Del: 4 Settembre 2021 Di: Chiara Di Brigida Commenti: 2
Eutanasia Legale, intervista a Marco Cappato

All’incrocio tra via Palazzi e via Lecco, a Milano, c’è uno dei tanti tavoli presenti in Italia di Eutanasia Legale, Comitato per la legalizzazione dell’eutanasia nato da un’iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni.

Attualmente, infatti, è in atto la campagna di raccolta firme per richiedere un referendum che, in caso di esito positivo, permetterà di ottenere una legge che regolamenti l’eutanasia. La soglia da raggiungere era di 500.000 firme entro la fine di settembre, e, avendo largamente superato tale numero, i tavoli ora proseguono nella raccolta per consolidare il risultato, ma anche per fare informazione sui diritti che già esistono, come il Testamento Biologico, e sui diritti che sono ancora da conquistare.

Una sera, in mezzo a un gruppo di persone impegnate nella campagna, troviamo Marco Cappato: politico, attivista ed esponente della predetta Associazione, divenuto noto soprattutto per la vicenda di DJ Fabo, persona tetraplegica che ha accompagnato in Svizzera nel 2017 per permetterle di ottenere il suicidio assistito.

Lo troviamo alto – molto alto – e simpatico: si avvicina scherzando in inglese con gli altri volontari. Ma quando gli chiediamo dell’eutansia, del suo impegno politico e del referendum, parla senza esitazioni, guardandoci negli occhi, con il carisma di chi sa di essere dalla parte giusta e si dedica a una giusta causa.

Di seguito trovate quindi la nostra intervista-lampo a Marco Cappato, in una colorata e caotica via Lecco.

L’intervista è stata editata per motivi di brevità e chiarezza.


Come mai hai deciso di indirizzare il tuo impegno civile e politico proprio verso l’eutanasia?

In realtà l’Associazione Luca Coscioni si occupa anche di tante altre cose: di libertà di ricerca scientifica, diritto alle cure e all’assistenza e diritti delle persone con disabilità. Quindici anni fa, quando ero segretario dell’associazione, il nostro co-presidente di allora Piergiorgio Welby era malato di distrofia muscolare e mi chiese di aiutarlo a ottenere l’eutanasia. È stato grazie a lui e alla sua urgenza personale che ho cominciato a verificare le possibilità per lui di ottenerla in Olanda, di importare un farmaco… e invece alla fine abbiamo scoperto che sarebbe stato più legale per lui interrompere le terapie. Dal “caso Welby” le persone hanno cominciato a chiamarmi, e a chiamarci riguardo questo tema e non ho più smesso di occuparmene.

Alcuni Paesi europei, da ultimo la Spagna, hanno già legalizzato l’eutanasia: a quale dei diversi modelli ritieni che l’Italia dovrebbe guardare?

Come prima cosa va osservato che nessuno dei Paesi che hanno legalizzato l’eutanasia è tornato indietro: questo è un dato importante, perché significa che l’opinione pubblica non ha mai trovato delle motivazioni per farlo. Io ritengo che ogni Paese debba trovare la sua strada: dipende, ad esempio, da come funziona il sistema sanitario e da quale sia il ruolo dei medici.

C’è tuttavia un aspetto fondamentale che accomuna questi Paesi europei: il diritto di scegliere per persone che hanno una patologia irreversibile, una sofferenza insopportabile e che decidono coscientemente di interrompere la propria vita. Così  chiedono aiuto a un medico. Questo è il nucleo essenziale, le differenze di procedura sono invece dettagli, molto importanti, ma per i quali ogni Paese può scegliere la propria strada.

Nel corso del tuo impegno per l’eutanasia hai aiutato diverse persone a ottenerla. Come è cambiato il tuo rapporto con la morte nel vedere tante persone che la cercano, quando in realtà dai più viene temuta?

Per me non c’è differenza tra una persona che ti chiede aiuto perché ha bisogno di essere curato per stare bene, e una persona che, siccome non ha più altre possibilità, chiede un aiuto per terminare le proprie sofferenze, ponendo fine alla propria vita. Per me è stato un dovere, esattamente come sentiamo il dovere di soccorrere una persona che sta male: quella era la loro scelta, non la mia.

Nessuno di noi può sapere che cosa farebbe in determinate condizioni: siamo tutti diversi. Al posto di DJ Fabo magari altri avrebbero resistito due mesi anziché due anni e mezzo, altri ancora sarebbero andati avanti per molto più tempo. L’importante è rispettare quello che la persona ti sta chiedendo, se non c’è modo di darle delle alternative.

In Parlamento è depositata da ormai 8 anni una proposta di legge sull’eutanasia: a quali motivazioni attribuisci la reticenza del Parlamento nel discuterla?

I capi dei partiti hanno paura: paura del dibattito, di non essere in grado di dare ordini ai loro elettori e ai loro parlamentari. Questo tema infatti non si presta alla disciplina di partito, alla scelta “pre-confezionata” e ideologica. Ciascuno di noi ha delle esperienze in famiglia, a casa, di che cosa significhi stare accanto a un malato terminale, a una persona che soffre. Per questo motivo nessuno è più disposto a seguire la linea stabilita in modo ideologico da qualcun altro, che sia un capopartito, che sia un prete, che sia anche Marco Cappato.

Ormai su questo tema, ed è la ragione del successo di questa campagna referendaria, ciascuno si è fatto una propria idea senza bisogno che debbano dargliela gli altri, e per un capopartito questo è un pericolo, perché non può manovrare il consenso, anzi al contrario sono le persone ad andare da lui e a chiedergli: “perché tu non rispondi su questo?”. Finora infatti c’è stato il silenzio, nessuno dei capi dei grandi partiti ha proferito parola su questo referendum.

A proposito del referendum, le 500.000 firme necessarie per richiederlo sono state largamente superate, sei ottimista per il futuro? Pensi che avrà successo?

La legge prevede che la Corte di Cassazione conti le firme dopo che le avremo depositate l’8 ottobre, successivamente la Corte Costituzionale deciderà sull’ammissibilità costituzionale del quesito, e questo avverrà a gennaio, e infine il voto sarà in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Quindi, salvo elezioni anticipate, il popolo italiano avrà entro tale data il diritto e la possibilità di esprimersi sul tema dell’eutanasia legale.

Per quanto riguarda l’esito, per i referendum degli ultimi decenni il vero ostacolo è stato il quorum, perché questi sono validi solo se il 50% più uno degli elettori va al voto. Spesso la strategia contro i referendum è stata quella di invitare la gente a non andare a votare: secondo me su questo tema sarà più difficile farlo, e io sono molto fiducioso nel fatto che potremo ottenere un risultato positivo.

Chiara Di Brigida
Studentessa di Giurisprudenza con la parlantina sciolta e la polemica facile. Attualmente sposata con la caffeina, adora i fiori, i libri di filosofia e gli U2. Periodicamente (di solito in sessione) sogna di mollare tutto e aprire un chiringuito a Cuba. In realtà vorrebbe fare la giornalista, quindi tiene duro e ritorna sui libri.

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