Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
La start-up è un’organizzazione relativamente recente che, partendo come piccola attività dal business model tutto suo, mira a diventare una macro-azienda del proprio settore. È sicuramente un tipo di impresa molto rischioso, che tenta di insinuarsi tra i big del mercato con scarsi finanziamenti e poca esperienza sul campo.
Nonostante la loro particolarità sia quella di essere uniche nel loro genere, le start-up si riconoscono per alcune caratteristiche che le accomunano: sono forme di gestione aziendale temporanee che, se riescono ad essere efficaci sul mercato, assumeranno la forma di un’azienda consolidata appena possibile; puntano alla sperimentazione, parte fondamentale della loro strategia per testare il mercato in cui sono inserite ed identificare la clientela target; infine, cercano un modello di business scalabile, che permetta la crescita su larga scala dell’azienda.
Pur ricevendo particolari incentivi dallo Stato per l’ importanza nell’industria italiana, ogni start-up nasce come ogni altro tipo di impresa: è necessario aprire una partita IVA, registrare l’azienda nel Registro delle Imprese e aderire all’INAIL.
Non basta però occuparsi dell’aspetto amministrativo. È necessario che gli imprenditori siano
particolarmente attenti al mercato in cui si inseriscono: scegliere senza riporre particolare attenzione all’analisi di mercato potrebbe comportare il fallimento a breve termine dell’azienda; si stima che un’azienda su tre, infatti, debba chiudere per fallimento nel giro di tre anni dalla propria costituzione. Il piano di partenza deve quindi basarsi su una strategia innovativa e potenzialmente efficace. Ciò non faciliterà soltanto i fondatori ad immettersi più velocemente nel mercato, ma permetterà loro di trovare investitori e finanziamenti in poco tempo.
Inizialmente, una buona mossa potrebbe essere quella di optare per un basso numero di soci e per le collaborazioni con altre aziende già confermate nel settore: in questo modo la neonata impresa guadagnerà tempo ed esperienza per aggiustare il tiro e perfezionare la propria strategia.
Originariamente, con il termine «start-up» si intendeva indicare una nuova attività nel settore informatico, all’avanguardia e altamente tecnologica.
La definizione derivava molto probabilmente dalle neonate imprese della Silicon Valley alla fine del secolo scorso, come Apple o Microsoft. Ad oggi tuttavia il termine è stato allargato a tutti i temporanei tentavi di lancio di piccole imprese. I tipi di start-up riconosciuti sono molti: la New-co, (New company, letteralmente «nuova azienda»), che deve la propria esistenza alla scissione delle operazioni di un’azienda più grande caduta in crisi; la Spin-off, frutto della strategia aziendale di un’impresa di larga portata, che decide astutamente di creare un’altra azienda più piccola per raccogliere finanziamenti da altri investitori; la start-up innovativa, un’impresa giovane di impronta tecnologica e con forti potenzialità di crescita.
Non basta semplicemente definire che cos’è una start-up innovativa, per la legge italiana è necessario (DL 179/2012, art. 25, comma 2) che questa rispetti alcuni canoni predefiniti. La residenza dell’azienda deve essere collocata in Italia o in un altro Paese membro dell’Unione Europea, ma con sede produttiva o filiale in Italia. Inoltre deve avere fatturato inferiore a 5 milioni di euro, oltre a dover essere un’impresa neonata, con massimo 5 anni di operatività.
In più deve puntare allo sviluppo e alla produzione di beni o servizi con alto valore tecnologico e deve rispettare uno delle tre seguenti caratteristiche: le spese per la ricerca e lo sviluppo dei prodotti devono essere pari ad almeno il 15% del maggiore valore tra il fatturato e il costo della produzione; il personale deve essere altamente qualificato, poiché almeno un lavoratore su tre deve essere dottore di ricerca, dottorando o ricercatore, oppure due su tre devono avere la laurea magistrale; deve possedere almeno un brevetto o un software registrato. Le start-up innovative quindi hanno parecchi requisiti da soddisfare, ma possono accedere ad importanti agevolazioni messe in atto dal Ministero dello Sviluppo Economico, in quanto ritenute attività necessarie per la crescita dell’industria italiana.
Alcuni esempi sono gli incentivi fiscali, l’esonero dalle imposte di bollo, o la proroga del termine per la copertura delle perdite.
Grazie alla collaborazione tra il Ministero e InfoCamere, i dati raccolti sulle start-up innovative permettono di controllarne il trend demografico e la performance economica. Da otto anni ormai la politica dedicata al mondo delle start-up si occupa di controllarne l’andamento e monitorarne i cambiamenti. Le informazioni che se ne ricavano confermano le aspettative: il numero e il livello di start-up innovative, grazie alla richiesta di mercato e agli incentivi statali, sta notevolmente aumentando.
Il 3,6% di tutte le società di capitali nate recentemente è costituito da start-up innovative, per un equivalente di 13.582 imprese. Il fatturato medio, in quanto micro-imprese, è di circa 171.700 euro: è considerevole se si pensa che le start-innovative sono soggette al continuo cambiamento del mercato in cui sono inserite, nonché del metodo di sviluppo e creazione dei prodotti. Nonostante le start-up siano solitamente costituite da pochi elementi, il numero dei soci di capitale delle varie aziende è notevolmente salito. Sono ben 65.000 i componenti della forza lavoro delle start-up innovative italiane, con una crescita del 9,5% e, ancora più rilevante, con l’aumento di quote rosa e giovani sotto i 35 anni.
Generalmente, una start-up innovativa che si rispecchi punta in primis alla tutela dell’ambiente; ciò è dovuto al fatto che la necessità di diventare green è maggiormente sentita dai giovani, coloro che, più di chiunque altro, fondano le start-up e tentano attraverso di esse di salvaguardare il pianeta.
È il caso della micro-impresa recentemente nata in Belgio: ha impiegato l’intelligenza artificiale per la riduzione del carburante consumato dalle petroliere e dai porta-container, che quotidianamente occupano il Mare del Nord.
A causa dell’elevata quantità di Co2 rilasciata dalla filiera dei trasporti marittimi (la Commissione Europea stima che rappresenti il 3% delle emissioni mondiali), i tentativi di trovare una soluzione a questa problematica sono tanti. Uno è però riuscito, ed è quello di uno studente di Ingegneria Gestionale, Casimir Morobé, 24 anni, e fondatore di Toqua.
L’impresa è nata poco più di un anno fa dalla collaborazione con l’IMEC, un centro belga di ricerca multi-universitaria in microtecnologia.
«Ci sono tre modi per migliorare l’efficienza energetica delle navi – spiega Morobé — Il primo è quello che ottimizza le rotte e la manutenzione. Il secondo prevede cambiamenti di struttura, a cominciare dalla lubrificazione ad aria. Il terzo mira a un cambio del carburante, puntando per esempio sull’idrogeno. Quest’ultimo filone è ancora di là da venire. Noi ci focalizziamo sul primo fronte».
Poiché il consumo di carburante delle imponenti navi dipende da molteplici fattori, quali il vento, le correnti marine o la velocità dell’imbarcazione, Toqua mira a migliorare, attraverso l’impiego della propria intelligenza artificiale, le previsioni di consumo, portando il margine di errore al 1% (attualmente si aggira tra il 10% e il 20%). Inoltre, poiché la sporcizia sullo scafo della nave causa ulteriore consumo di carburante, la start-up ha ideato un’innovativa tecnologia che permette di sapere con estrema precisione quando deve essere ripulito.
Verranno poi ottimizzate altre scelte operative riguardanti la navigazione, come la scelta della rotta, e si baseranno su dati scientifici, non più sulla sola esperienza del comandante. L’obiettivo a lungo termine è quello di conquistare più clienti possibile e raggiungere il 10% della flotta globale, pari a 6.000 navi.