
Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
Tra lo scorso 22 e 26 ottobre si è tenuta Tuttofood, una delle fiere agro-alimentari internazionalmente più conosciute, organizzata a Rho (Milano). Oltre ai piatti tipici e alle novità tecnologiche impiegate nell’industria alimentare, vero e inaspettato protagonista dell’esibizione è stato l’allarme lanciato da Coldiretti. L’associazione si è fatta sentire a gran voce da tutti i partecipanti, presentando – e denunciando – pubblicamente i dieci prodotti più acquistati che, nei supermercati di tutto il mondo, vengono spacciati e venduti come merce Made in Italy.
Per capire a fondo questo fenomeno, vediamo con più attenzione cosa spinge veramente alcuni imprenditori a produrre e vendere alimenti, e molto altro, volutamente simili ai prodotti italiani.
Dalla moda alla gastronomia, passando per l’arte, la storia, l’innovazione tecnologica: i lavori italiani, si sa, sono un’eccellenza ambita in tutto il mondo. Considerati garanzia di prestigio, la loro rinomanza è non è affatto casuale. È dovuta all’elevata attenzione con cui vengono lavorati, alla qualità della materia prima che viene impiegata e, da non dimenticare, all’inconfondibile tocco artistico usato, simbolo della ricca cultura autoctona in costante equilibrio tra la conservazione delle tradizioni e la ricerca di innovazione.
Insomma, il Made in Italy non è solo garanzia di grande qualità per il compratore, ma anche di sostanzioso guadagno per chi lo commercia.
Ma quanto vale veramente l’etichetta Made in Italy tanto desiderata? Prima di rispondere a questa domanda, è importante spiegare di che cosa parliamo quando ci riferiamo al Made in Italy.
Fino a poco più di dieci anni fa la fama del prodotto italiano si limitava ad un’aura percettibile solo dai compratori più esperti ed orientati alla qualità, senza alcuna implicazione legale o economica. Ciò significa che per quanto il nome dei marchi italiani fosse conosciuto, nulla salvaguardava il prestigioso valore della loro produzione.
Dal 2009 invece la Legge 166 dà il pieno riconoscimento all’etichetta 100% Made in Italy, garantendo la provenienza italiana di ogni prodotto a cui viene applicata e permettendo ai produttori aderenti di rilasciare una certificazione di autenticità. Attraverso questa legge, è quindi possibile tutelare l’originalità dei marchi italiani, ma anche trarne il dovuto profitto all’interno del mercato globale.
Per anni infatti le creazioni italiane sono state imitate e replicate, con merci fax-simile del Made in Italy, realizzate attraverso il così detto Italian sounding, ossia utilizzo di confezioni con colori, parole e illustrazioni che richiamano alla mente del compratore l’immagine dell’Italia. Per quanto le emulazioni fossero convincenti, esse erano – e sono tuttora – inevitabilmente private delle caratteristiche fondamentali che rendono i prodotti italiani così famosi: l’alta qualità, la produzione artigianale, l’attenzione ai dettagli e altre ancora.
Queste imitazioni perciò non arrecano solo un grande danno all’ineguagliabile immagine della produzione italiana per la loro scadente qualità, ma causano anche una perdita economica assai sostanziosa: si calcola che, con la recente crescita dei falsi Made in Italy, il danno monetario per il mercato italiano ammonti a più di un miliardo di euro annui e circa 300.000 posti di lavoro.
È un po’ come se si prendesse un quadro di un qualsiasi artista mediocre e lo si vendesse al pubblico come una opera di Botticelli o Da Vinci.
Un occhio attento probabilmente si accorgerebbe subito della truffa, come d’altronde un palato allenato riconoscerebbe al primo assaggio una mozzarella di bassa qualità. Ma che succede con chi non è abituato alla qualità della produzione italiana? Si renderebbe conto dell’enorme differenza che c’è tra un Botticelli e un qualsiasi altro quadro, o tra una mozzarella napoletana e una sua scadente emulazione? I dati purtroppo forniscono una risposta che parla chiaro: ad oggi, sostiene Ettore Prandini, direttore di Coldiretti, circa il 70% dei prodotti internazionalmente divulgati e venduti come italiani non lo sono. E ciò è motivo di grossa perdita monetaria per l’Italia e per le sue rinomate aziende: il mercato del falso Made in Italy vale circa 100 miliardi di euro.
Grazie alla certificazione del marchio tuttavia sia i produttori sia i compratori possono distinguere con assoluta certezza il frutto dell’accurato lavoro italiano dalle sue imitazioni: il marchio olografico anticontraffazione e l’etichetta con numerazione progressiva sono solo alcuni degli elementi da poter facilmente controllare sulla merce 100% made in Italy, utili per risalire con sicurezza all’azienda produttrice.
Bisogna però evidenziare che, per quanto la tutela del Made in Italy abbia visibilmente favorito la crescita degli introiti economici per le aziende della Penisola, non si può propriamente dire che abbia un preciso valore: il 100% Made in Italy non è un marchio registrato, ed è perciò impossibile calcolarne il rilievo economico.
Se però si considera che, nonostante la competizione internazionale all’interno del mercato globale, i prodotti italiani sono quasi sempre al primo posto per esclusività e ricercatezza, si ha nuovamente la prova del fatto che tutelare l’autenticità della produzione italiana non è solo una forma di rivalsa sulle sue imitazioni low quality, ma anche un’enorme necessità economica dell’intero Paese.