Del: 23 Gennaio 2022 Di: Giulia Ghirardi Commenti: 0
Shamsia Hassani, dipingere le donne per renderle libere

Una linea taglia l’immagine esattamente a metà. Proprio al suo centro è raffigurata un’altalena su cui dondola, ad occhi chiusi, una ragazza. Il viso è proteso verso il cielo, come a voler spiccare il volo. Dietro di lei l’oscurità, l’orrore di una stanza buia carica di tutto il male che la circonda. Di fronte a lei spazi aperti, l’azzurro di un cielo senza confini. Il taglio nel centro sembra indicare proprio questo: la costrizione della prigionia, l’utopia della libertà.

La ragazza nel murales è Shamsia Hassani, la mano e la mente creatrice dell’opera d’arte, e al contempo è migliaia di donne diverse eppure uguali a lei. Hassani è figlia di rifugiati afghani, nata in Iran 33 anni fa. In Afghanistan ha frequentato l’università di belle arti di Kabul, dove adesso detiene la cattedra di scultura. Da sempre affascinata dalla pittura e dal disegno come mezzo di espressione ha cominciato a sperimentare la dimensione dei graffiti già nel 2010.

È stata la prima street artist afghana a dipingere Kabul e colorare le macerie della sua città. Ed è stata la prima che, con questi colori, ci ha costruito un mondo intero. Le protagoniste delle sue opere sono infatti le donne dell’Afghanistan, tutte così belle, così fragili e forti allo stesso tempo. Donne, che pare fossero rivolte proprio a loro le parole di Philippe Jaccottet: «Sì, la luce stessa / così bella, così cangiante, / la luce stessa è oscura».

Perché è una luminosa oscurità quella che alberga nell’anima delle protagoniste delle opere di Shamsia Hassani. Donne eleganti, bellissime, ritratte ciascuna con gli occhi chiusi e senza bocca. Scelta stilistica che mostra la conseguenza di essere donna nella contingenza storica nella quale tutte loro sono immerse, una realtà da far paura, da togliere il fiato, fino alla scomparsa, lenta, nella morte.

«Voglio usare un muro come tela perché solo così posso condividere il mio lavoro con le persone» e così «introdurle all’arte. Perché la maggior parte di loro non ha la possibilità di andare nei musei o nelle gallerie». Questo perché si è in un contesto in cui l’arte è considerata sovversiva, rivoluzionaria e soprattutto un luogo dove l’arte diventa una via di fuga e questo, almeno per chi detiene il potere, è il più grande sacrilegio perché in grado di rendere liberi.

E la Kabul che emerge dei graffiti di Hassani mostra infatti una società patriarcale che rigorosamente non ammette sogni e non concede voce per poterli inseguire.

Le donne di Hassani vengono ritratte con gli occhi chiusi, senza bocca, nei loro abiti tradizionali, ma con strumenti musicali tra le mani. Strumenti che pizzicano con l’anima riuscendo, così, miracolosamente a esprimersi. L’arte e con essa anche la musica, così tanto immaginata, agognata e disperatamente necessaria diventa infatti l’unico modo per far udire ciò che queste donne sentono, calpestate e dimenticate nel mondo silenzioso nel quale vengono zittite. Un urlo capace di squarciare anche la violenza e il silenzio delle menti.

Attraverso questi quadri e queste donne corre la storia di ciò che in Afghanistan accade, sotto gli occhi radicali degli uomini che non approvano il lavoro di Hassani perché non ne riescono a carpirne il senso, perché pericolosamente libero.

Come un presagio, poco prima della conquista di Kabul da parte dei talebani nell’agosto di quest’anno, Hassani aveva dipinto una donna con un piano tra le braccia, il volto chino, un muro di uomini vestiti in nero alle sua spalle. Un presagio che si è fatto realtà perché con il ritorno dei talebani nel Paese, le donne hanno perso quei pochi diritti per cui avevano lottato tanto faticosamente durante gli ultimi vent’anni. Studiare, lavorare, uscire senza dover chiedere il permesso di essere accompagnate. Parlare liberamente in pubblico. Così la speranza si frantuma nella capillare distruzione attuata contro la possibilità di sognare.

Come una ghigliottina si schianta sulle vite di migliaia di donne, di uomini, di artisti e di tutti coloro che hanno osato sognare in grande, che hanno osato colorare il grigio rigore della tradizione afghana. Inizia così la straziante ricerca di tutti coloro, che negli anni precedenti, sono diventati un simbolo di speranza e di libertà.

Hassani, in quanto artista, insegnante e donna, è costretta a dover cancellare le proprie tracce non soltanto dai muri della sua città ma anche dall’universo del digitale, dai social, per nascondersi, per far dimenticare al mondo la sua esistenza e sperare, così, di salvarsi.

I suoi quadri, le sue libere opere d’arte sono però già virali. Così, accompagnata dal coraggio di milioni di persone, Hassani ha continuato a postare le sue opere anche durante i giorni della caduta di Kabul. Perché «i nostri sogni sono cresciuti nei vasi neri» dichiara. Nell’oscurità del mondo intorno a sé ha trovato la luce, la forza per poter lanciare un grido di speranza a tutti coloro che, in quel pozzo scuro, stavano affogando lentamente.

«L’umanità e la gentilezza sono ancora vive e non hanno confini. Sono al sicuro ora» – scrive sui social. Nascosta, nessuno sa dove, ma abbastanza vicina per continuare, con l’arte, a raccontare e rendere libere le donne di quel suo mondo che le vuole sottomesse.

«Vorrei un giorno riuscire a rendere famoso l’Afghanistan per la sua arte e non per la sua guerra». Colorarla, la guerra, e con lei tutte le sue donne, le sue anime coraggiose.

C’è una donna che stringe al petto una finestra, con il cielo azzurro, stringe a sé tutto il mondo. E un’altra: i capelli al vento, i piedi diretti al cielo si dondola su un’altalena alta quanto la città. Un’altra salva dei fiori rossi da un pozzo senza fine, un’altra porge della luce a chi nella vita le ha riservato solo una notte senza alba. E un’altra ancora, incatenata alla sua terra, vola verso luoghi lontani, più liberi, più colorati. È tutto un mondo quello di Hassani.

Shamsia Hassani che ha abbandonato la sua casa per continuare a vivere e far vivere, con lei, migliaia di donne, non solo afghane, ma tutte quelle costrette, intrappolate, violate e dimenticate negli angoli bui della Terra.

Hassani, «sì, la luce stessa /così bella, così cangiante».

Giulia Ghirardi
Scrivo quello che non riesco a dire a parole. Amo camminare sotto la pioggia, i tulipani ed essere sorpresa. Sono attratta da chi ha qualcosa da dire, dall'arte e dalle emozioni fuori luogo. Sogno di vedere il mondo e di fare della mia vita un capolavoro.

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