Il video in cui il sindaco di Przemysl, in Polonia, rinfaccia a Matteo Salvini la simpatia che per anni il partito leghista ha nutrito nei confronti di Vladimir Putin ha fatto il giro del web, mettendo in imbarazzo il leader del Carroccio e costringendo il suo elettorato a fare i conti con il passato filo-russo della Lega. L’episodio ha fatto tornare alla mente affermazioni come: Putin è «il miglior uomo di governo al mondo» e «ne avessimo di più come lui sulla faccia della Terra, avremmo qualche problemino in meno».
Frasi, queste, che Salvini oggi non può negare di aver pronunciato non più di sei anni fa, dimostrando una lungimiranza politica che, alla luce dei crimini di cui si sta macchiando in questi giorni il leader russo, si rivela eufemisticamente scarsa. Gli elettori del partito leghista non sono gli unici, tuttavia, a dover prendere atto della sintonia che si è instaurata nel tempo tra alcuni esponenti politici italiani e il Cremlino.
Un breve riepilogo dei rapporti di amicizia con Putin che oggi suscitano (o almeno dovrebbero suscitare) l’imbarazzo di tanti italiani non può che prendere le mosse dagli anni del berlusconismo.
Questo quando il presidente russo parlava di «Silvio» come di una persona «franca, brillante», e lo andava a trovare a villa Certosa. Dall’altra parte, il cavaliere non mancava di ricambiare l’affetto, difendendo Putin quando, nel 2014, la Russia fu esclusa dal G8 a causa dell’annessione della Crimea, e battendosi perché l’Occidente non commettesse «l’errore tragico» di allontanarsi da Mosca. E poi ci sono stati i regali di compleanno, il gesto di cattivo gusto in cui Berlusconi alludeva all’uso del mitra contro un giornalista che aveva fatto una domanda poco gradita a Putin, la famosa foto del presidente russo che gioca con Dudù, l’amico a quattro zampe del cavaliere.
Sono, questi, soltanto alcuni tra gli episodi che hanno costellato una relazione duratura e apparentemente sincera, la quale, con tutta probabilità, costituisce il motivo principale per cui la presa di posizione da parte del cavaliere sull’invasione dell’Ucraina ha tardato ad arrivare. Erano passati ben 38 giorni dall’inizio di quella che Putin definisce un’”operazione militare speciale” quando Berlusconi ha finalmente deciso di condannare l’invasione dell’Ucraina, sottolineando la necessità di «fare la nostra parte con l’Alleanza atlantica, con l’Occidente, con l’Europa, per porre fine a un’aggressione militare inaccettabile». È evidente, tuttavia, che Berlusconi non sia ancora in grado di pronunciare esplicitamente il nome di Putin e di additarlo come responsabile della strage di civili e dei bombardamenti quotidiani che stanno martoriando il popolo ucraino.
Come non menzionare, poi, le posizioni filo-putiniane assunte negli anni da vari esponenti del Movimento 5 Stelle.
Manlio Di Stefano, sottosegretario agli esteri nei governi Conte e attualmente deputato, nel 2016 affermava: «la Russia oggi non è il nemico da combattere, ma un prezioso alleato nella vera minaccia esistenziale per l’Europa, la lotta al terrorismo», e aggiungeva: «Renzi e Gentiloni […] dovrebbero ridiscutere immediatamente la partecipazione italiana ad una “alleanza” (la Nato, ndr) che c’intrappola in scenari bellici». Coerentemente con questa posizione, nel 2017 Di Stefano partecipò al congresso di Russia Unita (il partito di Putin) e, come Berlusconi, si disse contrario alle sanzioni emanate dall’Occidente contro il Cremlino in seguito all’invasione della Crimea.
Oggi, lo stesso Di Stefano che nel 2015 scriveva «si vuole trasformare (l’Ucraina) in una base NATO per lanciare l’attacco finale alla Russia», di fatto portando lo stesso argomento sostenuto oggi da Putin per giustificare l’invasione del 24 febbraio scorso, si schiera a favore delle sanzioni emanate dall’Occidente nei confronti della Russia.
C’è, poi, Vito Petrocelli, il pentastellato presidente della commissione Esteri al Senato che, pochi giorni prima dell’invasione russa, riprendeva le parole del portavoce di Putin Dmitry Peskov twittando: «Vi ricordiamo che la Russia non ha mai attaccato nessuno nel corso della sua storia. E la Russia, sopravvissuta a tante guerre, è l’ultimo Paese in Europa che vuole parlare, anche pronunciare la parola guerra». Ancora oggi Petrocelli si chiede che senso abbia «confermare la fiducia a un governo interventista», dichiarando la sua ferma contrarietà all’invio di armi in Ucraina.
Per quanto riguarda Fratelli d’Italia, ha fatto notizia l’astensione del partito di Giorgia Meloni in occasione della presa di posizione da parte del parlamento italiano in merito all’avvelenamento del dissidente russo Alexey Navalny. Tra i 72 astenuti, infatti, oltre ai pentastellati c’erano anche i meloniani.
Come dimenticare, inoltre, il tweet in cui la leader di Fratelli d’Italia si complimentava con Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa, aggiungendo “la volontà del popolo in queste elezioni russe appare inequivocabile”. Tale affermazione, tuttavia, risulta piuttosto azzardata poiché trascura la dubbia regolarità di quella che non è stata una vera e propria competizione elettorale a causa della mancanza di candidati che sfidassero il presidente uscente.
Anche sul fronte leghista il putinismo è emerso più volte, a partire dagli anni in cui la dicitura “Nord” si accompagnava ancora all’attuale nome del partito. Oltre all’episodio rievocato dal sindaco di Przemysl (ossia la foto che ritrae Salvini mentre indossa una maglietta con su stampato il volto di Putin, con tanto di didascalia che recita “cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!”) Matteo Salvini aveva infatti già espresso la sua vicinanza al presidente russo con affermazioni analoghe a quelle del cavaliere, ossia schierandosi contro le sanzioni imposte in seguito all’annessione della Crimea.
Erano gli anni in cui Salvini, allora segretario federale della Lega Nord, definiva Putin come «uno dei pochi leader non in Europa, ma al mondo, che ha le idee chiare su una società positiva, ordinata, pulita e laboriosa per i prossimi cinquant’anni». Dichiarazioni, queste, che venivano rilasciate durante il convegno “Russia e Crimea, due grandi opportunità per le nostre imprese”, svoltosi nel marzo del 2015 e organizzato dall’associazione Lombardia Russia, il cui presidente era Gianluca Savoini. Per l’occasione era presente anche l’allora governatore regionale Roberto Maroni.
Come dimenticare, inoltre, l’incontro avvenuto nel 2018 tra uomini del Cremlino ed esponenti leghisti, tra cui lo stesso Savoini, all’hotel Metropol di Mosca. Il centro della discussione era la compravendita di petrolio russo, dalla quale la Lega avrebbe ricavato fondi neri che sarebbero andati a finanziare la sua campagna elettorale, in vista delle elezioni europee del 2019 (quelle in cui il partito ottenne uno storico 34%).
Per chiudere in bellezza il quadro del putinismo italiano non si possono trascurare gli “ottimi rapporti personali” che Putin ha affermato di avere con Romano Prodi, il quale, ai giornalisti che nel 2015 gli facevano notare la sua morbidità nei confronti di Putin, rispondeva: «non puoi fare il duro se te ne vengono solo danni. Isolare la Russia è un danno», e poi aggiungeva: «se vuoi che l’Ucraina non sia membro della Nato e dell’Ue, ma sia un Paese amico dell’Europa e un ponte con la Russia, devi avere una politica coerente con questo obiettivo. Se l’obiettivo è portare l’Ucraina nella Nato, allora crei tensioni irreversibili».
Insomma, errare è umano e cambiare idea è legittimo, soprattutto di fronte a una guerra che prima del 24 febbraio veniva considerata improbabile da gran parte degli analisti politici. Allo stato attuale, tuttavia, una condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte di tutte le forze politiche sarebbe gradita, così come sarebbe gradito ascoltare dichiarazioni in cui si riconosce che l’unico responsabile della tragedia che si sta consumando alle porte dell’Europa è il presidente russo Vladimir Putin.