
Cent’anni fa nasceva una donna straordinaria: Margherita Hack, una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana.
Oggi andare in vacanza è diventato quasi un obbligo, un lavoro e un costo da affrontare ogni estate, ma negli anni della mia infanzia non era così e […] quasi tutte le ferie le ho passate a Firenze. […] La bicicletta è quasi sempre presente, sia come sogno sia come presenza reale.
M. Hack, La mia vita in bicicletta, Ediciclo, 2011
Con queste parole l’astrofisica si racconta nel libro La mia vita in bicicletta, edito da Ediciclo nel 2011. Le pagine dallo stile semplice e diaristico costruiscono quadretti di vita della grande astrofisica, accademica, divulgatrice scientifica, nonché attivista italiana, ma soprattutto donna particolarmente attenta al dibattito sul nucleare e sui cambiamenti ambientali.
La breve autobiografia ripercorre una vita trascorsa “al ritmo di pedalate in bicicletta”: dall’infanzia fiorentina agli anni dell’università, dall’amore per il marito Aldo ai viaggi, dalla passione per lo sport alla folgorante carriera scientifica.
In gioventù praticò con successo la pallacanestro e l’atletica leggera, fu campionessa di salto in alto e in lungo in campionati universitari (allora i Littoriali, sotto regime fascista). Degli anni del ginnasio racconta: «L’unica materia scientifica era matematica. Solo al liceo avremmo cominciato a studiare un po’ di scienze naturali, di chimica e di fisica. L’enorme squilibrio fra materia umanistiche e scientifiche può spiegare la diffusa ignoranza in fatto di scienza nelle cosiddette classi colte».
Correvano allora gli anni della Seconda Guerra Mondiale, motivo per cui Margherita non dovette svolgere “il terribile esame di maturità”. Sono questi gli anni del rifiuto di aderire alla grande macchina fascista che inarrestabile e silenziosa si intrufolava nelle vite di tutti: «Quando ebbe inizio la campagna in Etiopia – racconta – non ci rendevamo conto che si andava a togliere con la violenza la libertà a un altro popolo, addirittura si pensava di portargli libertà e civiltà, forse ingannati dalla canzone Faccetta nera». La brillante studentessa si laureò in fisica nel 1945 con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi (stelle giganti che pulsano, aumentando e diminuendo il loro diametro con un periodo che può variare da poche ora a centinaia di giorni).
Margherita Hack divenne Professoressa emerita dal 1964 al 1997 all’Università di Trieste, dove fu anche direttrice dell’Osservatorio astronomico (1964-1987).
All’interno dell’Università la sua attività didattica e di ricerca favorì la creazione di un vero e proprio Istituto di Astronomia (1980), poi sostituito nel 1985 da un Dipartimento. Impegnata nel campo della divulgazione scientifica, ricevette numerosi riconoscimenti, tra i quali si ricordano il Premio Linceo dell’Accademia dei Lincei (1980) e il Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri (1987).
Una carriera coi fiocchi, insomma, proiettata nel cielo ma senza mai dimenticare il mondo della quotidianità, senza mai dimenticarsi di lottare per ottenere un domani con piste ciclabili al posto delle autostrade, città con aree verdi al posto del cemento, aule di scuola illuminate dal sole anziché dalla luce artificiale delle lampadine. In La mia vita bicicletta racconta:
La sensazione di libertà, di immedesimarsi nella natura, di correre con il vento in faccia e tra il profumo dei fiori e dell’erba solo la bicicletta può darla. In bici si ha il tempo di vedere il paesaggio, di scorgere la lucertola che quasi ti taglia la strada, di sentire il canto assordante delle cicale e quello più armonioso dei grilli.
L’astrofisica si mostra, poi, particolarmente sensibile al problema dell’inquinamento luminoso: ci spiega che animali e insetti notturni sono disorientati. Gli astronomi invece sono stati costretti a piazzare i loro strumenti in località sempre più remote, lontane dal cosiddetto mondo civile. I maggiori telescopi, che essendo strumenti molto complessi e costosi, devono poter lavorare in condizioni ottimali per quanto riguarda l’ambiente, sono situati nel deserto di Atacama sulle Ande cilene; a Kitt Peak nel deserto dell’Arizona; alle Hawaii sul vulcano spento Mauna Kea; nel bel mezzo del deserto australiano; alle Canarie, dove si trova anche il TNG (Telescopio Nazionale Galileo).
Molti bambini ignorano la presenza della Via lattea, e restano stupiti quando si trovano dopo il tramonto in montagna, lontano dall’abitato, e il cielo gli appare come una cupola nera cosparsa di stelle scintillanti, centinaia di stelle invece di quelle poche decine che riuscivano a scorgere a stento da casa, e soprattutto quella fascia biancastra che attraversa tutto il cielo e che gli antichi avevano chiamato Via Lattea, pensando che una dea distratta stesse versando il latte da una brocca tenuta troppo inclinata.
Nel 2006 Margherita Hack è stata intervistata da Vulcano e racconta come, a suo avviso, la fisica governi il mondo e possa essere spiegata proprio con esempi presi dalla vita di tutti i giorni: «Tutto quello che noi conosciamo è arrivato nel corso dei secoli dall’esperienza della vita comune e pian piano ci siamo resi conto delle ragioni per cui tutto questo accade».
Questa donna geniale ci lascia nel giugno del 2013, a 91 anni, dopo aver condiviso un bagaglio di conoscenze e scoperte di sessant’anni trascorsi a osservare il cielo.