La deconstructed club è un fenomeno recente, e rappresenta una delle realtà più interessanti della musica contemporanea. Possiamo riscontrare la sua genesi nel cosiddetto GHE20G0TH1K (un unione dei due termini ghetto e gothic), un evento che ha preso luogo intorno al 2009 su iniziativa della dj Venus X in alcuni magazzini abusivi di New York, cui affluivano le realtà più disparate della grande mela, dalla comunità queer; alla comunità ballroom; ai punk; ai gotici; ecc…
Queste feste, postesi in antitesi alla musica mainstream, finivano per incanalare l’aggressività delle realtà più periferiche in musica altamente creativa, e miravano a creare qualcosa di più di semplici feste, un vero e proprio ecosistema alternativo: il risultato era un ambiente fortemente creativo, estremamente inclusivo e come lo descrive la stessa Venus, estremamente politico.
È appunto in questa eterogeneità di visioni, culture e generi musicali che sono nate le prime sperimentazioni di decostruzione, se vogliamo dare un’accezione letterale al termine che dà il nome al genere.
Il concetto alla base di questo termine è tra l’altro sintetizzato benissimo nel titolo di un dj mix dell’artista di musica elettronica di nome teki latex Deconstructed Trance Reconstructed.
Tra i primi lavori usciti da queste feste che ci sentiamo di segnalare, c’è assolutamente l’album datato 2011 del trittico Nguzunguzu, Total Freedom & Kingdom intitolato The claw, 69 minuti di suoni meccanici che restituiscono benissimo quello che la deconstructed è: musica edm che viene decostruita in chiave post-industrial, in maniera nevrotica e alienante; i suoni oscuri, gelidi e penetranti che vanno a demolire l’uk bass, l’elettronica latina e africana di The claw, rappresentano bene quella che è la filosofia del genere. Usare filosofia ci permette di non parlare di stilemi, poiché parlare di stilemi comuni non è facile, la deconstructed ha avuto un’evoluzione talmente precoce e disordinata che è difficile attribuirle delle caratteristiche universali. L’unica universalità che se ne riscontra è la decostruzione meccanica e fredda di vari generi dell’edm, contaminata da quella estetica “gotica” che sta alle sue radici: che essa sia consapevole o inconsapevole la riscontriamo un po’ ovunque.
Decisamente meno nervoso e decadente, ma bensì più “intelligente” e futuristico, è Classical Curves di Jam City. Da molti considerato come l’iniziatore vero e proprio del genere, in questo disco Jam city condensa un numero indefinito di influenze: dalla detroit techno, al funky, al grime, alla Chicago house e chi più ne ha più ne metta; la costante è tuttavia quel suono meccanico post-industriale che martella seppur in maniera meno ossessiva in ogni pezzo. C’è da segnalare che tuttavia Jam city è della scena britannica, più precisamente di Londra, quindi questo ci fa capire come quella metodologia nell’approcciarsi all’elettronica si sia diffusa in maniera estremamente rapida.
Una diffusione difficile da individuare e di cui tracciare una storiografia e poterne confermare le influenze: limitiamoci quindi ad esporre progetti interessanti usciti da questo modo particolare di intendere l’elettronica.
Di certo una menzione la merita Elysia Crampton. Il suo The light you gave me to see you, uscito nel 2013, mischiando musica latina, pop e r&b, tutte rigorosamente decostruite in un mix caotico e gelido, da vita a uno dei prodotti più interessanti dell’elettronica dell’ultimo decennio.
Ma una menzione d’onore va soprattutto al produttore del Wisconsin Sd Laika, una delle figure più celebri e apprezzate della deconstructed club, nonostante abbia un solo disco ufficiale all’attivo, ovvero il macabro e alienante That’s Harakiri. I suoi lavori, a volte al limite del noise, portano alle estreme conseguenze l’atmosfera oscura e gotica con cui era nata la deconstructed nei party di Venus X. Agglomerati di rumori, talvolta difficilmente distinguibili nel caos di suoni industriali e gelidi, vanno a demolire dei tappeti sonori talvolta difficilmente distinguibili, si sentono in qualche modo e molto in lontananza uk bass, grime e techno, ma totalmente corrotte e infettate dal genio creativo del produttore, nato a Milwaukee.
Per capire l’estrema varietà di direzioni che ha preso la deconstructed, e per capire come conferirgli degli stilemi che vadano oltre il principio di decostruzione dell’edm che ne sta alla base, potremmo citare il caso di una delle colonne portanti di esso, ovvero gli Amnesia Scanner, che nel loro EP del 2015 Angel Rig Hook, fondono la deconstructed con il radio drama e il sound collage. Una voce aliena parla su suoni futuristici recitando un testo dalle tinte apocalittiche e fantascientifiche, che rispecchiano d’altra parte quello che succede nella produzione. Ascoltando questo fantastico ep, è addirittura difficile talvolta inquadrare un disco del genere come qualcosa che definiremmo EDM, ovvero electronic dance music, a dispetto di quanto detto poco sopra. Eppure la deconstructed ha preso le vie più disparate in un lasso di tempo ridicolmente breve.
Gli Amnesia Scanner tuttavia sono ben accompagnati, se parliamo di deconstructed più sperimentale, dalla figura probabilmente più conosciuta e apprezzata di questo sottogenere, ovvero Arca.
Arca, produttrice eclettica e senza freni, ci ha messo di tutto nei suoi dischi, dall’idm, all’hip hop, al wonky, alla musica latina; ha una discografia molto ampia ed estremamente solida. Difficile parlare di un lavoro in particolare, tra i più interessanti segnaliamo l’ep del 2016 Entrañas, uno dei suoi lavori più estremi e disturbanti. Un vero viaggio nel genio folle e creativo di questa interessante artista, che solo l’anno scorso ha sfornato ben 4 progetti tutti di buona fattura
Ultima menzione d’onore va alla produttrice Sophie, che ci ha purtroppo lasciato solo l’anno scorso, ma che sta alla base di tutta la scena hyperpop contemporanea e ha avuto un’influenza sostanziale sul modo di produrre musica elettronica. Un vero e proprio talento cristallino sparito troppo precocemente.
La contrapposizione tra cantate pop smielate assimilabili alla bubblegum bass, e dei suoni violenti e meccanici tipici della deconstructed, saranno destinati ad avere un impatto devastante sulla scena pop statunitense. Sophie ha confezionato dischi fantastici come OIL OF EVERY PEARL’S UN-INSIDES, e non contenta ha deciso di farci un remix techno bello quanto l’originale.
Di fronte alla multiculturalità e alla moltitudine di forme che ha assunto la deconstructed club è difficile tracciarne una storia certa e uno sviluppo univoco e coerente.
Se ne possono però elencare i maggiori fautori e protagonisti, che hanno rilasciato le manifestazioni più interessanti di essa.
Una cosa è certa, la deconstructed è uno dei fenomeni musicali più interessanti dell’ultimo decennio, una bella risposta a chi lamenta mancanza di originalità e sperimentazione nella musica odierna, ed è uno dei sottogeneri dell’elettronica più prolifici e più mutabili su cui sicuramente si deve avere un occhio di riguardo nel corso dei prossimi anni.