Del: 15 Aprile 2022 Di: Laura Colombi Commenti: 0
Giradischi, gli album consigliati di aprile

Il 15 di ogni mese, 5 album per tutti i gusti: Giradischi è la rubrica dove vi consigliamo i dischi usciti nell’ultimo mese che ci sono piaciuti.


Caos, Fabri Fibra (Epic/Sony Music Italy) – recensione di Chiara del Corno

Dopo cinque anni dal suo ultimo album, Fibra ritorna con Caos che lo riconferma ancora una volta come una delle istituzioni (nonché forse fra i capiscuola stessi) della scena rap italiana.

Caos, che al momento della sua uscita figurava terzo fra gli album più ascoltati al mondo su Spotify, rappresenta nel percorso di Fibra una svolta più nostalgica e autoriflessiva: l’album si apre con le note di Cielo in una stanza di Gino Paoli sulle quali Fibra tira le fila di una lunghissima carriera musicale. Le altre tracce si arricchiscono delle voci di Madame, Lazza, Ketama126, Guè, Salmo, Francesca Michielin e molti altri, ma fresca di novità è in Noia la strofa di Marracash.

È un album amaro, in cui a fare da padrone sono incubi, paranoie e in cui il rapper tocca il tema della depressione, della rabbia e della paura, senza però prescindere da un continuo bilancio sulla propria esperienza di vita. Si trovano pezzi come Nessuno, dove si racconta una lacerante e tossica relazione amorosa, per poi passare a brani più aggressivi e rabbiosi come El Diablo e arrivare anche a riflettere tanto sulla propria storia personale, quanto su tematiche sociali come, ad esempio, sulla disinformazione nell’ormai tormentone Propaganda feat. Colapesce e Di Martino. È un album da ascoltare dalla prima traccia all’ultima e che l’artista nell’Outro dichiara old-school, rivendicando l’esigenza di esprimersi liberamente e di porre senza filtri in ordine (e in versi) il caos interiore, ma che la firma di Fibra rilancia ad un successo strepitoso.


Dove volano le aquile, Luchè (Columbia Records) – recensione di Francesco Pio Calabretta

Quattro anni dopo, è tornato Luchè. Il rapper partenopeo, dopo il successo di Potere datato 2018, torna con Dove volano le aquile, quinto album della sua carriera da solista.

L’album, composto da 15 tracce, non è lontano dal classico stile del rapper, che si conferma come big della scena progetto dopo progetto, in una carriera iniziata nel lontano 1997. In DVLA Luchè, pseudonimo di Luca Imprudente, non solo mette in luce le sue doti da MC (ormai ben note), ma apre i suoi orizzonti a un rap melodico, che aveva già introdotto in Potere, capace di avvicinare anche un pubblico che non conosce bene il genere. Il primo brano dell’album, D10S, con la partecipazione di Elisa – uno dei featuring insieme a Marracash, Geolier, Guè e Noyz Narcos, Madame, Ernia, Etta e CoCo in ben due tracce –, introduce in modo strepitoso l’album, grazie alla straordinaria voce della cantante, mostrando come DVLA sia un album leggero nei toni ma malinconico e riflessivo.

Spostandosi tra le varie tracce – da Slang, puramente rap, a pezzi più melodici, come Ci riuscirò davvero – si capisce come le tematiche raccontate dal rapper siano prevalentemente personali e introspettive: amore, potere e riscatto sociale, già presenti nei progetti passati, a cui si aggiunge però la capacità di Luchè di affrontare un cambiamento drastico e le sofferenze della vita, tra depressione, che aveva azzerato come raccontato nel documentario realizzato da ESSE magazine la voglia di scrivere e lavorare, e la separazione non priva di polemiche con Universal.

Superati i 40 anni, il rapper di Napoli ha ormai una carriera ricca di successi alle spalle, ma pretende ancora il rispetto della scena che non ha mai avuto totalmente. Dove volano le aquile è perciò il frutto di 4 anni di riflessione e di lotta con il mondo, e ci mostra come sia sempre giusto combattere, per soddisfare prima di tutto sé stessi.


Mediterraneo, Jovanotti (Universal) – recensione di Maria Pia Loiacono

È Mediterraneo il titolo del nuovo EP di Jovanotti, pubblicato il primo di aprile scorso per Universal Music Italia. I 9 brani fanno parte di una immagine comune riconducibile appunto ad un concept, quello del Mediterraneo, che diventa nella fattispecie un’ispirazione, facendocene conoscere la storia, fatta di avventure, scambi e incontri che si riversano nelle varie melodie. Il progetto, infatti, è musicalmente piuttosto eterogeneo. Le influenze sono molteplici: si passa dalle sonorità vicine al sirtaki greco con Everest, al brano Corpo a corpo dai caratteri orientalizzanti, alla ballata rock ‘n roll di Allelu e al synth-pop di Mediterraneo.

Con questo EP Jovanotti vuole palesare la propria curiosità nei confronti dell’altro e del mondo, la voglia di conoscere, di farsi influenzare e di influenzare. È quindi corposa la presenza di strumenti e suoni, appunto, dal gusto mediterraneo, con collaborazioni variegate, quali quella con Enzo Avitabile, con il Canzoniere Grecanico Salentino e la Smyrna Orchestra.

In Mediterraneo Jovanotti sembra non voler assecondare le richieste del mercato musicale odierno o di chi ascolta, perlomeno non di tutti, ed è come se per la realizzazione di tutto il lavoro sia stato mosso da una grande carica istintiva, che gli ha permesso però di rimanere comunque abbastanza coerente con l’ultimo periodo della sua ormai trentennale carriera musicale.


Electricity, Ibibio Sound Machine (Merge Records) – recensione di Laura Colombi

Una buona proposta afro, senza cadere nello stereotipo. Con Electricity, gli Ibibio Sound Machine riescono nell’impresa di proporre un disco che rappresenti adeguatamente la cultura nera. L’impresa è quasi una vocazione, a partire dal nome della band: Ibibio è una delle lingue pre-coloniali della costa occidentale africana, sul golfo di Guinea, parlata dalla madre della cantante e frontwoman Eno Williams, la quale invece è nata e cresciuta a Londra.

Electricity è un album tutto da scoprire, traccia dopo traccia. L’invito è a non farsi tradire dall’inizio scoppiettante di Protection From Evil (traccia notevole, dalle molteplici ispirazioni) e ad attendere pazientemente lo scorrere dei minuti, perché l’album è in divenire e trascina progressivamente alla danza. Questa costruzione del lavoro prevede una forte continuità tra le tracce, attraverso le quali l’ascoltatore può compiere un vero e proprio percorso tra storia e cultura: ad esempio, in 17 18 19 abbiamo una riproposizione in chiave pop della disco music che ci proietta in un immaginario anni Settanta. Per questo motivo è consigliato l’ascolto dell’album per intero (come per tutti i lavori, ma qui ascoltare la singola traccia è davvero molto riduttivo).

La linea di confine tra quella dimensione tribale che rischiava di essere riportata in ottica primitivista e le sonorità più proprie della band era davvero sottile. Invece, con Electricity gli Ibibio riescono a trarre numerosi spunti originali, confermando il forte dinamismo che sempre più caratterizza l’elettronica.


Remember rainbow bridge, Croatian amor (Posh Isolation) – recensione di Gabriele Benizio

Nuovo lavoro del produttore sperimentale danese Croatian Amor, figura centrale dell’underground di Copenaghen che si lancia nella sua nuova fatica dimostrandosi un artista estremamente prolifico e mai a corto di idee.

Un disco molto soft che coniuga ambient, techno e trance che andranno a disegnare atmosfere eteree e sognanti per tutti i 35 minuti di durata del disco. Avremo anche qualche traccia più movimentata tuttavia, come 5:00 am fountain e la bellissima Worthy contender, tracce che comunque non stonano con l’atmosfera del disco, ma si inseriscono in esso con una naturalezza incredibile.

Un disco che conferma l’eccellente stato di salute della musica elettronica in tempi recenti, capace di essere il macrogenere più capace di sfornare prodotti di livello tra tutti.


Laura Colombi
Mi pongo domande e diffondo le mie idee attraverso la scrittura e la musica, che sono le mie passioni.

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