Del: 2 Ottobre 2021 Di: Beatrice Balbinot Commenti: 0
Terre Selvagge. La Via degli Dei

Viaggi, esplorazioni, vagabondaggi. In questa rubrica, un’indagine intorno al movimento e al desiderio di spostarsi e cercare altri luoghi.


Bologna-Firenze, a piedi. Khaby Lame probabilmente farebbe una faccia di sufficienza, alzerebbe le spalle, mostrerebbe i palmi delle mani e direbbe: “Falla semplice: prendi un treno!”. Ma questa volta la filosofia del famoso e divertente influencer italiano ha qualche falla: il bello della Via degli Dei è proprio la sfida, la fatica, la soddisfazione che difficilmente Trenitalia potrebbe regalarti.

Il confine tra l'Emilia Romagna e la Toscana
Il confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana

La via, che non è assolutamente un percorso religioso, prende il nome dai toponimi di alcuni luoghi attraversati, che richiamano la mitologia e la religione antica: alla fine della prima tappa è possibile riposare alle pendici del Monte Adone; nei pressi del passo della Futa si incontra il Monte Luario, dedicato alla Dea romana Lua, invocata in guerra; il nome di Monzuno, piccolo paese emiliano che gravita su Bologna, potrebbe derivare dall’unione di mons (monte) e Junonis (di Giunone), mentre il Monte Venere saluta i viandanti dai suoi appena 965 metri di altezza.

Il cammino può essere svolto in sei, cinque o quattro giorni, a seconda del proprio grado di allenamento, mentre se si opta per il percorso in mountain-bike l’esperienza si conclude in 2-3 giorni. Ogni tappa può essere registrata con un timbro nella propria credenziale, che va richiesta all’inizio del viaggio per il costo di 10 euro.

Si parte da piazza Maggiore, a Bologna (ma il percorso può essere anche svolto al contrario, tenendo dunque l’antica facciata di Palazzo Podestà come ultima chicca del lungo viaggio), preferibilmente la mattina presto. La città non è ancora del tutto sveglia, ma già qualcuno, notando i grossi zaini, ti ferma per la strada verso il santuario di San Luca per augurarti un sereno cammino.

Fin dal primo chilometro il contatto con i luoghi e le persone si fa più intenso. Camminando sotto il porticato di San Luca, il più lungo del mondo, si assapora un lato della città che nessuno può spiegare e che passa sempre inosservato nella frenesia degli spostamenti quotidiani. Alcuni odori, le voci nei vicoli, il sole che disegna ombre particolari sulle facciate delle case e il giorno che avanza sono semplici scoperte inaspettate. E proseguendo le sorprese non fanno che aumentare! Il lato solidale e umano delle persone si svela nei piccoli stand posti nel mezzo dei boschi riempiti con viveri e beni di prima necessità (e per beni di prima necessità si intende Compeed e sali minerali), mentre sui sentieri corrono le tracce della storia.

I primi a solcare questo tratto degli Appennini furono gli Etruschi, che per circa quattro secoli si spostarono tra Fiesole e Felsina per sviluppare i loro traffici commerciali. Nel 187 a.C. il console romano Caio Flaminio ordinò l’edificazione di una rete stradale transappenninica denominata in suo onore Flaminia Militare, capace di unire attraverso larghi ciottolati Arezzo con Roma. Infine i viandanti del Medioevo percorsero gli stessi sentieri degli avventurieri di oggi, mentre la vegetazione e il tempo cominciavano a nascondere la straordinaria opera stradale romana.

Camminando, gli scenari variano in fretta: il bosco cede il passo alle strade, e la storia procede. A lato della Strada Provinciale 59 sorge, infatti, il monumentale cimitero militare tedesco, dove riposano 30.000 soldati di Germania caduti sulla linea Gotica. Una struttura piramidale si alza verso il cielo al centro della spirale composta da 16.000 lapidi, ognuna delle quali porta inciso il nome di due soldati. L’effetto del monumento è straniante: nel mezzo della Via, quando i piedi fanno male e la stanchezza comincia a farsi sentire, si è toccati dall’evidenza grigia della guerra e per un po’ l’adrenalina dell’avventura è sostituita dal silenzio della riflessione. La fatica del cammino, la grande impresa personale ormai giunta a metà del suo corso, è ridimensionata di fronte alle tracce del secondo conflitto mondiale.

Cimitero Monumentale tedesco
Cimitero Monumentale tedesco

E mentre ci si immerge nella natura e nella storia, tra riflessioni e chiacchiere, sulle spalle lo zaino inizia a pesare davvero. Perché per quanto bello sia scoprire nuovi luoghi e nuovi volti di posti che già si conoscevano, bisogna parlarsi chiaro: durante la Via si fa fatica, e anche molta.

Il cammino nasce negli anni ’80 per opera di un gruppo di viandanti bolognesi che al suono del motto “Dû pâs e ‘na gran magnè” (traducendo dal dialetto bolognese: due passi e una gran mangiata) si sono diretti verso Firenze rispondendo al richiamo della rinomata tagliata locale.

E sicuramente a loro la motivazione non è mai mancata nel corso dei circa 130 km che li separavano dall’ottima cena, adatta ricompensa alle tante fatiche del viaggio. La motivazione è infatti un elemento che non può essere trascurato quando si decide di affrontare la Via degli Dei: alcuni tratti del cammino (l’asfalto per giungere alla tappa di Monzuno, i saliscendi delle colline toscane, il caldo dell’entroterra durante l’ultima salita prima del camping del Mugello) possono risultare particolarmente duri e il rischio di cedere alla tentazione di comprare il biglietto per svolgere parte del percorso in autobus è sempre dietro l’angolo.

Ma se si rimane concentrati su ciò che l’avventura regala invece che sul male ai piedi e sul peso che grava senza sosta sulle spalle il successo è assicurato. A questo fine può essere molto utile un compagno di viaggio. Il percorso non presenta tratti pericolosi e diversi sono coloro che decidono di partire da soli, per immergersi nella natura delle colline del centro Italia accompagnati solo dal proprio zaino. Va detto però che di fronte ai momenti no, che prima o poi arrivano per tutti, un amico che ti sollevi un po’ l’umore risulta decisamente funzionale. E se non si sa con chi partire? Non è grave! Durante la Via è quasi impossibile non stringere amicizia con altri viandanti: niente lega le persone più della fatica condivisa.

Ridendo e scherzando (e camminando) Firenze appare all’orizzonte. Imperdibile è la pausa sull’iconico divano abbandonato in mezzo ai campi vicino a Olmo mentre sul Pratone, letteralmente un esteso prato sulle colline di Fiesole, si possono fissare le tende e osservare il sole calare sulla meta finale del viaggio, proprio quando tutto intorno la fauna notturna comincia a svegliarsi.

Il divano abbandonato a Olmo
Il divano abbandonato a Olmo

Avvicinandosi alla città i paesaggi collinari spariscono e con un po’ di commozione il viandante accoglie i palazzi e l’asfalto. Dopo giorni passati nella natura il contatto con la civiltà urbana fa un po’ impressione, soprattutto se capita di entrare in Firenze in pieno giorno, quando il traffico di mezzi e di turisti rende difficile muoversi con gli zaini. Ma arrivati a Piazza della Signoria, anche nel mezzo del tran tran quotidiano della città, non è possibile non lasciarsi andare ai festeggiamenti.

Raggiungendo uno dei punti accreditati a Firenze si può timbrare per l’ultima volta la propria credenziale: “Traguardo raggiunto” si legge in caratteri maiuscoli rossi. Collezionando almeno cinque timbri (tre se si decide di compiere il percorso in mountain-bike) è possibile ricevere un piccolo gadget: un alquanto deludente quadernetto di cartone che si riscatta almeno un poco per la soddisfacente scritta “Ho fatto la Via degli Dei!” sulla copertina. E dopo il ritiro del gadget c’è solo un’ultima, doverosissima cosa da fare: la tappa obbligata in un ristorante per una meritata fiorentina.

Con le gambe stanche e la pancia piena si sale sul primo treno per tornare a casa. Seduti sul sedile ci si scambia le foto del viaggio e si ride pensando ai momenti più divertenti dell’avventura, mentre fuori, da qualche parte, corrono i sentieri della Via.

Beatrice Balbinot
Mi chiamo Beatrice, ma preferisco Bea. Amo scrivere, dire la mia, avere ragione e mangiare tanti macarons.

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