Le tematiche di carattere economico rientrano senza dubbio nel ventaglio di argomenti spesso difficili da comprendere a fondo per chi non ne ha mai approfondito lo studio. Abbiamo deciso di dare vita a questa rubrica nella quale cercheremo di sviscerare, con il linguaggio più semplice e accessibile possibile, vari temi economici legati all’attualità. A questo link trovate le scorse puntate.
La guerra tra Russia e Ucraina, tra le tante drastiche conseguenze che uno scontro bellico comporta, sta causando un grave scombussolamento a livello economico. I mercati traballano, le azioni delle più importanti multinazionali crollano a vista d’occhio e l’inflazione è alle stelle.
Se le ripercussioni economiche sono nel mondo così importanti, è quasi inimmaginabile cosa possa significare per i Paesi direttamente coinvolti nella guerra. Ucraina e Russia in primis, ma anche i paesi limitrofi e gli alleati, hanno subito enormi perdite economiche per l’impiego di uomini nell’esercito, per la produzione e il trasporto di armi da fuoco e, considerando la devastazione delle cittadine ucraine, per le fabbriche e gli stabilimenti lavorativi distrutti dai bombardamenti. Se ci si concentra poi sulla tragica perdita umana che gli scontri e i missili hanno causato, la situazione sembra incontrovertibile: la vita di un Paese intero, l’Ucraina, sembra essere attaccata ad un filo e, con essa, anche la rete economica di cui essa fa parte.
Ma se le conseguenze sono così negative, cosa spinge una nazione come la Russia, già in difficoltà a far funzionare il proprio motore economico, a generare un conflitto così dispendioso? Per farsi un’idea dei costi che la guerra russo-ucraina genererà per la Russia non bisogna considerare solo il costo bellico ed umano, ma altri macro-fattori che porterebbero all’instabilità economica qualsiasi Paese: la svalutazione della moneta, il crollo del mercato, la riduzione di ponti commerciali con l’Europa e le nazioni della NATO. Per non parlare delle sanzioni dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, il fermo del trasporto aereo e di gran parte di quello marittimo, o, ancora, della diminuzione di richiesta di gas ed energia naturale, fondamentali per la sopravvivenza dell’economia russa.
Per capire come quest’ultima funziona, è necessario fare un passo indietro.
Nel dicembre del 1991 l’Unione Sovietica veniva ufficialmente sciolta dopo un periodo di squilibri e rivolte: la disintegrazione produsse 15 repubbliche, create attraverso una riunione ad Alma Ata e la successiva dimissione dell’ormai ex presidente Gorbachev. Dall’anno seguente, la Russia subì un vero e proprio declino economico: i prezzi delle merci vennero liberalizzati, l’inflazione salì esponenzialmente e la svalutazione del rublo prese a correre. Grandi modifiche vennero apportate anche nel commercio estero: si abolì il blocco commerciale dei Paesi Socialisti (COMECON o CMEA, Council for Mutual Economic Assistance) e il Patto di Varsavia.
Nonostante le speranze, la Russia post-socialista, come le altre Repubbliche nate dall’Unione Sovietica, cresceva proporzionalmente molto più lentamente rispetto ai paesi Europei. Questa conseguenza era dovuta alla frammentazione di quello che una volta era un’unica grande fetta di mondo: 15 presidenti differenti, altrettante nuove valute e flussi commerciali del tutto nuovi rendevano difficile bilanciare la gestione economica delle neo-nazioni. Si stima che il tasso di popolazione sotto il livello nazionale di povertà passò dall’1,5% del tramonto dell’Unione Sovietica al 40% della metà degli anni ’90.
Non fu solo la situazione economica a peggiorare: come conseguenza, si deteriorarono le condizioni sanitarie, aumentò la mortalità del 60% e diminuì l’età media.
Nonostante i tentativi di stabilizzazione che vennero lanciati nel ’92, nel ’93 e nel ’95, nell’agosto del ’98 la Russia cadde in una crisi finanziaria dovuta al tasso di cambio sopravvalutato del rublo. Vi contribuì anche la vendita dei titoli di Stato ad investitori esteri, la difficoltà di riscuotere le imposte e l’abbassamento del prezzo del petrolio. Dopo il dichiarato default, nel 1999 l’economia russa iniziò a rialzarsi, grazie soprattutto allo sviluppo che lentamente conseguiva.
All’inizio degli anni 2000, la Russia poteva vantare un’importante crescita nel mercato del petrolio e del gas, dovuta alla sempre più elevata domanda interna e all’aumento dei prezzi delle materie prime. I saldi della Federazione Russa cominciavano finalmente ad avere luce verde: le esportazioni nel 2007 valevano ben 350 miliardi di dollari, con un’accumulazione di riserve per un valore di 160 miliardi di dollari, pari al 10% del PIL.
Grazie alla politica liberale dei primi anni di presidenza di Putin, la Russia ha visto crescere anche le imprese di piccola e media grandezza; venne inoltre snellita la burocrazia e aumentata l’esportazione all’estero. Proprio per quest’ultima ragione, fu nel 2008 che la Russia passò per un’ulteriore importante crisi economica. Fu la diminuzione della richiesta mondiale di materie prime a causare il crollo dei prezzi del petrolio: un barile passò dal costare 148 dollari a costarne poco meno di 40. Nel 2009, il reddito cadde del 2,2% e l’indice RTS di borsa si era ridotto del 70%. La Federazione Russa dimostrò nuovamente di non essere in grado di far fronte ad ingenti problematiche di natura finanziaria e, ancora oggi, resta acceso il dibattito sulla riuscita della transizione post-socialista in Russia.
Per far fronte alle problematiche nazionali, la Russia ha redatto nel 2007 un ambizioso prospetto di obiettivi di innovazione e modernizzazione da realizzare entro il 2030.
Il concetto proposto prevedeva grossi cambiamenti in vari ambiti, tra cui: la prevalenza del settore energetico, con una crescita annua del PIL 2011-2020 del 3-3,5%; la concentrazione delle risorse nelle materie prime e nell’energia, con un tasso annuale del PIL 2011-2020 del 5-5,5%; lo sviluppo di tecnologia alta e media del 6,5%. Secondo i calcoli del Ministero dello Sviluppo Economico e del Commercio, nel 2020 il reddito pro-capite avrebbe dovuto raggiungere i 30.000 dollari rispetto ai 13.000 del 2007; inoltre, l’aspettativa di vita si sarebbe dovuta alzare a 72 anni contro i 65,6 del 2007. Poiché i risultati conseguiti nel 2020 dalla Federazione Russa sono stati inficiati dalla pandemia, non è possibile stabilire con certezza se tali obiettivi siano stati fino a quel momento raggiunti.
Considerando la difficile storia economica russa dalla caduta dell’Unione Sovietica ad oggi, non si può sottovalutare gli enormi progressi che le politiche economiche hanno conseguito: nonostante l’elevata presenza dello Stato, i produttori e i consumatori hanno potere e spazio d’azione sufficientemente ampio. Va comunque detto che la necessità di rivoluzioni sistematiche è alta e la Russia deve ancora puntare allo sviluppo interno. L’economia russa, come si evince dalla sua storia, si basa principalmente ancora sulle esportazioni di petrolio, gas naturale e energia naturale che reperisce sul proprio territorio: senza il commercio con le altre Nazioni, le importanti entrate finanziarie che le esportazioni garantiscono salterebbero e l’economia russa andrebbe con grande probabilità a gambe all’aria.
La Russia potrebbe subire gravi danni anche per le sanzioni imposte da Stati Uniti ed Europa.
Soprattutto a livello tecnologico, il Paese dipende fortemente dalle due potenze economiche. Senza il loro supporto nell’ambito industriale, tra le altre cose, non potrebbe innovare i propri macchinari per l’esportazione del petrolio e diventare competitivo in territori particolarmente fruttiferi, come l’Antartide. Il suo più grande motore, l’esportazione di combustibili, finirebbe così per diventare poco produttivo.
Il rischio per la Russia, in conclusione, è quello di un vero e proprio crollo economico, come quello già affrontato nel ’98: il così detto default. Si tratta dell’incapacità di far fronte ai debiti contratti per via delle proprie condizioni economiche critiche. Ciò significherebbe restare senza una liquidità sufficiente per sostenere il debito pubblico e remunerare i debitori. Le conseguenze al default sono le più diverse e invalidanti: elevato tasso di disoccupazione, aumento delle tasse, blocco di ogni tipologia di servizio pubblico (dalla Sanità alla Pubblica Istruzione), e perdita dei risparmi personali dei cittadini.