Del: 29 Ottobre 2021 Di: Redazione Commenti: 0
Afghanistan, genesi e sviluppo della crisi: Cecilia Sala in Statale

«A Kabul ricordo di essere passata davanti a un liceo, quando ancora i talebani non si erano impadroniti della città. All’uscita, le studentesse, non ancora donne ma non più bambine, dicevano di voler imbracciare i kalashnikov e partire per difendere la Repubblica. Un kalashnikov probabilmente non lo avevano nemmeno mai visto. Molte vostre coetanee lì hanno scelto di non sposarsi, entrando in conflitto con le famiglie, ma di studiare e quindi lavorare. Ora che ci sono i Talebani non le vuole più nessuno, sono macchiate da un’onta. Cosa dovremmo dire a queste ragazze? Cosa dovremmo dire ai milioni di giovani afgani? Lì non è come qua in Italia, è un paese pieno zeppo di giovani. Non posso pensare che finisca tutto così».

Cecilia Sala, giornalista specializzata in inchieste e reportage internazionali per Il Foglio e WILLita, conclude così il suo intervento del 22 ottobre dal titolo “Afghanistan: genesi e sviluppo della crisi”, tenutosi all’Università degli Studi di Milano e organizzato da Unilab UniMI.

Parole di chi non si accontenta di seguire gli eventi da lontano, ma di una professionista coraggiosa, in prima fila durante i giorni che hanno portato alla fatidica data del 15 agosto.

Proprio il giorno di Ferragosto di quest’anno, i talebani entravano a Kabul, dopo un’offensiva-lampo iniziata a maggio, mentre il Presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan Ghani fuggiva negli Emirati Arabi. La strada era stata spianata dagli Accordi di Doha del febbraio 2020, firmati da Donald Trump con i rappresentanti dei talebani, predisponendo il ritiro totale delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. Un totale disconoscimento nei confronti del governo repubblicano che gli occidentali avevano messo in piedi nel 2001.

Facciamo un salto indietro nel tempo: all’indomani dell’attentato delle Torri Gemelle, George Bush chiese a gran voce la testa di Bin Laden, rifugiatosi nell’Emirato dell’Afghanistan. Il Regime talebano instaurato nel 1996, infatti, finanziava direttamente Al Qaeda e aveva trasformato il paese in un terreno fertile per la Jihad: grande era la presenza di campi d’addestramento nei quali, con tutta probabilità, erano stati formati anche gli attentatori dell’11 settembre.

Il 7 settembre 2001 le truppe anglo-americane iniziarono un violento bombardamento, al quale seguì l’invasione di terra che si risolse, a novembre, nella presa di Kabul. Si instaurò la Repubblica e nel 2004 si svolsero le prime elezioni libere, mentre i Paesi occidentali – compresa l’Italia – avviavano missioni di pacekeeping e di controllo, destinate a durare due decenni.

E nel frattempo cos’hanno fatto i talebani, chiedono dal pubblico. «Si sono ritirati sulle montagne e hanno fatto ciò che meglio sapevano fare: hanno aspettato. “Voi avete gli orologi ma noi abbiamo il tempo”» afferma Sala citando l’antico proverbio afghano.

«Sono stati perseveranti nell’attendere il momento giusto, perché consapevoli che chi si arrende non vince. Hanno avuto l’appoggio dal Pakistan, ma soprattutto hanno fatto attentati». Contro gli americani, gli italiani, contro gli sciiti e la minoranza hazara. Hanno fatto esattamente ciò che fa il ramo afghano dell’Isis, l’Isis-K, dal quale ora sono i talebani a doversi difendere.

«La Rete Haqqani, potente clan da cui proveniva il capo talebano Mullah Omar, oggi combatte l’Isis, anche se prima eravamo noi a dare la caccia a loro. Abbiamo appaltato la sicurezza dell’Afghanistan a quelli che fino a ieri consideravamo terroristi e non si vede come possano risolvere questo problema coi mezzi che hanno.»

Quando a maggio è iniziata l’offensiva talebana nessuno si aspettava che sarebbe successo tutto così in fretta. Nessun esercito occidentale aveva preventivato di ritirarsi d’estate, sarebbe stato un regalo per i talebani. In inverno l’Afghanistan diventa inagibile per il clima e condurre un’avanzata come quella di giugno-luglio non sarebbe stato pensabile. Eppure tra luglio e agosto in Afghanistan erano rimaste solo le forze europee e statunitensi necessarie per condurre l’evacuazione – disastrosa –, le cui immagini sono fin troppo presenti a tutti.

Gli americani hanno sempre detto che le forze regolari afghane avrebbero potuto resistere due anni prima che i talebani entrassero a Kabul. Sala ha un’idea diversa «Diciamocela tutta, nessuno credeva davvero che l’esercito avrebbe resistito. I talebani dislocati nelle province conoscono personalmente i soldati, minacciano le loro famiglie. Hanno una violenza e uno zelo che è impossibile trovare in un esercito regolare».

A chi le chiede come abbia fatto ad accedere a quel paese spaccato e diviso dalla guerra, Sala risponde: «Sono riuscita fortunosamente ad ottenere il visto – me lo ha firmato un segretario del governo dimissionario in mezzo alla strada – e sono entrata tramite un contatto uzbeko ed uno afghano, che mi avvisavano sulla situazione alla frontiera. Dove sarei stata? Chi mi avrebbe condotto in giro? Avevo paura. I fixer, le guide locali per i giornalisti, in quanto collaboratori occidentali erano tutti andati via.»

Ride, quando le chiedono se le promesse di tolleranza e diritti civili siano state rispettate dai talebani. «Dopo l’incontro con gli americani, gli emissari statunitensi li hanno definiti “clean and candid”, addirittura si sono impegnati in prima fila contro il cambiamento climatico». Ora a ridere è tutta l’aula.

Hanno promesso che le donne avrebbero potuto lavorare e andare a scuola, ma dopo la presa di Kabul non hanno perso tempo ad affermare che “potrebbe essere pericoloso per una donna essere vista da un talebano in giro da sola. Non sono abituati”.

Molti di loro sono analfabeti e non hanno alcuna idea di come si gestisca un paese: «al controllo passaporti un talebano mi ha preso il documento, ma lo teneva al contrario. Capisco non saper leggere, ma non saper distinguere il dritto dal rovescio…».

Hanno promesso che avrebbero risparmiato i collaboratori occidentali. «Dipende da dove: a Kabul forse sì, è una grande città. A Jalalabad, nel territorio controllato dagli Haqqani, ho intervistato la famiglia di un ragazzo ammazzato poiché avvocato che collaborava col governo repubblicano. Hanno rastrellato casa per casa, incatenando a morte chi trovavano.»

Cosa possiamo aspettarci adesso? «Non lo so, è una domanda complessa. I talebani sono bravi nella guerriglia, meno a governare.

Sono frammentati, bellicosi tra loro e non controllano il territorio: l’ISIS-K, gli Azari, la Resistenza del Nord di Massud, il Leone del Panshir sono minacce al loro potere. L’unica cosa che sanno fare è impugnare un fucile e promettere la sicurezza agli afghani, ma se gli attentati continueranno come ora, perderebbero il consenso. Non escludo che avranno seri problemi a governare.»

Cecilia Sala, terminata la conferenza, sembra non volersene andare. Rimane a lungo a parlare coi presenti e non si sottrae fino a quando non dicono che bisogna chiudere l’aula; poi, continua a rispondere alle domande anche fuori dall’Università.

Articolo di Edoardo Arcidiacono.

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