Del: 27 Febbraio 2022 Di: Giulia Riva Commenti: 0

Con il recente caro bollette, abbattutosi in un momento di già dura crisi economica legata anche alle conseguenze della pandemia da Covid-19, si torna a parlare di nucleare. Ma perché? Ha senso prenderlo (di nuovo) in considerazione? E cosa ha a che fare questo con la guerra in Ucraina? 

La crisi energetica è legata, in primo luogo, ad una generica diminuzione delle scorte di materie prime (carbone, petrolio e gas), in concomitanza con la ripresa della domanda delle stesse dopo il calo causato dalla pandemia; i prezzi si sono così impennati, a seguito delle speculazioni dei paesi fornitori, ma anche in ragione di difficoltà logistiche anche in questo caso seguite alla pandemia. D’altro canto, non si può ignorare che la recente dichiarazione di guerra mossa dal presidente della Federazione russa Putin contro l’Ucraina ha di nuovo stravolto lo scenario, impattando molto duramente anche sul rifornimento europeo di fonti energetiche nonché sull’andamento dei loro prezzi, che si prevede continueranno ad aumentare sia a causa della grande incertezza sia in virtù della corsa all’approvvigionamento in previsione di tempi bui. 

La Russia è, del resto, uno dei maggiori fornitori di gas naturale per l’Europa (rispondendo a circa il 40% del suo fabbisogno; inoltre essa esporta in Europa anche carbon fossile e petrolio greggio, in percentuali altrettanto significative (nel 2018 rispettivamente del 42,4% e del 29,8%). Ad aggravare la situazione, il fatto che alcuni dei principali gasdotti che collegano Russia ed Europa attraversano proprio l’Ucraina, che trae (o meglio traeva) da ciò parte del suo potere contrattuale nei confronti di Mosca, così come anche Bielorussia e Polonia. A partire dal 2012, anno di inaugurazione del gasdotto Nord Stream 1 che collega la sponda russa a quella tedesca attraverso il Mar Baltico, è stato infatti possibile by-passare questi Paesi, indebolendo la loro posizione sullo scenario internazionale nonché riducendo i prezzi di trasporto.

Infine si è rafforzata la dipendenza della Germania e dell’UE dal gas russo, con un aumento dei flussi di importazione.

Il raddoppio di questa infrastruttura, il cosiddetto Nord Stream 2 (terminato in settembre 2021), è oggi nell’occhio del ciclone: secondo alcuni osservatori, infatti, i primi tagli sui rifornimenti di gas russo all’Europa sarebbero stati dovuti al ritardo nell’avviamento delle nuove condutture, a causa di alcuni cavilli burocratici e del mancato rispetto di requisiti stabiliti dall’UE. Del resto, il 22 febbraio 2022, il neo-cancelliere Olaf Scholz ha annunciato il blocco del Nord Stream 2, come strumento di pressione ai danni della Russia.

Ma che c’entra il nucleare? C’entra perché l’accresciuta dipendenza dai rifornimenti russi, dovuta sia alla maggiore richiesta europea di gas (visto come strumento per la transizione ecologica verso fonti energetiche pulite) sia alla possibilità russa di garantire flussi superiori che in precedenza (grazie ai nuovi gasdotti), sta ora mostrando la corda – il caro bollette ne è un chiaro segno. Da anni ormai ci si interroga sulle possibili conseguenze della dipendenza dell’UE, per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas e petrolio (importati dall’estero rispettivamente per l’83% e 97%), da aree considerate instabili.

Secondo i dati Eurostat, nel 2018 “più della metà (58,2 %) dell’energia lorda disponibile dell’UE era coperta dalle importazioni”; inoltre questa dipendenza è cresciuta, particolarmente nell’ultimo decennio, anche a causa dell’esaurimento delle fonti primarie su suolo europeo e dei maggiori costi necessari per l’impiego delle riserve residue. Investire sul nucleare garantirebbe insomma almeno una parziale autosufficienza energetica, raggiunta da Paesi che hanno già intrapreso questa strada, in primo luogo la Francia (che proprio dal nucleare deriva più del 70% della sua produzione energetica); significativo il cambio di rotta del presidente Macron che, dopo aver inaugurato il suo mandato con la promessa di ridurre la dipendenza francese dal nucleare, afferma oggi di voler realizzare nuovi reattori.

Nel frattempo deve comunque affrontare difficoltà legate al caro bollette (che, nonostante tutto, non ha lasciato la Francia indenne), al blocco di alcuni reattori per ragioni di sicurezza e alla ridotta produzione di energia elettrica attraverso i reattori stessi. Aumentano di contro le critiche a danno della Germania, che dai primi anni 2000 ha intrapreso una politica di dismissione delle centrali nucleari e si è sempre più affidata al gas (anche da qui la realizzazione dei Nord Stream), incrementando la propria dipendenza dalla stessa Russia. Inoltre l’ormai ex cancelliera Merkel, a seguito del disastro nucleare di Fukushima del 2011 (causato da un terremoto seguito da maremoto), ha preso la decisione di disattivare le ultime centrali entro fine 2022.

Oggi il dibattito sul nucleare si riapre anche intorno alla riflessione sulla sua eventuale sostenibilità ambientale: esso sarebbe, almeno secondo alcuni, inseribile tra le fonti rinnovabili e “pulite” (l’uranio di per sé non genera emissioni di CO2), dunque preferibile allo stesso gas naturale, che, pur se meno inquinante rispetto ad altri combustibili fossili (per esempio il carbone), emette nell’atmosfera gas serra. Di recente, con l’Atto complementare sul clima del 2 febbraio 2022, nucleare e gas sono stati inclusi nel Regolamento sulla tassonomia ambientale dell’UE (in vigore dal 12 luglio 2020), il quale tratta di fonti sostenibili (che hanno diritto ad una facilitazione nel ricevimento di fondi), con l’obbiettivo di promuovere nei Paesi membri riduzione delle emissioni e dell’impatto ambientale.

Nonostante l’iniziale bocciatura del progetto da parte della Piattaforma UE sulla finanza sostenibile, nel gennaio 2022 nucleare e gas verranno dunque inclusi tra le fonti “green”, sebbene soltanto provvisoriamente (per velocizzare la transizione verso un’economia interamente rinnovabile e non inquinante) e a determinate condizioni (garanzie di sicurezza e piani per la gestione delle scorie per quanto riguarda il nucleare, emissioni contenute per il gas). L’Atto complementare non è comunque ancora definitivo: Parlamento e Consiglio europeo avranno 4 mesi per analizzarlo e muovere eventuali obiezioni.

Ma il nucleare può, in definitiva, essere considerato fonte di energia pulita? 

In primo luogo esso non è, come talvolta si sostiene, ad “emissioni zero”; infatti durante le fasi estrazione, trasporto, lavorazione dell’uranio, di costruzione o demolizione delle centrali, nonché di trasporto e stoccaggio delle scorie, viene prodotta CO2. È inoltre noto che non sono ancora state elaborate modalità di smaltimento di queste scorie radioattive: dopo alcuni specifici trattamenti che le rendono adatte al trasporto ed allo stoccaggio, esse vengono poste dapprima in depositi temporanei (in attesa che la radioattività diminuisca) e poi in depositi definitivi, di superficie oppure geologici (cioè in profondità) a seconda del grado di radioattività. 

Infatti se le scorie di molto bassa o bassa radioattività cesseranno di rappresentare un pericolo per l’ambiente e per l’essere umano nel giro di circa 300 anni, per quelli a media o alta radioattività saranno necessari migliaia di anni. Ammesso comunque che questi depositi possano rappresentare una soluzione di lungo termine, grandi difficoltà sono poste anche dalla fase di trasporto delle scorie, durante la quale potrebbero verificarsi incidenti o, peggio, attacchi terroristici; tant’è che in Francia, già citata per il suo investimento nel nucleare, i percorsi verso i depositi vengono costantemente modificati (oltre che scortati militarmente), al fine di ridurre al minimo questo rischio.

Per quanto riguarda invece i reattori, i sostenitori del nucleare evidenziano che la tecnologia ha compiuto significativi passi avanti, facendone strutture molto più “sicure”.

Infatti, mentre la maggior parte dei reattori in uso è di cosiddetta seconda generazione (la loro costruzione ha avuto inizio negli anni ’70, mentre i reattori di prima generazione risalivano agli anni ’50 e ’60 ), più recenti e ormai in commercio sono i reattori di terza generazione, caratterizzati da maggior durevolezza e migliorie per quanto riguarda la loro resistenza in caso di incidenti: essi sono più compatti ed efficienti ed inoltre utilizzano sistemi di “sicurezza passiva”. Questi ultimi si basano su fenomeni naturali, anziché su impianti aggiuntivi che si attivano in caso di emergenza, con il vantaggio di evitare che l’impianto stesso possa essere inibito dall’incidente. Nel 2001 è stato infine fondato il Generation IV International Forum (GIF), programma di ricerca internazionale (cui prendono parte 13 Stati nonché l’Euratom, rappresentativa dei 27 membri dell’UE), allo scopo di sviluppare reattori di quarta generazione. Grazie alle nuove tecnologie elaborate, sarà dunque possibile utilizzare altri combustibili nucleari, più abbondanti e meno costosi rispetto all’uranio-235, migliorare l’efficienza e ridurre la quantità e radioattività degli scarti.

Tuttavia questa tipologia avanzata di reattori è ancora in fase di sperimentazione e dunque non pronta per la vendita (per questo saranno necessari ancora almeno una decina d’anni). Insomma, il dibattito sul nucleare e sul ruolo che esso potrà giocare nel futuro prossimo (in prospettiva, per accompagnare il passaggio a fonti esclusivamente “green”, ma nell’immediato e nel concreto per affrontare la grave crisi che oggi si abbatte e non sembra poter avere una rapida risoluzione) si riaccende ovunque in Europa, anche a fronte dei consistenti investimenti di Russia e Cina in questo campo.

Per quanto riguarda l’Italia, a seguito del referendum del 1987 (sono tre i quesiti inerenti), tenutosi subito dopo l’incidente nucleare a Černobyl‘, Ucraina, nel 1986 (qui per maggiori informazioni), le quattro centrali presenti sul territorio sono state progressivamente disattivate. Il successivo referendum del 2011 ha quindi riconfermato la decisione popolare, con l’abrogazione di alcune norme che avrebbe permesso di nuovo la produzione di energia elettrica nucleare sul territorio: il 94,05% dei votanti si espresse allora in favore dell’abrogazione.

Oggi alcune voci di scienziati, politici, giornalisti italiani si alzano a sostegno del nucleare: lo stesso ministro della transizione ecologica Cingolani, nel dicembre 2021, ha affermato durante un incontro con alcuni studenti che “il nucleare è il futuro” e che esso “non produce CO2”.

Si ribadisce, forse a ragione, che l’enorme avanzamento tecnologico ha reso questa fonte più sicura e meno inquinante; e che le risorse rinnovabili sono troppo costose e non abbastanza efficienti per sostenere il fabbisogno energetico del Paese (sebbene il 37% dell’energia elettrica italiana sia stato soddisfatto nel 2020 proprio dalle rinnovabili e nonostante il presidente del Consiglio Draghi abbia osservato lo scorso 25 febbraio, in diretta stampa durante la riunione Parlamentare d’emergenza in merito alla guerra in Ucraina, che i principali ostacoli allo sviluppo delle rinnovabili siano di tipo “burocratico”).

Del resto, pur avendo rigettato il nucleare dal proprio territorio, la penisola si trova circondata dai reattori degli Stati vicini (tra le altre, la centrale di Krško, Slovenia, a soli 130km circa da Trieste, costruita in una delle aree più sismiche dello Stato): dunque in ogni caso esposta all’eventuale pericolo, senza tuttavia essersi resa autosufficiente sul piano energetico.Tra le accuse più recenti, quella secondo cui i referendum del ‘87 e del 2011 avrebbero impedito in Italia lo sviluppo di un dinamico ed aperto dibattito intorno al nucleare e promosso piuttosto una “cristallizzazione” ai tempi di Černobyl’, nel nome “dell’ideologia”.

Senz’alcun dubbio ora più che mai è urgente riaprire la discussione. Il nucleare potrà essere una soluzione? E di breve o di lungo termine? Quanto le innovazioni apportate potranno ridurre i rischi corsi da popolazione e ambiente? E che impatto potrà avere la corruzione già dilagante nel settore pubblico sulla costruzione dei reattori e sullo smaltimento delle scorie? Possiamo davvero, definitivamente escludere l’eventualità di un incidente (sia esso legato ad errore umano, disastro nucleare, attentato o guerra), con le sue devastanti conseguenze? Oggi, mentre l’esercito russo avanza in Ucraina e occupa il sito Černobyl‘, la questione non è mai stata così attuale: non dimentichiamo che, insieme a città e civili, ben 15 reattori nucleari sono esposti ai bombardamenti russi.

Giulia Riva
Laureata in Storia contemporanea, sto proseguendo i miei studi in Scienze Politiche, perché amo trovare nel passato le radici di oggi. Mi appassionano la politica e l’attualità, la buona letteratura, le menti creative e ogni storia che valga la pena di essere raccontata. Scrivere per professione è il mio sogno nel cassetto.

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