Del: 17 Febbraio 2022 Di: Laura Cecchetto Commenti: 1

Novembre 1960. La Rai, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, mandò in onda Non è mai troppo tardi, una trasmissione che mirava all’istruzione degli adulti non alfabetizzati, condotta dal maestro Alberto Manzi e protrattasi fino al 1968. Il programma faceva parte del progetto Telescuola, nato con l’obiettivo di aiutare ragazzi e non solo a concludere la scuola dell’obbligo. Davanti ad una telecamera, il maestro Manzi insegnava a leggere e scrivere con l’ausilio di grandi fogli bianchi e carboncino, con filmati e fotografie, spiegando non tanto alla classe presente in studio, ma principalmente a quella collegata da casa, impossibilitata a recarsi a scuola a causa dell’età avanzata, della troppa distanza o per via del lavoro.

Veniva trasmesso sul canale nazionale nella fascia serale, per permettere proprio a tutti di seguire, ed era accessibile a chiunque avesse un televisore, apparecchio che all’epoca si stava via via diffondendo nella penisola, tanto in città quanto nelle campagne.

Con chiarezza, precisione e tanta pazienza, in ogni lezione venivano affrontati esercizi di lettura e scrittura corredati da disegni esplicativi. Si stima che quasi un milione e mezzo di italiani abbiano ottenuto la licenza elementare tramite queste lezioni a distanza, impostate quasi fossero una scuola serale. L’intuizione geniale che coinvolse il maestro Manzi fu quella di entrare nelle case degli italiani tramite la televisione, per la prima volta con una didattica non in presenza, invogliando gli studenti ad applicare ciò che apprendevano a lezione nella vita reale, lasciando loro ampio margine di autonomia (infatti non vi era valutazione alcuna, l’esercizio era a discrezione del singolo). Non è mai troppo tardi è stato un successo didattico e culturale.

In Italia, la trasmissione si protrasse fino al 1968, consentendo a milioni di italiani di apprendere la propria lingua e di completare le scuole elementari. Nel 1965 venne indicato dall’UNESCO come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo e, per questo, imitato anche in altri paesi, come l’America Latina. Ovviamente, non mancarono le critiche e le perplessità sul poter apprendere guardando uno scatolotto catodico, ma è innegabile che l’opera di Manzi contribuì, con la sua empatia e con un metodo innovativo, ad arginare in maniera consistente l’analfabetismo dilagante dal secondo dopoguerra. 

Nel febbraio 2022, sessant’anni dopo Non è mai troppo tardi, milioni di italiani si ritrovano nuovamente a dover apprendere davanti a uno schermo. Ci si continua a interrogare su quali benefici o danni possa comportare questa necessità didattica, di quanto ne risentiranno gli studenti, se ne trarranno giovamento. Fondamentale risulta l’apporto della riflessione del maestro Manzi, secondo il quale dentro la scuola bisogna ottenere una “tensione cognitiva”, una curiosità che spinge a voler sapere (vedi R. Farnè e L. Zanolio, L’integrale dell’ultima intervista al Maestro Manzi). Senza questa tensione cognitiva, non c’è scuola che tenga, né in presenza né a distanza. L’esigenza di vedere lo studente, con tutte le sue esigenze, davvero al centro della didattica sta diventando sempre più impellente. 

L’opera del maestro Manzi dimostra ampiamente che una didattica a distanza può essere tanto utile quanto efficace, se gestita in maniera oculata e ragionata, senza volersi sostituire alla didattica in presenza, ma per risolvere un problema specifico con metodi altrettanti specifici conseguendo risultati decisamente soddisfacenti. 

Laura Cecchetto
Scopro il mondo e me stessa con il naso dentro a un libro, rifletto su ciò che mi circonda e prendo appunti. Narro ciò che leggo, e di conseguenza ciò che provo, per relazionarmi con ciò che mi sta attorno, possibilmente con una tazza di tè sulla scrivania.

Commenta