Lo scorso 1 dicembre il dottor Aboubakar Soumahoro, attivista e sindacalista impegnato nella lotta contro lo sfruttamento dei lavoratori, ed in particolare dei lavoratori migranti, è stato ospite e protagonista di una conferenza organizzata dall’associazione studentesca Unisi – Uniti a sinistra, insieme alle professoresse Chiara Ragni e Francesca Marinelli della Statale e al professor William Chiaromonte dell’Università di Firenze.
La conferenza è stata inaugurata dai professori, che ne hanno curato l’introduzione giuridica. La professoressa Chiara Ragni ha illustrato le principali convenzioni di diritto internazionale in tema di trattamento del migrante, mettendone in luce tanto i punti positivi, come la completezza e il grado di aggiornamento, quanto le grandi carenze: tra queste ultime, il basso numero di ratifiche tra i Paesi che accolgono il maggior numero di migranti e l’assenza di uno strumento giurisdizionale che renda responsabili gli Stati per le violazioni di tali convenzioni.
Successivamente, il professor William Chiaromonte ha introdotto la platea alla legislazione in materia di lavoro dedicata ai migranti. Come evidenziato dal professore, l’Italia si è trasformata da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione soltanto negli anni ’70. Da quel momento, il legislatore italiano ha sempre trattato il migrante, ed in particolare il migrante economico, come una emergenza da risolvere e non come un nuovo cittadino da integrare. Questa mentalità ha prodotto una legislazione macchinosa e fonte di trattamenti discriminatori, specie per l’accesso al lavoro: l’abbassamento graduale del numero di permessi concessi ai migranti (nel 2007 i permessi per lavoro erano 250.000, nel 2020 erano 30.850) ha portato all’aumento del lavoro e dell’immigrazione irregolari, dovuti alla sempre crescente domanda di lavoratori a basso costo; l’Italia in altre parole resta una meta attrattiva per i migranti, che sanno di poter trovare un impiego nel Paese e che per questo cercano di raggiungerlo a tutti i costi. Tali irregolarità sono state affrontante negli anni sempre e solo con lo strumento della sanatoria, l’ultima del giugno 2020, e mai con un ripensamento delle logiche migratorie.
Logiche che si manifestano anche nelle criticità della procedura di ingresso in Italia per il lavoro subordinato, talmente complessa da rappresentare un vero e proprio disincentivo al lavoro regolare.
Infine, la professoressa Marinelli ha presentato un insieme di dati utili per comprendere a pieno la dimensione lavorativa in cui vivono i migranti in Italia. Secondo lo studio della professoressa, il lavoro degli stranieri è confinato a pochi settori dedicati al mercato secondario, che richiedono bassa specializzazione, sono mal pagati ed offrono scarsa mobilità professionale, contratti brevi e basso inquadramento. Le disparità sono prima di tutto contrattuali: gli stranieri infatti guadagnano il 25% in meno degli italiani, il 77% di loro è inquadrato come operaio contro il 33% degli italiani, mentre il 63,1% vive una situazione di sotto-mansionamento contro il 17,5% degli italiani.
Al termine dell’introduzione prettamente giuridica ha preso la parola Aboubakar Soumahoro, illustrando in pochi minuti e con grande lucidità il frutto di anni ed anni di riflessioni sulla condizione umana dei lavoratori migranti. «Da persona oggetto di studio a studioso delle persone», Aboubakar Soumahoro si è laureato in sociologia all’università Federico II nel 2010 ed oggi è il volto della Comunità Politica Invisibili in Movimento, nata al principio del 2021, e della Lega Braccianti.
Soumahoro ha inaugurato il suo intervento con una domanda: cos’è il lavoro migrante? Se ne parla spesso, ma in realtà è qualcosa che non esiste. Esiste solo il lavoro, o meglio i lavori. La divisione tra lavoro degli italiani e lavoro dei migranti è frutto di un pensiero categorizzante, che ignora la complessità della persona, la sua pluralità, e inquadra il migrante in una figura che deve rispondere a determinati criteri, speciali rispetto a quelli richiesti ai nativi italiani, per rapportarsi con società, lavoro, pubblica amministrazione. La categorizzazione, secondo Soumahoro, deriverebbe dal paradigma della razzializzazione, che accompagna la società italiana almeno da 30 anni di legislazione, sia di destra sia di sinistra. Come dimostrato dai professori nell’introduzione, è il sistema normativo stesso che tende a marginalizzare il migrate, stabilendo delle condizioni estremamente restrittive per il suo ingresso e la sua partecipazione alla vita pubblica, senza adeguarsi alle sfide contemporanee.
La categorizzazione del migrante come corpo estraneo alla vita pubblica, come figura regolata da criteri speciali, porta alla sua marginalizzazione, e la marginalizzazione alla precarizzazione esistenziale, all’alienazione della personalità.
Secondo l’esperienza di Soumahoro, i lavoratori categorizzati come migranti sono tutti accomunati da una certa nostalgia, spesso inconsapevole, verso la lotta di classe. È raro al giorno d’oggi sentir parlare in una conferenza di lotta di classe, infatti la maggior parte delle domande degli ascoltatori si sono concentrate proprio su questo passaggio: è possibile tornare a parlare di lotta di classe nel mondo liberale?
La risposta di Soumahoro è stata tanto semplice quanto disarmante: «Cos’è oggi la classe?». Ci siamo sentiti dire che la classe operaia non esiste più, perché non esiste più la dinamica servo-padrone all’interno delle fabbriche, grazie ai cambiamenti del mondo del lavoro. Questa idea però non è riuscita ad interpretare l’atomizzazione che si è verificata nelle dinamiche del lavoro, specialmente se cognitivo, specialmente se dipendente da un algoritmo. Secondo l’attivista, non bisogna ghettizzare ciò che oggi definiamo classe: la classe è trasversale, va dai riders ai praticanti avvocato e comprende tutti coloro che conducono un’esistenza precaria e dipendente dalle logiche di produzione. Se è vero che la narrazione della società è cambiata, è altrettanto vero che molti problemi sono rimasti, invariati quando non peggiorati, è che è arrivato il momento di recuperare alcune sfide antiche, rinnovandole. Sono i sindacati, secondo Soumahoro, che devono tornare ad alfabetizzare i lavoratori: questo è quello che fanno la Lega Braccianti e la Comunità invisibili in movimento per i lavoratori migranti, impegnandosi nella rappresentanza e difesa dei loro diritti. Ma la sinistra in Italia sembra aver dimenticato che il tema del lavoro è sempre stato centrale nelle sue battaglie storiche, concentrandosi, forse eccessivamente, sulle tematiche più ”pop” dei diritti civili.
Soumahoro ha concluso il suo intervento sottolineando la necessità di cambiare il paradigma del lavoro-sfruttamento. Bisogna tornare ad immaginare un mondo lavoro che non dipenda da marginalizzazione e spersonalizzazione della persona, per quanto difficile possa sembrare. Sta alla politica e ai sindacati immaginare questo nuovo mondo: chi non è capace di immaginare, deve semplicemente cambiare mestiere.