Del: 29 Dicembre 2021 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0
Da rivedere per la prima volta: Tetsuo

Simbolo del cinema underground giapponese che riesce a uscire dai suoi confini, nonché uno dei migliori body-horror mai visti, ispiratore di molto del cyberpunk giapponese, questa pellicola racconta di un uomo che, dopo aver investito con la macchina un feticista del metallo che si è inserito una sbarra di ferro nella gamba, subisce una lenta metamorfosi in cui il corpo si trasforma in metallo.

Ma la trama è poco più che un orpello in questo film, essa è frammentata e non cerca nessun tipo di coerenza; invece sono le scelte di Tsukamoto che rendono quest’opera fuori da ogni schema e assolutamente delirante. La sua regia è frenetica, veloce, un continuo di scelte originali che funzionano perfettamente, creando una convulsa coerenza: vi sono sequenze a “passo uno” incredibilmente suggestive, altre accelerate da movimenti di macchina convulsi e confusionari, altre in cui la macchina da presa permette di apprezzare i dettagli dei costumi, esaltati a loro volta da un bianco e nero sporco e volutamente grezzo della pellicola. Questi sono alcuni degli elementi più incredibili del film, creati da Kei Fujiwara, allibiscono per la loro complessità, essi sono sommatorie di cavi, tubi, bulloni, pezzi di metallo, cocci, con un certo gusto barocco che permea tutto il film, ma ancora più impressionante è che questi costumi sono a loro volta funzionanti: trivelle funzionanti, piedi a reazione da cui fuoriesce fumo di scarico, dita meccaniche retrattili.

Ancora oggi tutto questo fa rimanere senza fiato per quanto è reale, se poi si pensa che si è in un film low budget si stenta a credere a ciò che si vede.

Allo stesso livello di importanza sono le musiche di Chu Ishikawa che si sposano perfettamente, migliorando ulteriormente numerose sequenze, in particolare va ricordata la sequenza dei titoli di testa in cui il protagonista balla in modo spasmodico in una fabbrica, il sottofondo è un bellissimo industrial che rimanda alla stessa fabbrica, ciò che si sente ricorda molto la scena industrial del tempo, vi sono somiglianze con grandi del genere come Flith degli Swans e Pretty Hate Machine dei Nine Inch Nails.

Tutto ciò non fa altro che portare linfa vitale al progetto di Tsukamoto che, oltre ad essere il regista, fu anche lo sceneggiatore, produttore, montatore, scenografo, direttore della fotografia insieme a Fujiwara nonché interprete del feticista. Questa pellicola è quindi un suo figlio diretto, nato grazie alla volontà di un uomo di andare avanti in quello che è un progetto folle: per gli scarsissimi fondi (a molti di questi lavori, come recitare, si è dovuto dedicare per carenza di budget), per i pochi attori e per il limitato numero di persone disponibili per lavorarci, molti di questi erano amici del regista.

Proprio la follia è ciò che contraddistingue il lavoro di Tsukamoto, oltre alle scelte registiche già citate va detto che fondamentale è il montaggio: veloce, frenetico, con accostamenti sempre sorprendenti, non aiuta a comprendere lo svolgersi cronologico degli avvenimenti ma strania lo spettatore che anche vede una salda coerenza, nei primi minuti del film sembra si faccia fatica a seguire, tuttavia presto si comprende come bisogna prendere la pellicola e si entra nel suo meccanismo.

Ma oltre alla straordinaria abilità tecnica di questo autore, la sua grande capacità la si vede nella trattazione delle tematiche del film.

È una chiarissima critica alla società del tempo, sulla tecnologia che aiuta l’uomo ma che sempre più lo lega in un rapporto simbiotico, mutando così l’essere umano entrando nel suo intimo fino ad arrivare a modificare il mondo stesso.  

Oltre a tali temi, il film ne espone altri più in filigrana, un esempio importante e preponderante è il godere: il sesso, l’attrazione, il feticismo, l’erotismo, la realizzazione, son tutti presenti nella riflessione filmica sul coito. Tale argomento lo si vede ogni volta che si presenta un fallo nel film: per ben 3 volte nei 117 minuti di durata ci si concentra su una qualche declinazione del membro maschile, sempre in scene importanti che rimandano ad una mutazione inevitabile, già avvenuta e che declina ciò che prima c’era.

Metallo come malattia, uomo soggiogato e inerme, senso di colpa inestinguibile e tanti altri gli argomenti presenti, raccontati in modo innovativo in un film sicuramente non per tutti i palati (non solo per le immagini forti, anche per la frenesia onnipresente e la non linearità), tuttavia se si guarda tutto si entra in una grande riflessione, che è grande cinema poiché riesce impeccabilmente a coniugare le tematiche trattate con ogni mezzo che il cinema possiede, facendolo in modo fluido e schizofrenico.

Fuori di testa, punk a suo modo, sicuramente anticonformista, questa produzione è unica e inimitabile, frutto della pazzia e dell’amore del suo creatore.

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

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