Del: 28 Aprile 2022 Di: Luca Pacchiarini Commenti: 0
Da rivedere per la prima volta. Tutti a casa

Ogni tanto succede che si ha voglia di vedere un film senza avere ben in testa cosa guardare, ci si sdraia con l’idea di mettersi a osservare una storia perché semplicemente si ha voglia di film. Si cerca così cosa guardare e, la maggior parte delle volte, appena trovata una pellicola che sembra interessante, la prima cosa che si osserva è il suo genere d’appartenenza: d’azione, thriller, comico, romantico etc. Se, in un momento come questo, si incappasse in Tutti a casa, film del 1960 diretto da Luigi Comencini, probabilmente si rimarrebbe un attimo straniati, poiché esso è un film di guerra, drammatico e comico.

Se la vicinanza dei primi due termini non ci si stupisce, parrebbe strana la presenza del terzo; tuttavia, poi si guarda la locandina del film e si nota subito la presenza di Alberto Sordi, lui giustifica la presenza del terzo termine, ma rende a sua volta strano che ci sia il secondo, il drammatico. Una commistione di elementi che sembra molto strana quindi, ma che, dopo solo 10 minuti, si comprende essere perfetta, un qualcosa di sensazionale che lascia sbalorditi facendo ridere di gusto amaro.

Tutti a casa è una delle più riuscite mediazioni tra neorealismo e commedia all’italiana, che nel dramma ricorda a tutti la potenza che la commedia può avere.

Ambientato nel 1943, il film inizia proprio l’8 settembre, data del comunicato radio del generale Badoglio in cui annuncia l’armistizio, e racconta di un reparto dell’esercito comandando dal sottotenente particolarmente ligio al dovere Alberto Innocenzi (Alberto Sordi). Non avendo ordini, non sapendo cosa fare, i soldati decidono di tornare alle proprie case e dalle proprie famiglie, molti si dileguano ma alcuni, casualmente o no, rimarranno con il sottotenente iniziando quello che è un grande viaggio in un’Italia divisa, con la guerra civile alle porte e i nazisti sempre più presenti. Il ritorno a casa è uno dei temi centrali dell’opera, le case sono l’Itaca di ognuno di questi uomini, di cui sentono continuamente la mancanza, molte sono le dolorose fatiche che devono superare per raggiungerla e tenerla.

L’unione tra commedia e dramma è presente su più livelli, creando un insieme stratificato che permette al film di funzionare così bene. In prima istanza vi è il racconto in sé, la storia scelta: ciò che è successo in Italia con il comunicato di Badoglio è tragico, la grande negligenza e ambiguità delle alte sfere della classe politica italiana creò enormi danni, il film evidenzia, fin dalla prima mezz’ora, l’assurdità di quello che è successo, ma non enfatizza, bensì fa questo con grande eleganza, per esempio mostrando soldati che non sanno cosa fare quando i tedeschi sparano. Questa commedia, però, è anche una tragedia, sono soldati che non sanno cosa fare, non comprendono, sono confusi e inseriti in una situazione che non capiscono, quindi è naturale che decidano di tornarsene a casa.

Il secondo livello è la scelta e l’interpretazione del cast: Serge Reggiani, Martin Balsam interpretano benissimo i loro ruoli, sempre con uno stile che richiama al comico, con battute, sguardi, commenti e uso della voce tipico da film comico, ma inseriti in situazioni che non sarebbero tali, inoltre le capacità di questi attori (e altri presenti, come Nino Castelnuovo e Carla Gravina) si dimostrano grandi perché riescono a sostenere i continui cambi di tono presenti nel film.

Di importante interesse è la scelta di Alberto Sordi: nel ’60 si trova all’apice della carriera, apice che durerà ancora a lungo, e in questo film è inserito in un ambiente tipico per lui, quello del personaggio che si ritrova incastrato in una situazione fuori dal proprio controllo, cui cerca di sottrarsi in qualche modo.

La genialità della scelta di Sordi non si nota solo nelle sue grandissime capacità attoriali, ma anche nel vedere questa tipica maschera del cinema italiano che ora si confronta con un’amarezza nuova, il personaggio del sottotenente è quello di un uomo ligio al dovere, ma non al fascismo in sé: da sempre è pronto e bravo a seguire gli ordini, lo fa con rispetto ma, ora, deve confrontarsi con la mancanza di ordini, con l’incertezza, il cavarsela da sé, fino a quando lui stesso andrà in azione; non si può non vedere come il personaggio maschera di Sordi si faccia metafora di tutto il popolo italiano, che nel fascismo era stato educato a seguire ciò che gli viene detto e che ora, improvvisamente, deve confrontarsi con il dover decidere, il fare scelte.

Oltre a ciò il protagonista del film ci ricorda la complessità della storia passata, è un soldato fascista ma che non era d’accordo con l’entrata in guerra, che non faceva il saluto romano, indossava la divisa nera ma non credeva più di tanto nei valori del partito; ovviamente si può dire che queste caratteristiche gli siano state attribuite per mitigarlo, visto che il film uscì nel ’60 ed era forse troppo presto per mostrare soldati italiani del tutto fascisti. È altresì vero che il personaggio è talmente ben costruito che queste caratteristiche non stridono tra loro, anzi, ci fanno chiedere quanti soldati fascisti fossero come lui. Le sue motivazioni (la scelta di unirsi all’esercito, di essere dedito a quello che fa) sono poi molto più profonde di quanto ci si aspetti, lo si vede nel momento in cui si confronta con suo padre, interpretato da Eduardo de Filippo, regalando così al film una sequenza di grande emotività e intimità.

Il terzo livello di unione tra commedia e dramma è il fulcro di tutta l‘opera, la forza che rende il film incredibile e uno dei migliori esempi in assoluto di commedia all’italiana: la gestione dei toni drammaturgici.

Vi sono numerosissimi momenti in cui, in modo molto rapido ma perfettamente lineare, la pellicola riesce a cambiare da un tono comico a uno tragico, da uno poetico a uno più realistico, da momenti romantici a momenti brutali. Visto che a parole è difficile spiegare, un esempio perfetto è dato da questa sequenza in cui, nel giro di pochi minuti, si passa da un tono comico (la pernacchia per esempio) a uno molto tragico (il treno) e poi ancora a uno poetico (la bambina). Attenzione agli spoiler, ovviamente.

Questo funziona grazie ad una sceneggiatura formidabile, scritta da Age e Scarpelli, Marcello Fondato e lo stesso Comencini, che riesce con sorprendente naturalezza e raffinatezza a dare un’opera che è un continuo di risate, forte tristezza e grande riflessione: si ha grande cinema qui.

Un’ultima considerazione sul film riguarda la sua spietatezza. Perché per essere un amalgama perfetta tra commedia e tragedia non serve solo che l’amalgama in sé funzioni, ma serve anche che i due aspetti a sé stanti funzionino bene. Se è vero che la comicità del film è di alto livello, non solo per ragioni tematiche ma anche perché effettivamente si ride, le battute hanno i giusti tempi comici e non sono mai banali, è altresì vero che la tragedia che scorre davanti a noi spettatori è tragedia pura, l’happy ending non è compreso, i pericoli contro cui i personaggi si confrontano sono tremendamente reali, seri, veri. Per questo è un film spietato, ha il coraggio uccidere anche i personaggi a cui ci fa affezionare, tale caratteristica in un contesto con così tanta ironia, come quella che si crea nel film, rende tali momenti ancora più forti, dolorosi e si stenta a credere che siano successi veramente.

Un’opera perfettamente scorrevole questa, coraggiosa e che continua a racchiudere in sé significati, che andrebbe riscoperta per vari motivi, ma senza dubbio per ricordare la forza che la grande commedia all’italiana può avere, sia di intrattenimento che come strumento per portare riflessioni approfondite e rilevanti, vero però che per fare questo a livelli così alti servono grandi menti, come quelle di chi lavorò a questo grande classico.

Luca Pacchiarini
Sono appassionato di cinema e videogiochi, sempre di più anche di teatro e letteratura. Mi piace scoprire musica nuova e in particolare adoro il post rock, ma esploro tanti generi. Cerco sempre di trovare il lato interessante in ogni cosa e bevo succo all’ace.

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