Del: 14 Marzo 2022 Di: Francesco Pio Calabretta Commenti: 0
FLEE: sopravvivere per ricordare

Nella serata dedicata agli Oscar, il premio cinematografico più ambito, in programma quest’anno per il 27 marzo, già colma di polemiche per vari motivi – tra cui l’assenza di alcune categorie dalla premiazione – sono tante le pellicole che risaltano e attirano l’attenzione del pubblico. Una di queste è FLEE.

Diretto da Jonas Poher Rasmussen e prodotto da Vice Media, è stato distribuito nei cinema il 10 marzo 2022, a circa due settimane dalla premiazione. Una premiazione in cui FLEE ha già fatto la storia, essendo la prima opera nella storia degli Oscar a essere candidata in tre categorie totalmente distanti tra di loro ma accomunate in essa: miglior film straniero (per cui concorre anche È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino), miglior documentario e miglior film d’animazione. Nonostante la storia narrata e la profondità dell’opera, si tratta pur sempre di un film d’animazione.

Grazie alla messa in scena animata, montata parallelamente a immagini di repertorio, FLEE riesce ad arrivare dove la semplice ricostruzione visiva non sarebbe riuscita a giungere, in un film doloroso e legato al passato. Lo fa poiché, se nel documentario classico si rivive il passato grazie a foto, video e materiali d’archivio, in questo caso del passato non è rimasto nulla.

Per questo FLEE è, in pochissime parole, un film meraviglioso. Il film racconta la storia di Amin Nawabi (pseudonimo) che, alla soglia dei 40 anni e in procinto di sposare quello che diverrà poi suo marito, racconta per la prima volta la sua vita, il suo trascorso, quando scappò dall’Afghanistan. Decide di farlo proprio davanti a Rasmussen, migliore amico, e lo fa esordendo su uno dei punti cardine dell’opera: il concetto di Casa.

FLEE inizia proprio analizzando cosa sia la casa, un luogo sicuro in cui poter vivere, non di passaggio.

La casa però era lontana per Amin, in Afghanistan quando i soldati entravano nelle abitazioni per arruolare i giovani, in una Russia post URSS quando con documenti falsi cercavano solo di fuggire, o ancora in Danimarca, giunto da solo in un paese che lo rese uomo. È proprio su questo che punta FLEE: non racconta gli ultimi tre decenni del ‘900; non lascia comprendere allo spettatore cosa sia la storia passata del mondo arabo o ancora dell’est come il più classico dei documentari; né basa la narrazione su una cronaca e analisi del dolore provato. Piuttosto, attraverso esso esplica il passato tumultuoso del protagonista, e come egli sia arrivato ad oggi. I generali eventi lo hanno ovviamente coinvolto, ma sempre e solo della sua storia si parla.

In tutto ciò però non deve essere dimenticata la posizione di Amin, è un rifugiato, e FLEE ci dimostra proprio come sia la vita dei rifugiati, di coloro che vogliono soltanto vivere: emblematica la scena della nave, le povere popolazioni in guerra che sottostanno al ricco occidente, sopra di esse e che guarda e commenta senza agire.

Un altro elemento cardine in FLEE è l’identità.

La famiglia del protagonista, a rischio in Russia per il loro essere afghani senza un documento valido, o ancora un giovane Amin privo di identità, solo e bisognoso di aiuto durante il lungo e doloroso viaggio verso una nuova vita. Ma l’identità in FLEE riguarda anche la scoperta dei ricordi del protagonista, la lenta ma costante evoluzione di un uomo che è riuscito a rivelare alla sua famiglia, nonostante la paura per i pregiudizi, la sua omosessualità (meravigliosa è la reazione del fratello maggiore alla rivelazione di Amin). Lo fa in un momento della sua vita, di ricongiunzione con le sorelle e il fratello, in cui finalmente si sente libero di esprimere la propria identità, la volontà di vivere e liberarsi dalle oppressioni e dalla paura che aveva vissuto fin dall’infanzia in Afghanistan.

FLEE è perciò, oltre che un’opera degna di nota dal punto di vista registico, di realizzazione e di scrittura, un’opera sulla liberazione, sulla testimonianza.

È la presa di coscienza del protagonista di un passato doloroso, ma che lo ha reso l’uomo che ora è. È una presa di coscienza anche per lo spettatore, in un periodo storico in cui siamo più coscienti che mai che queste storie sono all’ordine del giorno. Una piccola grande perla dalla prima all’ultima inquadratura e che, nonostante le parole, può essere compresa solo se ammirata in prima persona. Un film che difficilmente potrà essere rimosso dalla testa, ma soprattutto dal cuore.

Francesco Pio Calabretta
Classe 2000, studio Scienze dei beni culturali. Mi godo il momento ma penso al futuro. Per adesso invece imparo, esploro e bevo birra.

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