dalla compagnia francese delle Indie Occidentali e nel 1697 divenne colonia francese. Come per molti altri territori, il periodo di dominazione coloniale non portò certo uno sviluppo che avesse prospettive al di là dello sfruttamento.
Ma nel caso di Haiti si andò oltre. Un’agricoltura priva di ogni attenzione per l’ambente devastò ampie aree che ancora oggi risultano sostanzialmente desertificate. Gli indigeni locali vennero ridotti in schiavitù fino a estinguersi quasi completamente. Nel frattempo, le piantagioni raggiungevano dimensioni tali da richiedere l’importazione di schiavi dal continente africano.
Con la Rivoluzione francese Haiti sembrò risorgere. Nel 1804 si dichiarò indipendente divenendo uno dei primi Paesi ad aver abolito la schiavitù. Negli anni successivi, però, i governi che si susseguirono arrivarono a versare quasi l’80% del bilancio alla Francia finendo per indebitarsi riducendo allo stremo l’economia locale. Fino ai primi del ‘900, perciò, il passato coloniale rimase passato solo formalmente.
E poi dittature, lotte intestine, lo strapotere di organizzazioni criminali. Con solo effimere parentesi democratiche, come negli anni Novanta con Jean Bertrand Aristide. Senza dimenticare le recenti calamità come il terremoto del 2010 e l’arrivo dell’uragano Matthew nel 2016.
Oggi Haiti è uno dei Paesi più poveri e violenti del mondo e la situazione non sembra destinata a migliorare, anzi.
In questi giorni sono stati migliaia i cittadini del Paese che si sono presentati davanti all’ambasciata statunitense per chiedere di poter emigrare ma è chiaro che coloro che vorrebbero fuggire sono molti di più. Da parte loro, gli USA di Biden hanno fatto sapere che manderanno investigatori dell’FBI per aiutare le forze di polizia locale a fare luce sui mandanti dell’omicidio; ma per il momento non prevedono altro. E anche se, è probabile, nel giro di poco tempo le testate internazionali si stancheranno di parlare di Haiti, la piega degli eventi potrebbe essere tale da riportare il martoriato Paese al centro delle cronache.
La situazione, dopo un lungo percorso di degenerazione politica e sociale, appare così compromessa che la domanda che viene spontaneo porsi oggi è: l’esistenza del secondo Stato dell’isola di Hispaniola, così come si conosceva, è giunta al termine? Sta per aggiungersi, Haiti, al triste elenco degli Stati ufficialmente falliti?
È chiaro che l’intervento esterno, comunque configurato, di per sé non può risolvere i problemi. Lo si è visto in molti Paesi, lo si è visto anche ad Haiti dove la forte presenza di ONG e, per un certo periodo, di truppe ONU non ne ha impedito il disfacimento.
Quello che è mancato e manca, quello che dovrebbe emergere ad Haiti è una società civile con le sue formazioni politiche capaci di istituire un governo con un adeguato sostegno e una linea politica conforme agli interessi degli abitanti. A partire dal minimo: sicurezza, legalità, servizi pubblici di base. Con la capacità di mettere sotto controllo i centri criminali interni ed esterni di potere pubblico e di dar vita a istituzioni con meccanismi che evitino le derive autoritarie.
Immagine in copertina di Susan Mohr, via Unsplash.