Del: 9 Dicembre 2021 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0
Lo straordinario incontro di Olivetti, Grassi e Picasso

Milano, fine anni ’50 e inizio dei ‘60, la crescita economica è imperante e tra i grandi in prima linea vi è il primo personaggio di questa storia, l’uomo che la rese possibile: Adriano Olivetti. Imprenditore, ingegnere, magnate, mecenate e grande innovatore, è a capo della Olivetti, azienda leader nella produzione di macchine da scrivere, calcolatrici e nell’elettronica, fiore all’occhiello del design e dell’eccellenza italiana.

Olivetti porta avanti una visione di impresa del tutto originale, pensa che i suoi progetti industriali debbano basarsi sul principio che il profitto aziendale deve essere reinvestito per la comunità, sia essa aziendale, cittadina o nazionale, credendo fermamente che possa esistere un equilibrio tra solidarietà sociale e profitto, con un’attenzione alla valorizzazione culturale e sociale della comunità. Questo concetto è fondativo di una serie di innovazioni e idee che vengono attuate nelle fabbriche e uffici della Olivetti: salari più alti; creazione di asili e abitazioni per i dipendenti che siano rispettose della bellezza paesaggistica; biblioteche, concerti e luoghi di incontro in fabbrica; luoghi di lavoro più aperti e accoglienti; creazione di studi di psicologia del lavoro; organizzazione della fabbrica che supera la catena di montaggio e molto altro ancora. Tra le grandi intuizioni di questo imprenditore vi è quella di aprire un negozio in Galleria Vittorio Emanuele II: uno store di articoli da ufficio nel centro della vita mondana milanese, con in vetrina i gioielli della tecnologia italiana.

Negozio Olivetti, 1966

Per questo luogo Olivetti vuole chiedere un murale a Picasso, non si tratta di investire una cifra in un quadro, ma di donare a Milano un’opera originale, nuova.

Per questa operazione convoca una squadra di quattro individui: Tullio Fazi, direttore della pubblicità della Olivetti; Giovanni Pintori, tecnico pubblicitario e designer; Franco Fortini, poeta e critico letterario, ai tempi dipendente negli uffici della pubblicità della Olivetti; e Paolo Grassi, impresario e direttore teatrale. Se è più intuitivo comprendere la decisione dei primi tre personaggi, curiosa è la decisione dell’ultimo.

Grassi, forse il primo operatore culturale in Italia, co-fondatore del Piccolo teatro di Milano, ai tempi era sempre al centro della vita culturale milanese, uno degli organizzatori migliori di tutto quel periodo. Proprio il Piccolo permette di comprendere la vicinanza tra Grassi e Adriano Olivetti. Questo teatro infatti era, ed è, a gestione pubblica, pensato per essere aperto a tutte le classi sociali e in particolare per venire incontro alle classi operaie; un luogo in cui attori, registi e scenografi non debbano dipendere dal botteghino del singolo spettacolo, ma abbiano la sicurezza di operare seguendo i fini artistici. Il motto del Piccolo, infatti, è “Un teatro d’arte per tutti”, che vuole essere per qualunque spettatore ma senza rinunciare a fare grande teatro.

Il forte interesse sociale di Grassi lo si nota qui, l’intento è di rendere il teatro un momento di comunità, di incontro per tutta la cittadinanza, non un evento mondano per i pochi che possono permetterselo. Il Piccolo è dunque a gestione pubblica poiché Grassi vede il teatro come patrimonio comune a tutti, un’attività da preservare e valorizzare. Da questo riassunto su Grassi e quello prima su Olivetti non sorprende il fatto che anche sul piano politico i due si assomigliassero, entrambi socialisti, due personalità dalle idee che sembrano utopie ma che sono poi riusciti a concretizzarle, sempre a beneficio dei loro interessi e di quelli della comunità.

I quattro di Milano partono in macchina diretti ad Antibes, cittadina balneare francese in Costa Azzurra, tra Cannes e Nizza, dove conoscono un contatto utile per avvicinarsi a Picasso. È il direttore del museo di Antibes che li porta a un cinema in città in cui proiettano alcuni documentari d’arte di Luciano Emmer. In sala vi si scorgono altri quattro individui: Marc Chagall, Jean Cocteau, Max Ernst e Pablo Picasso. È probabile che i due quartetti si siano parlati e abbiano discusso, in pochi metri vi sono condensati molti dei più grandi della cultura europea del secondo, e alcuni di tutto, il Novecento. Dopodiché i quattro partiti dall’Italia vengono accompagnati da Picasso a casa sua, dove gli spiegano l’idea. Il pittore è molto gentile, forse anche incuriosito, ma risponde che non avrebbe fatto alcun dipinto per loro. Nella biografia di Grassi si legge:

Andammo poi a casa di Picasso, a parlargli. Ricordo i suoi occhi, che ti passavano come spade affilate. Il colloquio fu cordiale ma non approdò a nulla di concreto. Non che Picasso fosse contrario alla proposta. Ci disse, semplicemente: «La mia libertà consiste nel fare ciò che voglio; non ho nulla contro questa offerta; e non è nemmeno una questione di cifra. Un giorno che ho voglia di fare una cosa la faccio. E può capitare che un giorno la cosa che ho voglia di fare, sia proprio questa, però non mi posso impegnare, altrimenti non avrei più la mia libertà e, come disse una volta Chaplin, a me piace essere “roi chez moi”».

Paolo Grassi. Quarant’anni di palcoscenico” (Mursia, 1977)

I quattro non fanno particolare insistenza, regalano al pittore una Olivetti Lettera 22, macchina da scrivere simbolo dell’azienda e delle sue capacità, e se ne vanno, invidiando la ricchezza della libertà di quel grandissimo artista, priva di qualsiasi condizionamento. Il giorno del murale non viene mai, è assai improbabile che Adriano Olivetti abbia fatto qualcosa per insistere, aveva comunque un grandissimo rispetto per quell’uomo di cultura, tutti in quel gruppo l’avevano, e nessuno avrebbe mai pensato di mettere pressione all’altro.

Tutta questa vicenda finisce così, senza raggiungere l’obbiettivo sperato, creando però forse nuovi legami tra persone lontane. Ma questa piccola e curiosa storia (sicuramente non la più importante della vita degli individui coinvolti) proprio per la sua piccolezza permette di cogliere un modello diverso, un modo di intendere l’intera società, l’economia e l’arte che sembra utopico. Una situazione in cui un ricco imprenditore riconosce e dà molta importanza al teatro e alla poesia, tanto da chiedere a un teatrante e a un poeta un compito di prestigio, i quali a loro volta riconoscono l’importanza culturale di una grande impresa – che non vuole solo ottenere profitto ma ha veramente a cuore la comunità e l’arte –, così tanto da non fare contestazione quando un pittore risponde negativamente a una loro fruttuosa proposta. 

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

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