Del: 21 Febbraio 2022 Di: Giulia Ariti Commenti: 0
Radici. Craxi e De Mita, breve storia di una staffetta politica

Radici racconta fatti, personaggi e umori della storia della Prima Repubblica italiana, dal 1946 al 1994. A questo link è possibile trovare gli articoli precedenti della rubrica. 


«Mi sembra che questo affare della staffetta sia stato collocato su un sentiero che si è fatto sempre più stretto e sempre più tortuoso e, quindi, sempre più improbabile.» È il 17 febbraio del 1987, Benedetto «Bettino» Craxi siede comodamente sul divano dello studio Rai di Mixer, il programma televisivo di Aldo Bruno, Giovanni Minoli e Giorgio Montefoschi. Il nome del programma è diventato celebre proprio per i «faccia a faccia» diretti da Minoli, in cui i politici venivano intervistati circa i frequenti scandali politici che hanno costellato la storia della politica italiana. 

Con poche parole, il Presidente del Consiglio annuncia pubblicamente il tradimento del patto informale stipulato nell’estate 1983 con il segretario della Democrazia Cristiana, Ciriaco De Mita. «Patto della staffetta» è il nome giornalistico usato in riferimento ad un accordo orale tra Bettino Craxi e Ciriaco De Mita: il governo Craxi avrebbe dato spazio, dopo un anno, ad un successivo mandato di un esponente della Democrazia Cristiana (presumibilmente De Mita stesso) che avrebbe condotto la legislatura al termine. 

«La staffetta è molto improbabile – così articola il Presidente, incalzato dalle domande del giornalista – Al suo posto potranno venire le elezioni anticipate, di cui vanno valutati i pro e i contro, oppure una più lunga permanenza socialista a Palazzo Chigi, oppure ancora un nuovo patto di coalizione, ma è improbabile: i vincoli di coalizione si allentano a mano a mano che ci si avvicina alla competizione elettorale.»

Al termine della trasmissione, fuori dalla sede Rai i giornalisti attendono il Presidente del Consiglio. La rivelazione è stata una sorpresa per politici e cittadini; le domande sono tante, ma, come scrive La Repubblica il giorno successivo, Craxi non vi si sottrae.

«Non esiste nessun patto – rimarca in una conferenza stampa improvvisata – Avevo l’intenzione di giungere a una certa data, a ridosso, in vista del congresso del mio partito; poi ci sarebbero state le normali trattative per formare un governo di coalizione. Ma adesso mi sembra diventato più difficile questo cambio. Si stracciano le vesti ma lavorano come talpe.»

La valutazione di Craxi ebbe la sua realizzazione il 3 marzo 1987, quando rassegnò le dimissioni del suo secondo mandato come Presidente del Consiglio. La responsabilità di tale gesto cadde proprio su De Mita: gli ultimatum, le difficoltà e la nociva atmosfera politica che il Presidente cita nel suo discorso di dimissioni al Parlamento sembrano tutte ricadere sul segretario della Democrazia Cristiana. 

A condurre la legislatura alla sua fine fu il sesto governo Fanfani, di soli 102 giorni, sostenuto dalla Democrazia Cristiana che aveva messo un veto sul nome di Craxi il quale, per la terza volta, mirava a Palazzo Chigi. I risultati elettorali giunsero il 14 giugno: l’operato craxiano aveva portato al PSI una crescita di tre punti percentuali (14,3%), ma anche la segreteria di De Mita aveva premiato la Democrazia Cristiana con il 34% dei voti (contro il 32,4% di quattro anni prima).

Il nuovo capo del Governo fu il democristiano Giovanni Goria, a cui seguì l’esecutivo De Mita.

Lo sdegno degli esponenti della Democrazia Cristiana per il tradimento del patto della staffetta fu reso pubblico sin dalla serata successiva all’episodio di Mixer, quando Gianni Letta, giornalista collaterale alla Democrazia Cristiana tra quelli giudicati meno ostili a Craxi, incalzò pubblicamente il Presidente del Consiglio sulla stessa emittente Rai con una domanda sulla slealtà in politica riferita ai recentissimi eventi, a cui Craxi replicò: «Se lei allude a questo anche lei è un insolente.»

Gli ostacoli nella staffetta Craxi-De Mita non furono, però, gli unici incontrati dall’alleanza politica tra PSI e DC. Alla fine degli anni Settanta, il Partito Socialista e la Democrazia Cristiana furono i due protagonisti della politica italiana: con l’innovativa formula del Pentapartito, rilegarono ai margini il ruolo del Partito Comunista che per diversi anni aveva rappresentato un temibile avversario per i democristiani.

L’implicito accordo del Pentapartito ebbe la sua validità per un decennio a partire dal 1981, garantendo a quattro partiti laici (Partito Socialista, Partito Socialdemocratico, Partito Liberale e Partito Repubblicano) e alla Democrazia Cristiana un’uguale rappresentanza all’interno dei governi. 

I due pilastri dell’alleanza non misero mai da parte sospetti e conflittualità. 

«Io i socialisti non li conoscevo – avrebbe raccontato Ciriaco De Mita in un’intervista pubblicata su Il Giornale nel novembre 2021 – erano un po’ saccenti e superbi… se dovessi dire che lavoravo per l’alleanza con loro direi una bugia. Io ho avuto buoni rapporti con i vecchi socialisti appena eletto parlamentare, personaggi di grande saggezza poi fatti fuori da Craxi. Ma c’è un episodio. Io Craxi non lo conoscevo, ero a Roma e uscivo dall’albergo accompagnato da Marcora. Lui e Craxi erano amici politici, entrambi di Milano, Marcora lo saluta e lui risponde con una volgarità. Io rimasi un po’ così.»

Durante il voto per la fiducia al governo Spadolini, il primo laico a Palazzo Chigi, nel 1981 emersero già le prime discrepanze nell’alleanza. Il PSI, infatti, è costretto a votare la fiducia al governo Spadolini solo per evitare che esso possa nascere grazie all’astensione dei comunisti, interessati ad evitare le elezioni anticipate. Proprio le elezioni anticipate sono il principale nodo del contendere: il PCI non le vuole perché sta perdendo voti; il PSI, per la ragione inversa, invece le desidera fortemente, per sfruttare il momento favorevole e rafforzare la propria posizione nei confronti sia dei comunisti che dei democristiani. 

Le elezioni ebbero luogo solo nel 1983, creando lo scenario perfetto per l’accordo della staffetta. 

Il Partito Comunista di Enrico Berlinguer vede un lieve calo di 0,5% punti percentuali, così come la Democrazia Cristiana che perde oltre il 5% dei voti. Tra i due giganti, il PSI di Craxi, in crescita dell’oltre 1,6%, assume il ruolo di arbitro politico, consolidando la sua importanza all’interno dell’asse pentapartitico. 

«Ci incontrammo in un convento di suore sull’Appia Antica – così ricorda, nel 2000 in una dichiarazione Corriere della Sera, Ciriaco De Mita, le circostanze dell’incontro con il rappresentante del PSI – Proposi a Craxi di guidare il governo perché  era l’unico compromesso possibile. Lui fu stupito dell’offerta. E allora rilanciò: “metà del tempo a me, metà a te”. Risposi facendo notare che non si trattava di una questione personale, ma della Dc. Il cambio della guardia avrebbe dovuto sottolineare l’importanza della coalizione. Poi le cose andarono diversamente.»

«Dopo quell’incontro– prosegue l’ex segretario della Democrazia Cristiana – i rapporti con Craxi migliorarono un po’ alla volta e, paradossalmente, furono più intensi quando cominciammo a contare di meno. Io insistevo sull’importanza delle riforme istituzionali, lui subordinava tutto alla guida del governo. Fino al ’92

Il 1992 fermò la corsa politica di Craxi.

Milano, il centro nevralgico del Partito Socialista Italiano, fu travolta dallo scandalo di Mani Pulite. Il 17 febbraio di quell’anno, l’esponente di PSI e assessore milanese, Mario Chiesa, fu arrestato con l’accusa di corruzione; inizierà a confessare il mese successivo, rivelando il sistema di tangenti che coinvolgeva i vertici del PSI. 

Alle elezioni dello stesso anno, l’alleanza tra i democristiani e i partiti laici si presentò senza il sostegno del Partito Repubblicano: alla nascita del settimo governo Andreotti, il dicastero delle Poste e delle Telecomunicazioni fu affidato a Carlo Vizzini, socialdemocratico, non rispettando l’equilibrio richiesto dalla formula pentapartitica; i repubblicani quindi fecero un passo indietro, costringendo l’alleanza a ridimensionare la maggioranza secondo la formula del Quadripartito.

Dopo il governo Andreotti, però, l’alleanza non si mostra indebolita, aggiudicandosi le elezioni del 1992 con il 48,8%. Il PSI, invece, perde quasi un punto percentuale: «Un piccolo calo – commenta Craxi – rispetto alla crisi dei partiti di governo».Il segretario del Partito Socialista si offrì ugualmente per «guidare l’Italia fuori dal caos», ma Oscar Luigi Scalfaro, neo-eletto Presidente della Repubblica, rifiutò di cedere l’incarico ai politici vicini agli inquisiti, segnando così l’inizio del declino politico del volto del PSI.

Giulia Ariti
Studentessa di Filosofia che insegue il sogno del giornalismo. Sempre con gli occhi sulla realtà di oggi e la mente verso il domani.

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