Del: 14 Aprile 2022 Di: Rebecca Nicastri Commenti: 0
Il "dramma d'autore" dietro la rappresentazione di Dante

Dopo trent’anni dal debutto di Prato, la regia di Federico Tiezzi arriva al Piccolo Teatro Strehler di Milano dal 30 marzo al 3 aprile ad allestire la teatralizzazione di una delle tre cantiche dantesche.

L’attuale messinscena, così come quella del 1990, segue il testo che Tiezzi ricevette da Mario Luzi nel 1989. Fu Luzi – dichiara il regista – a decidere di dare un taglio di ‘colloquio tra artisti’ al suo ‘trattamento’ che intitolò Il Purgatorio, La notte lava la mente. Drammaturgia di un’ascensione. Il taglio teatrale è infatti basato sul dialogo: «Tutto è un domandare da parte delle anime a Dante e da parte di Dante e Virgilio a loro» (da Sanatorium, Il Purgatorio come montagna incantata di Federico Tiezzi).

Nella prima parte della rappresentazione ci troviamo ancora nell’Antipurgatorio: qui la scenografia traporta lo spettatore in una dimensione atemporale ed aspaziale, quasi fantascientifica, in cui la monocromia dello sfondo trascina le menti in uno stadio di perdizione e allo stesso tempo in una ritrovata purezza primordiale. Il nuovo Purgatorio si lega dunque a quello di allora per accenni scenografici: con stupore del pubblico presto una piattaforma mobile si alza sollevando gli attori verso il culmine della montagna purgatoriale.

La sfida dichiaratamente espressa da Luzi è stata quella di preservare, anzitutto, l’assolutezza del testo originale.

«Il drammatico della cantica – afferma il poeta (in Notizia di Mario Luzi, in appendice a Il Purgatorio. La notte lava la mente, Genova, Edizioni Costa & Nolan, 1990) – si pronunziava in sé e con mezzi propri. […] il protendersi della parola dantesca scandiva già un evento teatrale che il dialogo o il contrasto tra le persone completava».

Ecco, dunque, che quella potenza teatrale naturalmente insita nel linguaggio dantesco riesce finalmente a realizzarsi nelle voci umane, nei corpi reali e negli ambienti concreti di un palcoscenico che accoglie su di sé persone comuni, persone come noi che nel ventunesimo secolo attraversano i medesimi percorsi di speranza ed espiazione intrapresi dai contemporanei del grande poeta. I personaggi di Tiezzi in carne ed ossa si fanno dunque ponte tra passato e presente permettendo la realizzazione in immagine, in visività, di una parola che soltanto in questo modo può passare dal virtuale all’attuale.

Ed è quella di Luzi una parola pura, appartenente a un linguaggio eterno che pur carico di una severa auroralità riesce a farsi comprendere in tutta la sua quotidianità e a divenire mezzo di conquista di un proprio spazio nel mondo.

E grazie al linguaggio soltanto, vive uno dei personaggi della pièce: Poema, invenzione interamente luziana, l’Auctor, la Scrittura, che sulla scena insieme a Virgilio segue il Dante pellegrino e – ci spiega Tiezzi (in Sanatorium. Il Purgatorio come montagna incantata) – vive due tempi, quello dilatato della memoria e quello attivo della scrittura.

In questo Sanatorium, infatti, il tempo esiste: a differenza degli eterni Inferno e Paradiso, il Purgatorio trattiene in sé ancora il divenire, il cambiamento, la trasformazione che significherà glorificazione verso un possibile ricongiungimento con il divino ma soprattutto verso la comprensione di sé stessi. Il coro di anime esordisce sulla scena: «Esiste il tempo?». A cui una voce fuori campo risponde (con tono grave): «Sì, ed esiste il travaglio». Poi la frase è ripetuta durante la scena come un leit-motiv e, nuovamente, la voce fuori campo: «La notte lava la mente».

Quella di Dante e degli altri personaggi (e degli spettatori medesimi) è, di fatto, un’ascesi purificatrice vissuta con estrema solidarietà, durante la quale ognuno di noi riconosce sé stesso in un Dante pellegrino e, come lui, diviene «consapevole di essere portatore della propria solitudine, esule in questo esiglio: “[…] Intendo la tua angoscia, / ma sono io che pago tutto il debito […]”» (da Il Dante di Luzi di Luigi Baldacci, 1990).

Ma tutta questa grande operazione in che rapporto riesce a inserirsi nella tradizione rispetto all’immenso lavoro dantesco?

Ne illumina aspetti reconditi offrendo alle terzine un miglior modo per farsi figurare dalle menti dei lettori, o ne profana il valore cercando altri mezzi d’espressione per un’opera la cui forma poetica è componente imprescindibile? Lo stesso Luzi afferma che in un passato neppure troppo antico era solito guardare con sospetto alle “riduzioni” teatrali di opere letterarie e che sostanze che erano divenute splendenti in virtù della forma che le aveva sigillate non vedeva perché manometterle e piegarle a un uso diverso.

Ma il poeta cambierà presto giudizio e con il suo testo riconoscerà di esser persino riuscito ad esaltare nella sua intensità la sostanza tragica subiacente nell’opera di Dante. In Passaggio di forma (già in Artista. Critica nell’arte in Toscana, Firenze, Casa Editrice Le Lettere, 1991) Mario Luzi svela come il prendere corpo della parola, l’incarnarsi di una figura pensata, il delimitarsi inesorabile di un volto, di una voce che fruivano della mutabilità dell’immaginario, possa avere effetti “meravigliosi” sia come potenziamento gioioso, sia come mortificazione dell’idea poetica. Luzi prosegue: «C’è dunque un dramma d’autore celato nella drammaturgia di una pièce: e non lo esclude neppure la morte, non lo elimina la postumità…».

Rebecca Nicastri
Classe 2000. Studio lettere, sono innamorata del mondo e vorrei sapere tutto di lui. Per me le giornate sono sempre troppo corte.

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