Del: 29 Ottobre 2021 Di: Alessandra Pogliani Commenti: 2
Il ddl Zan e la religione del nuovo millennio

“Stratagemmi di Satana”, li chiamava Iacopo Aconcio in un libriccino di fine Cinquecento: cavilli teologici spacciati per imprescindibili cardini dell’ortodossia, piazzati dal Diavolo nell’orto di Cristo per gettare zizzania tra i fedeli e far perdere di vista il bene. Aconcio era uno dei tanti italiani che aderirono alla Riforma e, in particolare, a quel rapporto immediato tra uomo e Dio che era il pilastro della dottrina di Lutero.

Nella nostra penisola la crisi religiosa attecchì su una terra già battuta dall’umanesimo, già percorsa dal rifiuto del principio di autorità che aveva aperto un varco alla critica filologica. Per questo molti italiani di allora sono stati definiti eretici rispetto a tutte le Chiese: pur vicina alla Riforma, la loro era una religione intrisa di pacifismo e tolleranza, indifferente verso i dogmi e le pignolerie ortodosse. Un cristianesimo etico inteso come atteggiamento interiore e scelta cosciente più che come obbedienza a una manciata di verità assolute propinate dalle gerarchie ecclesiastiche.

Cosa ci azzeccano gli eretici di una volta con gli avvenimenti di due giorni fa? Da un paese con un simile retroterra culturale ci si aspetterebbe un presente in cui del ddl Zan non abbiamo bisogno perché il rispetto degli altri è un valore condiviso, e la coscienza collettiva è maturata a un punto tale da inglobare negli “indifferenti”, cose su cui siamo liberi di far come vogliamo perché non danneggiamo nessuno, anche il modo di vivere la sessualità e l’identità di genere.

E invece non solo la discriminazione e le violenze sono all’ordine del giorno, ma una legge che nasce come tentativo di tutela dall’odio è stata affossata senza lasciare spazio a una discussione, con voti segreti, tra plausi e giubili da stadio.

Di fronte alla prospettiva di una sensibilizzazione nelle scuole sui temi dell’omotransfobia, c’è il Vaticano che interviene parlando di violazione della libertà della Chiesa cattolica garantita dal Concordato. E, subito dietro il muro, una malcelata convinzione che di tanto in tanto fa capolino in termini più espliciti: la comunità LGBTQ+, che non è l’unico oggetto del ddl Zan ma sicuro il più scomodo, non merita protezioni speciali perché le manca il beneplacito di Dio – una sessualità che non sia eterosessualità è un pervertimento della natura.

Uno dei pochi appagamenti concessi a chi va rintracciando leggi nella disordinata incoerenza del comportamento umano è la scoperta che l’imbecillità è sempre un comodo abito mentale double face. Di fatti il risvolto dei timorati benpensanti, all’estremo opposto dell’arena, è spesso un folto gruppo che vede la questione dei diritti come una lotta di ragione e civiltà contro il cancro della religione: pericoloso oppio dei popoli, spiritualismo da minorati mentali che inculca principi retrogradi e fa saltare gli ingranaggi sinaptici – c’è da far subito le barricate, deridere i luoghi di culto e quelli che ci mettono piede. Sia mai che a rispettarli ci si abbassi alla loro dogmatica stupidità.

Curioso come non venga il dubbio di essere esposti a un rischio simile: sentiamo l’esigenza impellente di un linguaggio inclusivo solo dopo aver visto usare gli asterischi, oppure condanniamo all’oblio personaggi storici prima sconosciuti giusto perché la nuova moda è abbattere le statue. Le tematiche dell’attivismo diventano le nostre crociate con una rapidità e aggressività impressionante: gadget che non sapevamo essere indispensabili finché non li abbiamo visti in mano agli altri. Pericoloso narcotico delle folle, l’omologazione consumista: la novità del millennio è che si confonde con l’avanguardia illuminata da sinistra. Siamo davvero sicuri che il problema sia la religione in sé?

Ancora più curioso è il fatto che la diffusa professione di ateismo, spesso accompagnata da una presunta superiorità intellettuale rispetto alla marmaglia dei creduloni, al vaglio della pratica si riveli una rarità. La storia, si sa, la fanno le masse – e la maggioranza, con Dio, se la prende eccome: inesistente eppure perennemente nominato invano, tirato in mezzo nei secoli dei secoli con una soddisfazione tale che viene quantomeno il sospetto della sua presenza. Una Provvidenza a cui rimettersi quando si giace sul fondo, un interlocutore recidivo quanto il vizio di sperare oppure, nella prosaicità dei drammi quotidiani, qualcuno a cui imputare l’inferno di noi vivi: la nostra rabbia è la misura della sua consistenza ontologica, e ogni bestemmia, suo malgrado, un atto di fede.

Chi più e chi controvoglia, siamo parecchio religiosi e irrazionali. Altrimenti la nostra inquietudine e frustrazione non si spiega, e nemmeno il linguaggio evocativo che dalla religione prendiamo sempre in prestito, pure quando facciamo politica in modo laico ma vogliamo toccar l’anima.

Ammettiamo che Dio esista. Spingendo alle estreme conseguenze il conservatorismo omotransfobico, si desume che viviamo nel migliore dei mondi possibili, a immagine e somiglianza del suo perfetto inventore, tanto che qualsiasi ritocco sarebbe un abominevole insulto al creato: se ci ha fatti così come siamo, perché trasformarci? Perché cambiare sesso? Eppure basta dare un occhio attorno a sé per vedere che conviviamo in uno spazio che non è esente dalla bruttura, da ingiustizie, e dal male neppure. Dio il male lo permette. È malvagio? Imperfetto?

A voler imboccare l’impervio sentiero della teodicea, un’opera del genere pare più il progetto di qualcuno a cui piace far domande, mentre le risposte si devono approssimare, cercare nel limbo della nostra condizione di umanità mai sazia in cui esistere è resistere, e a ognuno tocca una croce, un conto in sospeso, un percorso di sofferenza.

Anche un corpo che non sentiamo nostro è una prova dolorosa. Chi l’ha detto che dobbiamo accettarlo così com’è, come una prigione che ci va stretta, e piuttosto non aver paura di diventare la persona che sappiamo di essere nel profondo dell’anima? Forse Dio ci vuole dinamici, in divenire. Più coraggiosi e indipendenti nel giudizio, fedeli agli ideali in cui crediamo, a un messaggio di amore che deve sopravvivere a fatica. Si inalbera se smettiamo di crederci, non certo se perdiamo come è successo mercoledì.

E se Dio ponesse domande, piuttosto che dogmi infiocchettati da leggi di natura? Certo ha fatto molto comodo, alla Chiesa cattolica, parlare di un’immutabile legge divina e quindi naturale che deve fare da paradigma per le leggi di noi quaggiù: considerato il ruolo di esclusivo interprete della volontà del Signore che si è sempre riservata, si capisce che se il divenire fosse la regola sarebbe un bel problema controllare tutti quanti con capillare precisione.

Non è un caso che la Controriforma cattolica, rinnovamento e insieme reazione al dilagare dei principi di Lutero, per ri-cattolicizzare le genti abbia insistito su un culto tutto esteriore, fatto di sacralità ai limiti del superstizioso, preghiere recitate a memoria, verità date per inamovibili. A volte sembra che di quella Controriforma stiamo pagando il prezzo ancora oggi, in termini di scarsa coscienza critica individuale. In ogni caso, bisogna fare attenzione a non confondere la religione con le propaggini istituzionali: cristianesimo non è sinonimo di Chiesa, e con Dio si può parlare pure senza intermediari.

Si potrà obiettare: che bisogno c’è di chiamare in causa i piani alti del cosmo? Del resto il ddl Zan e in particolare quella comunità arcobaleno che dà tanto fastidio ai clericali paiono una questione terrena, di diritti umani e proposte di legge fiorite dal basso.

Di religione invece bisogna parlare, e non perché si debba essere credenti per forza e dare il nome di Dio alle nostre esigenze di ordine, ma perché gli insulti sono solo una perdita di tempo, e le persone suscettibili alle lusinghe dell’odio vanno convinte.

L’unico ambito cui si può ottenere una vittoria definitiva è proprio un dialogo sul credo che avocano a mo’ di stendardo. Bisogna chiedere loro in nome di quale Dio stiano parlando, se si ricordano che Gesù era un rivoluzionario nato da una famiglia tutt’altro che tradizionale, che nel discorso della Montagna invita a lasciarsi alle spalle tante cose mondane per seguirlo, famiglia compresa – adiaphora, cose superflue, la cui natura ha scarsa rilevanza rispetto alla fede spirituale. Tormentarli con passi scritturali che non conoscono e insistere fino alla crisi di chi non trova più il Dio di prima e lo chiama a parole sue – chissà che poi, anziché quisquiglie su cosa sia secondo natura e cosa no, salti fuori che l’amore è ovunque proprio perché proteiforme.

E se esiste il male allora è quella fanghiglia camuffata da rettitudine morale che scompiglia le idee e spinge ad atteggiamenti discriminatori, odio, violenza, rifiuto del diverso. Tanto grossolano nei festeggiamenti per il successo della tagliola quanto sottile nel discorso di un mass media che ci tiene a puntualizzare la transessualità di una candidata alle elezioni. Il male è subdolo, tremendo e al tempo stesso banale come una piccola falla in un ragionamento logico, un errore di calcolo: l’autonomia della mente è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per proteggersi dalle sue tentazioni.

Qualora i principi ispiratori del ddl Zan trovassero, in un futuro ottimista, concretezza legislativa, allora non avremo affatto una vittoria tra le mani. Semmai, un’armatura indispensabile per una guerra da fare altrove, a chi ci vuole influenzabili e sempre lì a spiare le vite degli altri, incapaci di spirito critico e mai dissidenti, non stupidi ma convinti di essere tali, con un senso di inadeguatezza addosso che ci persuade di non meritare l’indipendenza del pensiero. Non contro la religione, insomma, ma contro chi la strumentalizza. E pure chi, credendo di insultarla, sputa nel buio. 

Alessandra Pogliani
Ostile al disordine e col cruccio di venire a capo dell’anarchia del mondo, per contrappasso nella vita studio storia.

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