“Contributi” è la sezione di Vulcano dove vengono pubblicati gli articoli, le riflessioni e gli spunti che ci giungono da studenti e studentesse che non fanno parte della redazione. Con un fine: allargare il dibattito.
L’assenza di una normativa che impedisca anche al Senato, così come alla Camera, di ricevere finanziamenti da Stati esteri per attività di carattere personale e privato sta creando quella che può essere definita una stortura democratica attorno alla figura di Matteo Renzi. Nelle ultime settimane le cronache politiche sono state infatti nuovamente caratterizzate dal protagonismo e dalla centralità del senatore. La motivazione principale alla base di ciò è il fatto che gli sviluppi dell’inchiesta sulla fondazione Open, di cui Renzi è presidente e perciò indagato, hanno portato alcuni giornali a ripubblicare il conto corrente personale del senatore, presente all’interno dei documenti ufficiali dell’inchiesta, permettendo così di fare luce su una serie di attività largamente retribuite che il senatore svolge abitualmente per Stati esteri e varie società internazionali, originando quindi una problematica relativa a presunti e potenziali conflitti d’interesse.
Occorre però inizialmente fare un’importante distinzione poiché quello del conflitto d’interessi è un campo che ancora oggi risulta non essere integralmente coperto da normative ma anzi, spesso il confine fra attività di lobbismo e attività che generano un conflitto d’interessi effettivo e riconoscibile è parecchio sottile e talvolta si sovrappone completamente. Al netto di quelli che saranno i giudizi definitivi su Matteo Renzi e sulle attività della sua fondazione da un punto di vista estremamente giuridico, sarebbe opportuno condurre una riflessione parallela su un piano invece politico.
Il rapporto fra Renzi, il renzismo in generale e il tema della distrazione dall’interesse pubblico può essere definito critico ormai da tempo, almeno fin da quando l’attuale senatore ha prima conquistato con aggressività politica il Partito Democratico ribaltando inaspettatamente il governo Letta e, in seguito, a capo dello stesso partito, è diventato Presidente del Consiglio. Quest’ultimo si può articolare sotto due punti di vista, quello riguardante il caso Open che coinvolge tutto l’organico renziano e quello personale riguardante le attività svolte personalmente dal senatore Renzi.
Per quanto riguarda il primo punto non è tanto utile all’analisi politica capire se nel caso in questione ci sia stata un’effettiva violazione della legge che andrebbe quindi a confermare le accuse di finanziamento illecito ai partiti e corruzione portate avanti dalla Procura di Firenze, poiché si tratta di questioni giuridiche che avranno sì un risvolto ma non compromettono ciò che già si può affermare e osservare nella realtà dei fatti. Per un’analisi puntuale risulta utile piuttosto prendere ciò che emerge da questa inchiesta e analizzare le possibili implicazioni. Quello che affiora è che la fondazione Open, alla base della Leopolda, e connessa di fatto alla parte renziana del Partito Democratico prima e ora del partito Italia Viva, ha ricevuto fra il 2012 e il 2018 una serie di finanziamenti pari a circa 3,5 milioni di euro da grandi gruppi di interesse.
Questa strategia lobbistica di azione politica fa parte in maniera più ampia di quello che potrebbe essere definito come un progetto di americanizzazione della politica italiana molto caro a Matteo Renzi durante i suoi anni di governo.
È chiaro quindi che si è in presenza di un elevato grado di commistione fra libera azione e iniziativa politica e rappresentanza dell’interesse di coloro che dalle fondamenta sostengono attivamente e in maniera cospicua un determinato partito, e questo può senza dubbio compromettere l’integrità delle scelte di qualsiasi formazione politica. Esattamente come accade negli Stati Uniti, i poteri lobbistici entrano in maniera diretta e incondizionata nelle strutture partitiche con finanziamenti che influenzano profondamente in primis la campagna elettorale dei candidati e poi una volta scelti quest’ultimi determinano alcune importanti scelte di campo che gli stessi andranno poi a fare, andando probabilmente a compromettere l’attenzione verso determinati interessi e interessati che forniscono un fondamentale sostengono piuttosto che altri, e insieme a questo anche lo stesso rapporto di rappresentanza fra elettore ed eletto.
Per quanto riguarda invece le vicende personali del senatore Renzi e in particolare le sue attività di conferenziere al servizio di determinati enti pubblici o privati internazionali si può parlare di questi fatti portando sotto la lente un enorme problema di responsabilità politica (la cosiddetta accountability). Il semplice fatto di avere delle relazioni economiche, seppur legali, con Stati o imprese estere e al contempo avere una carica pubblica di qualsiasi natura è da molte democrazie, compresa la nostra, considerata un’azione illecita.
La finalità di una tale regolamentazione è quella di prevenire l’eventuale sviluppo di determinati conflitti di interesse che potrebbero intercedere fra l’attività di pubblica rilevanza dell’individuo coinvolto e quella privata di interesse economico. Si è infatti osservato spesso che per quanto riguarda capi di stato o di governo, le attività personali riprendono una volta che la carriera politica giunge al termine. Nel caso di Renzi, al di là della dimensione morale e delle accuse che gli si potrebbe rivolgere nel portare avanti ripetute collaborazioni e relazioni personali con governi dittatoriali e repressivi, si tratta di un politico ancora nel pieno delle sue funzioni ed estremamente rilevante per l’attualità politica italiana.
Sono infatti da lui dipese le principali svolte di questa legislatura, a partire dalla formazione del governo Lega-M5S dopo il no a un accordo con i vincitori delle elezioni, per finire poi con il ruolo determinante nel processo di caduta del governo Conte II. Da lui sono inoltre influenzati anche gruppi parlamentari e fedeli di vecchia guardia tuttora all’interno del Partito Democratico, elemento che lo renderà con buone probabilità anche determinante per la futura elezione del Presidente della Repubblica. Inoltre lui stesso è personalmente impegnato in determinati lavori di commissione parlamentare risultando quindi decisivo per alcune scelte specifiche di grande rilevanza. Risulta quindi a molti inspiegabile l’esistenza di questa difformità fra Camera e Senato ed è evidente che per evitare il ripetersi di simili anomalie in futuro sarebbe necessario un intervento tempestivo della politica che al momento però non sembra affatto interessata a regolare tale ambito.
Contributo di Thomas Brambilla.