Il primo settembre il governo repubblicano dello stato del Texas ha approvato una legge estremamente restrittiva che nega il diritto di abortire oltre le sei settimane di gestazione, quando molte donne non sanno ancora di essere incinte. La legge prende il nome di Senate Bill 8 ed è un cosiddetto “heartbeat bill”, letteralmente “legge del battito cardiaco”, in quanto il discrimine tra la possibilità o meno di abortire sarebbe da individuare nella avvenuta o mancata rilevazione da parte dell’ecografia del battito cardiaco embrionale, percepibile di norma attorno alle sei settimane di gravidanza, sebbene entro quel lasso temporale l’organo cardiaco non sia ancora completamente sviluppato. La legge prevede, inoltre, la possibilità di denunciare chiunque assista o agevoli un aborto illegale con una ricompensa di 10.000 $ qualora la denuncia risultasse fondata.
Negli USA, l’aborto divenne legale a seguito della sentenza della Corte Suprema del 22 gennaio del 1973. Si tratta della storica sentenza Roe vs Wade, dal nome della causa di Jane Roe che, sposata con un marito violento, ottenne il diritto all’aborto dell’attesa terza figlia, benché non in tempo utile per interrompere la gravidanza. La sentenza della Corte Suprema Americana fu di capitale importanza in quanto creò precedenti per la possibilità di abortire entro la 28esima settimana (periodo oltre il quale il feto è in grado di sopravvivere all’esterno dell’utero) indipendentemente dallo stato di salute della gravida o del feto e basandosi esclusivamente sulla libertà di scelta della donna.
Attualmente, l’interruzione di gravidanza è quindi legale a livello federale, ma non vi è una legge che regoli univocamente le sue modalità di applicazione, pertanto ogni Stato americano ha la possibilità di circoscrivere i limiti e le modalità entro cui applicare il provvedimento federale. I tentativi di superamento della Roe vs Wade da parte di governatori repubblicani sono stati frequenti, ma perlopiù ostacolati da parte della Corte Suprema. È opportuno però ricordare che, a seguito dell’amministrazione dell’ex Presidente Trump, la Corte Suprema Americana ha accolto sotto il suo mandato ben tre giudici conservatori, cambiando così i suoi equilibri interni. Riguardo il Senate Bill 8, infatti, con 5 voti contro 4, la Corte ha deciso il 2 settembre di non bloccare l’entrata in vigore della legge.
In data 9 settembre l’amministrazione Biden ha fatto causa allo stato texano, accusando la legge di incostituzionalità.
Già il Presidente si era espresso in precedenza con parole molto dure contro il Senate Bill 8, affermando che «è un affronto ad un diritto costituzionale delle donne» ottenuto in virtù della sentenza Roe vs Wade, e che il governo texano consentirebbe così «a completi sconosciuti di intromettersi nelle scelte private e personali di salute delle donne».
Biden ha sottolineato a più riprese come la legge non contempli casistiche eccezionali di alcun tipo, e che quindi l’interruzione della gravidanza non possa essere permessa nemmeno in caso di incesto o stupro. Prima del 1973, infatti, in 13 Stati l’aborto era legale solo in tali circostanze, in 30 Stati era reato di common law e pertanto non poteva essere praticato in nessuna circostanza, e in 3 era legale in caso solo di stupro o pericolo per la donna.
Se gli sviluppi della vicenda sono ancora da definirsi, allo stato attuale molti appuntamenti che erano stati fissati per una data successiva all’entrata in vigore della legge sono stati cancellati da numerosi centri medici onde evitare di incorrere in denunce. Per far fronte a questa situazione e in parte come presa di posizione, molte aziende come Uber, Lyft e Match Group (proprietaria di Tinder, Bumble, Salesforce ecc.) si sono schierate contro la legge, sostenendo le donne texane con aiuti economici per poter abortire fuori dallo Stato o coprendo le spese legali dei dipendenti che accompagneranno le donne a interrompere la gravidanza.