Sono passati trentaquattro anni da quando, il 15 ottobre 1987, l’allora giovane presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara, insieme alla sua scorta, venne assassinato nella città di Ouagadougou, capitale del Paese. All’epoca, il procedimento penale che vedeva tra gli accusati anche l’uomo che avrebbe poi governato il Burkina Faso fino al 2014, Blaise Compaoré, non portò a nulla. Oggi forse il vento è cambiato e proprio nella capitale dovrebbe iniziare finalmente un processo la cui prima udienza era stata fissata per l’11 ottobre, poi rinviata al 25.
Sullo sfondo, un Paese stretto tra Mali e Ghana, nell’Africa occidentale, il Burkina Faso, ex colonia francese, che vanta una lunga storia di instabilità e colpi di Stato.
Poco dopo l’indipendenza raggiunta nel 1960, un primo golpe portò al potere i militari fino al 1978. Finché, nel 1983, salì al potere Saye Zerbo che venne rovesciato da violente proteste popolari scatenatesi dopo l’arresto di Thomas Sankara che ottenne grazie ad esse il potere per essere assassinato pochi anni dopo. Poi, i lunghi anni del governo di Blaise Compaoré, durante i quali ufficialmente la morte di Sankara fu archiviata come un “incidente”. Fino alle dimissioni di Compaoré nel 2014, dopo quattro giorni di proteste popolari, con la sua fuga in Costa d’Avorio. Così, finalmente, un tribunale militare ha finalmente emanato mandati di cattura per l’ex presidente e diversi suoi collaboratori.
Oggi, l’esecutivo guidato dal premier Alassane Ouattara vuole vederci chiaro. Non solo. Sembra che l’intero Burkina Faso, a lungo tenuto in silenzio, voglia avere giustizia per l’omicidio di un uomo, allora molto amato dal suo popolo ma assai meno dalle potenze straniere.
Ma chi era Thomas Sankara e soprattutto, perché è stato assassinato?
Il rebus che dovranno sciogliere i giudici affonda le sue radici nella storia di un personaggio che ancora oggi è ricordato come il Che Guevara d’Africa per le sue idee rivoluzionarie assai diverse da quelle di tanti altri leader del continente. Capitano dell’esercito, una volta salito al potere fin da subito si fece notare a livello internazionale cambiando il nome del suo paese da Alto Volta in Burkina Faso, ovvero la terra degli uomini liberi. Durante il suo mandato si batté per ridurre gli sprechi statali e cancellare i privilegi delle classi più agiate, ottenendo l’apprezzamento di molti ma l’odio di chi vedeva messo in discussione il proprio potere economico e politico.
Come movente dell’omicidio però molti adducono il suo rifiuto di pagare il debito estero di epoca coloniale insieme al tentativo di rendere il Burkina Faso il più possibile economicamente indipendente da Francia, Regno Unito e USA. Furono proprio queste potenze a sostenere il colpo di Stato di Compaoré, assai più conservatore e accomodante.
Sankara era amato, e ancora oggi è ricordato oltre i confini del suo Paese, anche per i suoi gesti, compiuti in un paese ridotto allo stremo dopo la guerra contro il Mali.
Oltre all’impegno per l’emancipazione femminile e l’istruzione, con la costruzione di 351 nuove scuole nel primo anno di governo, resta famoso il discorso che tenne davanti alle Nazioni Unite contro gli effetti del neocolonialismo sull’Africa, il 4 ottobre 1984, e quello contro il pagamento dei debiti coloniali, appena tre mesi prima di essere ucciso.
Un leader per molti versi fuori dagli schemi, Sankara. Basti pensare che in un continente allora polarizzato tra la sudditanza rispetto alle vecchie potenze coloniali e agli USA e l’adesione al blocco socialista Il modello di riferimento della sua politica era quello di Singapore col suo mix di autoritarismo la sua crescita economica e modernizzazione veloce. Anche ombre circondano la figura di Sankara, comunque un dittatore. Una delle sue prime misure fu infatti quella di cancellare i partiti politici, visti come espressione della vecchia élite e i sindacati, oltre a rinnovare drasticamente l’amministrazione statale. Degna di nota anche la condanna da parte di Amnesty International per violazioni dei diritti umani, dopo le esecuzioni sommarie di oppositori politici e i numerosi arresti di leader sindacali da parte dei Comitati per la difesa della rivoluzione.
Oggi il Burkina Faso è uno dei paesi più poveri del mondo, con un prodotto interno lordo in caduta libera, schiacciato dagli effetti del cambiamento climatico che lì vuol dire soprattutto desertificazione. Inoltre, come anche molte testate internazionali segnalano, ampie zone del Paese, specialmente le campagne, sono in balia di organizzazioni terroristiche jihadiste che spingono centinaia di migliaia di persone a rifugiarsi nelle città. In tale contesto, la speranza è che il processo per l’uccisione di Sankara non si risolva nell’ennesima resa dei conti tra gruppi di potere ma sia l’occasione per l’intero paese per fare i conti con la propria storia, ripensare le sue speranze e avviarsi lungo una strada di progresso civile.