Del: 31 Gennaio 2022 Di: Rebecca Nicastri Commenti: 0

Gerusalemme è Città Santa per le tre religioni monoteistiche: tre fedi che sorgono al di là del mare, tre fedi sorelle che nel corso della storia si sono espanse a partire dalla medesima città. Interessante compiere un breve percorso che miri all’integrazione tra lo sguardo ebraico, quello cristiano e quello musulmano; tre sguardi che partecipano alla costituzione di questo straordinario luogo di incontro, spesso però non troppo pacifico. 

Nella prospettiva ebraica, Gerusalemme è anzitutto il luogo che accoglie l’Arca dell’Alleanza. Il trasporto di questo elemento di sacralità si inserisce nelle intenzioni di legittimare quello che nasce di fatto come piccolo villaggio, importante luogo di incontro nella configurazione territoriale delle antiche tribù d’Israele. Rilevante notare, peraltro, come per gli ebrei la santità non dipenda tanto dal luogo in sé (che pur è ricco di significati) ma dal rapporto che si stabilisce tra il luogo stesso e coloro che lo abitano. È proprio in questo spazio, il Monte Sion, che Dio ha scelto la sua dimora e la santità di questa terra dipende così dalla cooperazione tra una scelta divina e una presenza umana che abiti i luoghi prescelti. 

Nella tradizione cristiana la sacralità è strettamente legata, più che alla promessa di una terra, a un fatto storico: la vita di un uomo. Al principio della sacralizzazione della città c’è la vita di Gesù e, almeno per il primo millennio cristiano, la sacralità si riferisce ai singoli luoghi santi più che all’intera città. Pensiamo, ad esempio, alla Roccia situata all’interno del grande Tempio che sarebbe stata esattamente la roccia del monte su cui avvenne il mancato sacrificio di Isacco. 

Nell’ottica musulmana infine, la sacralità deriva fondamentalmente dalla tradizione dell’“isra wa al-mi’raj”, il viaggio notturno e l’ascensione celeste del Profeta Muhammad. Questo viaggio si compì dalla Cupola della Roccia, lo stesso luogo della roccia del sacrificio di Abramo. Leggiamo nel Corano, XVII, 1:

«Gloria a Colui che di notte trasportò il Suo servo dalla Santa Moschea alla Moschea remota, di cui benedicemmo i dintorni, per mostrargli qualcuno dei Nostri segni».

L’angelo Gabriele sveglia Maometto e in una sola notte lo trasporta sino ad al-Aqsa su un cavallo alato dal volto femminile. Il volo ha Gerusalemme come tappa fondamentale e si trasforma poi in una salita che sorvola il baratro infernale osservando le pene corporali inflitte ai dannati  per i peccati compiuti sulla terra. Gerusalemme poi, chiamata “al quds” (la Santa), è considerata città fondamentale per compiere una seconda immigrazione: hijra (le prima era quella di Maometto del 622).

Hijra significa letteralmente “rescissione dei legami tribali”: l’uomo che aspira alla realizzazione spirituale deve compiere una rescissione. Ma da cosa? 

Il dott. ‘Abd al-Sabur Turrini ha spiegato nell’incontro del 18 novembre 2021 presso la Statale, nell’ambito del ciclo “Gerusalemme, ieri, oggi, domani”, come il termine intendesse un distacco da attuare in primo luogo dagli aspetti passionali, le pulsioni della bassa natura, che impediscono la fertilità spirituale verso il dio. È un distacco che in primis significa passare da una dimensione tribale ed etnica a una più universale. La dimensione tribale penetrava infatti le popolazioni pre-islamiche e se pensiamo a certe derive attuali, una grande problematica è quella che vede l’ingresso di rigide tradizioni culturali ed etniche all’interno della religione Islamica, ingresso che ha creato e continua a creare scontri profondi e contrasti irrimediabili. In tale ottica il pellegrinaggio si configurerebbe come un incentivo verso  un  dinamismo e un continuo spostamento che possano impedire un inconveniente depositarsi di abitudini poco aperte a un confronto con l’altro da sé. 

I versi del Corano avvertono di non prendere Muhammad per folle o menzognero. Il testo (Corano, LIII) afferma «Il cuore non mentì su quel che vide», il che evoca un’affinità anche col viaggio dantesco: Dante ha paura che il suo occhio non possa sopportare lo splendore di fronte alla visione divina. Nella mistica islamica questo implica che l’uomo sarebbe incapace di conoscere Dio se non fosse che è Dio a fornire il ricettacolo per farlo. Ecco che la problematica fondamentale sarebbe la mancanza di sapienza, l’impossibilità di giungere alla conoscenza e non è un caso che l’Anticristo della grande tradizione coranica venga definito “cieco da un occhio”: questo occhio è proprio quello della conoscenza; si fa foriere di una prosperità dietro la quale si cela una grande ignoranza di spirito.

Durante il viaggio Muhammad incontrerà i diversi profeti, episodio che denota anzitutto l’incontro con tutti gli altri Credo.

Il dott. Turrini spiega che attingendo alla sapienza dei maestri sarebbe impossibile arrivare a contrasti dottrinali, al meno di gravi fraintendimenti. Capiamo così come i fondamentalismi siano tagli profondissimi rispetto a queste antiche verità, tagli che macchiano profondamente la storia del nostro presente e che tentano di legittimarsi sulla base di una tradizione dottrinale tutt’altro che esclusivista. Se ci si attenesse tutti quanti ai testi sacri, prosegue il dott. Turrini, sarebbe facile un riconoscimento reciproco tra religioni e non nascerebbero affatto tutte queste problematiche derive ideologiche. Sura 5, 48, così come altri passi del testo sacro, invita esplicitamente a un atteggiamento di cooperazione e reciproco arricchimento, impossibile da non comprendere: la parola “kafir” (infedele) è rivolta a colui che etimologicamente copre la verità, mai indica nello specifico ebrei o cristiani.  

La tradizione islamica, dunque, lungi dall’essere monolitica e unidirezionale, si è sempre adattata alla varietà e tutti i tentativi storici di irrigidimento si sono mostrati disastrosi. Il Salafismo avrebbe avuto la pretesa di recuperare, secondo l’utopia retroattiva, l’Islam dei tempi del profeta. Proseguendo su questa linea, correnti come quella wahhabita sarebbero eterodossia anche per lo stesso Islam. 


Le informazioni per la redazione di questo articolo sono state tratte dal ciclo di incontri svoltisi presso l’Università Statale: “Gerusalemme, ieri, oggi, domani”, moderatore: dott. Marco Cianci, con particolare riferimento alla lezione del dott. ‘Abd al-Sabur Turrini del 18 novembre 2021. 

Rebecca Nicastri
Classe 2000. Studio lettere, sono innamorata del mondo e vorrei sapere tutto di lui. Per me le giornate sono sempre troppo corte.

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