Del: 19 Luglio 2021 Di: Simone Santini Commenti: 0

Non siamo universalmente altruisti. Ci sono persone nei cui confronti siamo disposti a spenderci in atti di aiuto disinteressato, mentre le avversità vissute da altri soggetti non fanno scattare in noi la molla dell’azione. Questa affermazione di per sé è quasi banale, scoprire cosa regoli in noi l’impulso ad agire in maniera selettivamente (e, preferenzialmente nei confronti di chi?) altruista tutt’altro.

Un passo avanti nella ricerca di una risposta a questo interrogativo è però stato recentemente compiuto da un team di ricercatori guidato da Daniela Kaufer (professoressa di neuroscienze e biologia integrativa alla University of California-Berkeley) , Inbal Ben-Ami Bartal (professoressa di psicobiologia all’Università di Tel-Aviv) e Dacher Keltner (professore di psicologia alla UC), squadra che proprio alla University of California-Berkeley ha condotto una serie di esperimenti comportamentali su ratti i cui risultati sono apparsi questo mese su eLife.

Durante tale studio, più di 120 ratti allevati in stabulario furono monitorati nel corso di due settimane e sottoposti a un test abbastanza semplice: per ogni coppia esaminata, un ratto veniva chiuso in un cilindro trasparente mentre l’altro era libero di girargli intorno. Utilizzando metodi diagnostici come la immunoistochimica e l’imaging dei livelli di calcio, si è osservato che tutti i ratti liberi provavano empatia (attraverso un circuito neuronale che tocca le regioni sensoriali e orbitofrontali dell’encefalo, oltre che l’insula anteriore) nei confronti del loro compagno prigioniero. Tuttavia, soltanto se il ratto rinchiuso era un consanguineo o un componente del gruppo l’altro cercava attivamente di liberarlo, un’azione altruista derivata dall’attivazione delle vie serotoninergiche e dopaminergiche del nucleo accumbens encefalico, vie che costituiscono il “centro della ricompensa”.

Non sarebbe tanto l’empatia a provocare nei ratti un comportamento altruista, quindi, quanto l’appartenenza del soggetto in difficoltà allo stesso gruppo del potenziale soccorritore. Lo stesso vale anche per gli esseri umani?

Allo stato attuale della ricerca è un azzardo arrivare a tali conclusioni, visto che i ratti a differenza degli uomini non vivono in società basate su presupposti culturali e in relazioni sociali complesse. Inoltre, anche a livello puramente istintuale la differenza interspecie può essere importante: basti pensare che le madri di ratto talvolta divorano parte della loro stessa prole, qualcosa per noi puramente abominevole. Tuttavia è anche vero che, come fa notare Bartal, ratti, esseri umani ed altri mammiferi hanno virtualmente le stesse regioni cerebrali deputate all’empatia e al meccanismo di ricompensa, e ciò suggerisce fortemente che l’altruismo di homo sapiens sia regolato similmente a quanto visto nei ratti dell’esperimento.

Inoltre, la mancanza di una società complessa non implica l’assenza di comportamenti sociali utili a indagare le basi delle relazioni umane: come spiegò Andrea Chiba, scienziata cognitiva dell’UC, al San Diego Union Tribune nel 2015, i ratti giocano insieme, vivono insieme in gruppi definiti e, come visto, si aiutano a vicenda. Ed è proprio sulla socialità dei ratti che ora lo studio californiano vuole puntare per approfondire la nostra conoscenza dell’altruismo inserendo le motivazioni pro-sociali e l’amicizia tra le variabili.

Siamo ancora agli esordi di un percorso affascinante, ma c’è un commento che può già essere fatto: se i dati successivi confermeranno che il meccanismo dell’altruismo è tal anche nell’uomo, allora vorrà dire che una società veramente capace di prestare soccorso ai suoi membri (e in ultima analisi, a sé stessa) non potrà che essere una società inclusiva, capace di far sentire tutti i suoi componenti all’interno di  un gruppo partecipato. Un mondo fatto di settarismi, segregazione e antagonismi intestini, per contro, non riesce neanche a liberare un ratto in California.

Simone Santini
Nato nel 1999 e studente di Biotecnologia, scrivo racconti per entusiasmare e articoli quando la scienza è il racconto più entusiasmante.

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