Del: 15 Febbraio 2022 Di: Laura Colombi Commenti: 0
Giradischi, gli album consigliati di febbraio

Il 15 di ogni mese, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.


ZOMBIE COWBOYS, Gomma (V4V Records) – recensione di Laura Colombi

Grazie ai Gomma abbiamo le tracce post-punk e post-lockdown che stavamo aspettando. Sì, perché il nuovo album dell’affermata band originaria del casertano, intitolato Zombie Cowboys e fuori dal 21 gennaio, per noi si presenta come una risposta giovane alla crisi del capitalismo emersa anche nel corso della pandemia.

Il disco, composto nei primi mesi di lockdown del 2020, segna un punto di svolta all’interno della produzione dei Gomma, come emerge già dalle prime tracce. E come tutti i punti di svolta, è capitato per caso. Nella primavera era infatti prevista l’uscita di un altro lavoro, poi lo scoppio della pandemia e l’esigenza di cestinare quanto composto per dare spazio a nuova musica, perché i contenuti non sembravano più adeguati. Ne risultano una decina di testi estremamente attuali, capaci di toccare molti temi dell’oggi, dal male di vivere alla problematica del consumo di suolo e più in generale il problema ambientale («La senti questa pioggia / sembrano auto una per volta»). Il tutto arricchito dalla graffiante voce di Ilaria: semplicemente fantastico.

Dal punto di vista musicale possiamo dire che Zombie Cowboys si distingue per accuratezza e misura (anche rispetto ai precedenti lavori a firma Gomma), anche se non è niente di rivoluzionario, piuttosto un buon condensato di punk (con tanti anni ’90), quello giusto per chi voglia avvicinarsi a quel mondo. SANTA PACE, la traccia di apertura, una sorta di invocazione alla musa (qui santa), è forse la traccia migliore musicalmente parlando. Qui i Gomma riescono a fornire una rielaborazione personale e originale di quello che hanno ascoltato, e aggiungono una linea di basso dalle atmosfere texane parecchio notevole. Infine, con GUANCIA A GUANCIA e MAMMA ROMA i Gomma riescono anche nell’impresa di creare delle hit punk, e di metterci nel ritornello frasi come «Andrà tutto bene, un pugno di morti di meno!» e «Una volta qui era tutta campagna».


Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali, Murubutu (Glory Hole Records) – recensione di Francesco Pio Calabretta

È Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali il nuovo progetto del professore del rap Murubutu, nome d’arte di Alessio Mariani, docente di filosofia e storia a Reggio Emilia. Pubblicato il 14 gennaio a distanza di 3 anni dall’ultimo Tenebra è la notte e altri racconti di buio e crepuscoli, in cui si concentrava, come si evince dal titolo, sul buio e le storie che nascono e si evolvono in esso, qui invece il rapper fonda il nuovo progetto su un concept nuovo: la pioggia.

È una pioggia declinata in tutte le sue sfaccettature e legata, in quasi tutti i brani (15), a doppio filo all’amore, alle emozioni e ai luoghi in cui esse prendono vita e crescono. Non mancano però riferimenti anche alla coscienza di sé, al saper vivere e alla ricerca di un equilibrio interiore, in vari multiversi in cui l’ascoltatore viene trascinato, per vivere brano dopo brano esperienze sempre nuove e diverse.

Provare a descrivere i brani che compongono l’album è riduttivo, troppe sono le citazioni e i riferimenti che Murubutu inserisce, legati a filosofia, storia, arte e ad altre innumerevoli dimensioni che sono comprensibili solamente ascoltando il disco e prestando attenzione alle parole. Non mancano featuring di spessore all’interno dell’album, tra cui grandi liricisti del rap, come Rancore, Claver Gold (con cui ha realizzato l’album INFERNVM, basato sulla prima cantica della Commedia dantesca) o ancora Mattak, Inoki ed En?gma.

Tra i brani da ascoltare sicuramente Il migliore dei mondi, storia di viaggi e delusioni amorose dal punto di vista di un giovane, che intravede il proprio universo ideale negli occhi della persona amata ma forse persa per sempre. O ancora degni di nota sono Black rain e il suo seguito, Diluvio universale, che narra lo storico crollo del mondo; o Multiverso, in cui il rapper racconta una storia d’amore che viaggia nel tempo e nello spazio, come un Doctor Strange letterario che analizza i vari finali della passione, con la propria amante come unica costante.

Abituati ormai alla grandezza dei progetti e dei testi che Murubutu ci offre, Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali è un susseguirsi di gocce che, bagnandoci il volto, ci inondano di sensazioni nuove o ci permettono di comprendere meglio quelle che già viviamo.


Tutto L’universo, Giovanni Truppi (Universal Music Italy) – recensione di Maria Pia Loiacono

Il 4 febbraio scorso è uscito con la produzione di Universal Music Italy il quinto disco di Giovanni Truppi dal titolo Tutto L’Universo, apoteosi di una carriera che dura da ormai quasi 10 anni. L’album infatti ha come unico inedito il brano Tuo padre, mia madre, Lucia, che gli è costato il diciannovesimo posto alla sua prima esperienza sanremese di quest’anno, e il resto del progetto è il compimento di una scelta ponderata tra le canzoni più rappresentative del suo repertorio. Un repertorio che racconta l’eclettismo del cantautore, sia dal punto di vista musicale che testuale.

Le tematiche affrontate sono molteplici: l’amore in Conoscersi in una situazione di difficoltà e nel brano portato al festival; l’introspezione e la riflessione filosofica sul senso della vita in La domenica; il racconto di Borghesia, descrizione accurata di una classe sociale che nel bene e nel male è stata artefice di un cambiamento radicale del mondo. La raccolta contiene anche due featuring con due artisti della scena musicale contemporanea, Mia con Calcutta e Procreare con Brunori Sas.

Truppi con questo album ha voluto raccontare le proprie e le nostre debolezze, il suo e il nostro girovagare tra i sentimenti, anche quelli più dolorosi, da cui ci si eleva e ci si può distaccare con una dose di idealismo e di irriverenza che ci porta a vivere la nostra quotidianità con una leggerezza completamente disgiunta dalla superficialità.


Ire, Combo Chimbita (Epitaph) – recensione di Rebecca Nicastri

Poco più di tre minuti di ritmi tranquilli e atmosfere oniriche aprono il nuovo disco di Combo Chimbita, gruppo statunitense di origine colombiana. Un affascinante viaggio che attraversa il rock, il jazz e i ritmi latinoamericani, il tutto accompagnato dall’energica voce della cantante Carolina Oliveros. L’importante voce femminile lascia spazio a tutti i membri del gruppo i cui strumenti emergono ognuno ritagliandosi un proprio spazio in un equilibrio controllato ed energico.

I dodici brani, composti durante la pandemia in risposta alle manifestazioni del movimento Black lives matter, alternano ritmi frenetici e travolgenti da danza sfrenata ad atmosfere più lente, sognanti e psichedeliche ma pur sempre fortemente ritmate, come accade in Sin Tiempo.

Costellano l’album ripetizioni ossessive e quasi strazianti di motivi ritmici e melodici che donano a brani come Mujer Jaguar cariche di forza primordiale, quasi di profondo contatto con la terra. A chiudere il disco Todos Santos avvolge l’ascoltatore in melodie eleganti e spirituali.


Time Skiffs, Animal Collective (Domino Recording) – recensione di Costanza Mazzucchelli

La band statunitense indie-pop è tornata con il suo undicesimo album, a distanza di sei anni dall’ultimo disco realizzato da tutti i membri del gruppo, Painting with. Dopo il visual album Tangerine Reef (2018) offre qui un vario campionario – talvolta ripetuto, ma non monotono – di suoni. Realizza così un collage musicale paragonabile a quello che si presenta sulla copertina, reso possibile dalla reunion dei quattro componenti dopo le proprie carriere da solisti. Ognuno porta i propri influssi, sonorità e stili, che qui si sommano: si va dal synth pop al prog rock, e ancora al jazz.

Dragon Slayer e Car Keys sono qui due tracce distinte, ma negli ultimi anni sono state spesso suonate ai live come fossero un’unica canzone, sintomo della fluidità che interessa e caratterizza tutto il disco, un nastro di suoni su cui si incastrano testi-flussi di coscienza. Prester John, invece, è nata da due canzoni, unificate in modo tale da realizzare un’ottima sintesi delle parti, realizzata anche grazie a sintetizzatori e armonie vocali. La canzone di chiusura, Royal and Desire, dal ritmo malinconico, ricorda il senso di continuare a fare musica per un gruppo attivo ormai da vent’anni sulla scena musicale: «Song shuts my eyes / Reminds me of my fight / To know the way».


Laura Colombi
Mi pongo domande e diffondo le mie idee attraverso la scrittura e la musica, che sono le mie passioni.

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