La notte degli Oscar porta sempre con sé grandi aspettative e chiacchieratissimi prognostici. È tra gli eventi più attesi nel panorama cinematografico e converge su di sé l’attenzione e gli sguardi di tutti, critici e curiosi. A Los Angeles, quest’anno la serata si è svolta il 27 marzo, poco dopo la mezzanotte italiana.
Facciamo il punto su cosa sia successo e come sia andata la serata.
Partiamo subito dai vincitori. Una pioggia di riconoscimenti, prevalentemente tecnici, ma per nulla secondari, è stata assegnata a Dune, del regista Denis Villeneuve, che dei dieci Oscar a cui era candidato ne vince sei: migliore fotografia, migliore colonna sonora, effetti speciali, montaggio, production designer, suono. Per pareggiare un trionfo tecnico a tutto spiano, come pare essere quasi una consuetudine dell’Accademy, a livello artistico è invece premiato come miglior film CODA – I segni del cuore, che, ignorato dalle sale cinematografiche, decreta il trionfo dello streaming marchiato Apple TV.
Chi è rimasto quasi a bocca asciutta è The power of the dog: disponibile su Netflix e diretto da Jane Campion, il film, che si prevedeva sbaragliasse i concorrenti forte delle sue dieci candidature, porta a casa un unico, ma rilevante premio, ossia quello alla miglior regia. Il derby Netflix VS Apple questa volta quindi lo vince il secondo, ma la domanda da cui non ci si può sottrarre è: davvero il futuro del cinema sarà lo streaming?
Tornando al vincitore, CODA, acronimo di Child Of Deaf Adults, si configura come un remake de La famiglia Berlier, film francese del 2014 diretto da Eric Lartigau, e percorre le vicende di una famiglia di pescatori sordi con una figlia in grado sentire e parlare. Il film ha il merito di portare alla ribalta un’istanza di maggiore visibilità e attenzione per la comunità di non udenti, ma se gli Oscar sono anche una fotografia del panorama culturale contemporaneo, non ci si può esimere dal constatare come sia sempre più apprezzata dalla giuria una pellicola che si fa carico di un messaggio molto forte (che sia di inclusione sociale, tutela delle minoranze, tematiche sensibili alla lotta contro ogni forma di discriminazione), veicolato da film a cui, come in questo caso, non è richiesto di essere indimenticabile.
È il caso di lasciarsi andare ad un nostalgico (e forse sterile?) rimpianto delle pellicole dei bei tempi andati? Non per forza.
Lascia solo perplessi come possa aver trionfato come miglior film un remake, o, prescindendo pure dalle scelte cinematografiche di CODA, che siano restate a mani vuote pellicole della portata di Licorice Pizza o, se vogliamo, La fiera delle illusioni di Guillermo del Toro.
E sempre di fiera delle illusioni si parla se guardiamo alla grande, grandissima delusione per Sorrentino, e in generale per il mancato trionfo della componente italiana agli Oscar. Ammettiamolo, un po’ speravamo di portare a casa una statuetta, specialmente se a concorrere c’era il nostro fiore all’occhiello, trionfatore nel 2014 con La Grande Bellezza. Mangiavamo con gli occhi un discorso di Sorrentino bis sul prestigioso palco degli Oscar. Sull’onda degli Europei, dell’Eurovision Song Contest e delle Olimpiadi, anelavamo alla statuetta, ma questa edizione degli Oscar 2022 si va ad accostare a coda bassa al grande flop dei Mondiali.
È stata la mano di Dio è stato battuto da Drive my car del regista giapponese Ryusuke Hamagutchi. Sorpresa? Forse non a tutti gli effetti, considerando che quella che si sta sempre più imponendo è una vera e propria ondata di successo del cinema di marca asiatica (si pensi a Parasite o Minari). Ci può consolare, però, la consapevolezza con cui Sorrentino può congedarsi da questa corsa agli Oscar, ovvero di avere regalato al pubblico una pellicola dal portato emotivo, sentimentale e visivo, a parere di chi scrive, superbo.
Altro candidato italiano per il miglior film d’animazione era il cartone animato Luca, diretto da Enrico Casarosa, superato da Encanto di Byron Howard, Jared Bush e Charise Castro Smith, che aveva avuto un tale successo di pubblico – si pensi solo alla colonna sonora diventata pressoché virale – che era una vittoria quasi servita su un piatto d’argento.
Ma tralasciamo per un attimo i film in gara, perché si sa, la notte degli Oscar è un vero e proprio spettacolo a sé stante.
Il piatto forte che vale la pena menzionare è stato l’ingresso del Cinema per antonomasia: Al Pacino, Francis Ford Coppola e Robert De Niro si impongono sul palco a commemorare i cinquant’anni dell’uscita del Padrino. Va da sé quanto sia stato leggendario il momento, per non parlare della presenza scenica di tre capisaldi della storia cinematografica.
Da ricordare è anche l’assegnazione della statuetta al miglior attore non protagonista. Presentato da Youn Yuh-jung, vincitrice a sua volta del medesimo premio nell’edizione precedente per aver interpretato la nonna in Minari, il riconoscimento va a Troy Kotsur di CODA. La presentatrice annuncia il nome dell’attore nel lingua dei segni, lei che poco prima aveva scherzato su come l’anno prima quasi nessuno fosse stato in grado di pronunciare il suo nome correttamente, e rimane sul palco a reggere la statuetta mentre Kotsur ringrazia l’Accademy, appunto, in lingua dei segni.
Infine, quello su cui pare imprescindibile commentare è l’eclatante schiaffo di Will Smith al comico Chris Rock. Nuovo schiaffo di Anagni? Per la risonanza quasi si direbbe, ma questa volta in effetto boomerang a rimetterci a livello di opinione pubblica è stato proprio Will Smith, che è stato costretto a scusarsi pubblicamente in sede successiva. Oltre che sui social, il fattaccio ha interessato le testate e i blog internazionali per giorni. La foto del pugno dell’attore americano rimbombava ovunque il giorno dopo la fatidica notte e con tutta probabilità rimarrà quello che davvero ci si ricorderà di questa 94esima edizione.
La storia si racconta da sé: il comico in sede di discorso si indirizza a Jada Pinkett Smith, attrice e cantante americana, prendendola in giro per il capo rasato. L’attrice soffre di alopecia dal 2018, malattia di cui la donna stessa si preoccupa di fare divulgazione e sensibilizzazione, e questo ha offerto l’occasione a Chris Rock di associare la donna al soldato Jane, un personaggio del cinema interpretato da una Demi Moore completamente rasata.
Quali sono i limiti della comicità? Si può “scherzare” davvero su tutto? Forse non sempre e forse è molto culturalmente connotato, basti pensare a come battute che erano perfettamente normalizzate anni fa ora sono solo terreno di discriminazione. Scherzare sul capo rasato della donna quando questa è vittima di una malattia è parso ingiustificabile, fuori luogo e soprattutto gratuito. E questo Chris Rock non l’ha capito, ma a dire il vero non l’ha capito subito nemmeno Will Smith, marito di Jada Pinkett Smith, che inizialmente si abbandona a una risata. Cambierà idea ben presto: nel vedere l’irrigidirsi di lei, si accorge della mancanza di rispetto, si alza, e sferra un pugno a Chris Rock, intimandogli coloritamente di non pronunciare più il nome della moglie.
La domanda è: può una battuta, che di battuta per chi la riceve non ha nulla, legittimare una reazione violenta da parte del marito in questione? La storia non finisce qui, perché usciti da una discutibile rivisitazione di un grossolano film hollywoodiano, ecco catapultarci poco dopo in una scena di lacrime e commozione, in cui l’attore chiede perdono all’Accademy nel discorso a seguito della consegna della statuetta per migliore attore in Una famiglia vincente – King Richard.
«Sono stato chiamato nella mia vita ad amare le persone, a proteggere le persone», anche se di qui all’attuazione del nobile intento stride il concetto distorto di protezione, che, ammesso e non concesso che lei ne avesse bisogno, Smith ha pensato attuabile solo con uno schiaffo; e stride la giustificazione della violenza sotto la constatazione, distorta anch’essa, che «l’amore fa fare cose folli». Pacche sulla spalla a Smith? Si lasci posteri l’ardua – ma forse nemmeno troppo – sentenza.